Comunicato di pubblica resistenza al DDL intercettazioni

Gentile Onorevole Presidente del Consiglio dei Ministri Silvio Berlusconi, in questi giorni, in queste ore, il Parlamento della Repubblica Italiana è impegnato in una corsa contro il tempo per una più che rapida approvazione del disegno di legge firmato dall'Onorevole Ministro della Giustizia Angelino Alfano e noto come "ddl intercettazioni".

Il provvedimento rappresenta una delle più drastiche limitazioni al potere d'indagine che compete ai magistrati inquirenti del nostro paese e, al contempo, la più dura, feroce e devastante limitazione al diritto costituzionale di informazione; il diritto di farla e il diritto di riceverla.

Il progetto di legge, per mezzo dei suoi punti fondanti, impedisce il racconto giornalistico su fatti giudiziari di pubblico dominio e privi di segreto, stabilisce pene detentive e pecuniarie pesantissime verso chiunque osi divulgare verità giudiziarie, introduce nuovi obblighi di rettifica per i blog minandone la sopravvivenza, trasforma in crimine il diritto dei cittadini vittime di crimini di raccogliere prove audio e video a dimostrazione del reato e stabilisce odiose discriminazioni tra forme di giornalismo, all'interno di una drammatica limitazione del diritto ad effettuare inchieste giornalistiche.

Il diritto all'informazione nelle sue forme più elementari, il principio di legalità e la ricerca della giustizia vengono totalmente smantellati da tale provvedimento.

Pertanto questo sito internet dichiara sin da adesso che, per imprescindibili motivi etici e in ragione della difesa del diritto alla libertà di parola e di stampa, solennemente sancito dalla Costituzione italiana e dalle leggi vigenti, in caso di approvazione in via definitiva e di conversione in legge, non potrà attenersi in alcun modo alle norme che compongono il disegno di legge sulle intercettazioni.

Questo sito si dichiara altresì .. per imprescindibili motivi sia etici che politici .. deberlusconizzato .. demontizzato .. degrillizzato

lunedì 28 gennaio 2013

ECO 16: Sit in contro la monnezza di Roma per salvare i Ca...

ECO 16: Sit in contro la monnezza di Roma per salvare i Ca...: Il freddo non ha spaventato i numerosi cittadini che oggi hanno partecipato al Sit in di fronte i cancelli della discarica di Roncigliano ...

sabato 26 gennaio 2013

ECO 16: Tutti al sit-in organizzato dal comitato No Inc al...

ECO 16: Tutti al sit-in organizzato dal comitato No Inc al...: Domani 26 Gennaio dalle ore 8,00 alle ore 14,00 ci sarà un presidio dei cittadini di fronte i cancelli della discarica di Roncigliano, su...

venerdì 18 gennaio 2013

ultimo incontro su PROGETTO RICICLO a Genzano .. Partecipimo numerosi !!

ECO 16: PROGETTO RICICLO incontro conclusivo: TERZO APPUNTAMENTO DI " PROGETTO RICICLO " CON IL "PERSONAGGIO AMBIENTE 2012" ALESSIO CIACCI ASSESSORE ALL'AMBIENTE DEL COMU...

ECO 16: BUONI RISULTATI ALLA CONFERENZA DEI SINDACI AD ALB...

ECO 16: BUONI RISULTATI ALLA CONFERENZA DEI SINDACI AD ALB...: Conversazione di Fabio Ascani, ECO 16 , con Daniele Castri e Simone Carabella, dopo la Conferenza dei Sindaci tenutasi oggi, 9 gennaio 2013 ...

ECO 16: IL COMMISSARIO SOTTILE SCEGLIE 4 SITI PER I RIFIUT...

ECO 16: IL COMMISSARIO SOTTILE SCEGLIE 4 SITI PER I RIFIUT...: Il commissario per l’emergenza Rifiuti nella Capitale, Goffredo Sottile, ha individuato nel Lazio quattro impianti tmb, per il tr...

sabato 5 gennaio 2013

Fallisce il “modello” inceneritore + discarica, ritorna l’emergenza rifiuti

(Fonte articolo, clicca qui

Con l’avvento delle festività natalizie torna d’attualità un’altra delle croniche emergenze italiane, quella del mancato smaltimento dei rifiuti urbani.  Ai casi di Napoli, Palermo e Roma, da tempo afflitte dal problema, si sono aggiunti quelli di vari comuni della Calabria e della Puglia:  le vie e le piazze di Bari, Catanzaro, Foggia, Lamezia Terme, Reggio Calabria e di altri centri minori sono, in questi giorni, intasate da cumuli di rifiuti maleodoranti, che spesso vengono arsi, con grave danno per la salute dei cittadini.  La spazzatura bruciata per strada, infatti, è molto insidiosa, perché genera ceneri tossiche contenenti diossina, un potente cancerogeno.  Quanto sta succedendo dimostra chiaramente il fallimento del modello di gestione dei rifiuti prevalente in Italia, che è basato, almeno in prevalenza, sul ricorso alle megadiscariche e agli inceneritori.  Il problema riguarda soprattutto vaste zone del Centro-Sud dell’Italia, nelle quali c’è una maggiore incidenza delle “ecomafie” – che controllano il traffico dei rifiuti, sia legale, sia illegale – e dove è molto più bassa la raccolta differenziata.  A ciò si deve aggiungere l’interesse delle aziende costruttrici degli inceneritori – in primis la Impregilo – che puntano a mantenere in vita un sistema anacronistico di eliminazione dei rifiuti, ma molto lucroso per loro.

È bene ricordare, a tal proposito, che l’incenerimento rappresenta una tecnica arretrata, pericolosa e poco efficace, perché, oltre a immettere sostanze nocive nell’atmosfera (come diossina, furano, gas serra e polveri sottili), induce ad aumentare a dismisura il numero di discariche, creando periodicamente situazioni d’emergenza (con un aggravio non indifferente della spesa pubblica).

Gli spazi disponibili per l’assemblaggio dell’immondizia stanno diventando sempre più esigui, mentre, ogniqualvolta si prospetta l’eventualità che venga aperta una nuova discarica a cielo aperto, le popolazioni locali protestano vibratamente.

Eppure anche in Italia ci sono esempi positivi di come si possano smaltire i rifiuti urbani senza inquinare l’ambiente.

Il concorso “Comuni ricicloni 2012”, indetto da Legambiente col patrocinio del Ministero per l’Ambiente, ha premiato 1.123 comuni “virtuosi”, che hanno saputo riciclare più del 65% dei loro rifiuti urbani. Si tratta, purtroppo, appena del 13,9% di tutti comuni italiani, l’88,87% dei quali si trova nel Nord Italia, il 5,25% nel Centro, il 5,88% nel Sud.  Tra essi, innanzi tutto, va ricordato Ponte nelle Alpi (BL), che si è classificato primo in assoluto con l’87,7% di riciclaggio dei rifiuti; una menzione speciale meritano, in secondo luogo, Pordenone e Salerno, che, con il 77,5% e il 68,4%, si sono piazzate al primo posto tra i capoluoghi di provincia, rispettivamente, del Nord e del Sud.  Nessuna città del Centro, invece, ha superato la soglia di eccellenza (cfr. Speciale Comuni ricicloni 2012, in Rifiuti oggi, n. 1, 2012).

Rammentiamo, infine, che, dal prossimo aprile, la tassa comunale sui rifiuti aumenterà del 25% per le famiglie e ancor di più per gli esercizi commerciali (con punte anche del 300%).

Sarà l’ennesimo salasso per le tasche degli italiani, sempre più indigenti.


SAPERI - Miti, leggende e realtà dell'università italiana

Nelle seguenti slides sono mostrati alcuni luoghi comuni perno della propaganda che ha giustificato tagli e riforme degli ultimi anni, messi a confronto con i fatti e con i numeri:  Spesa, risultati, efficienza:  miti, leggende e realtà dell’università italiana “I fuori corso sono un costo sociale”:  quando Profumo venne incaricato al Ministero d’Istruzione, Università e Ricerca con queste parole d’ordine palesava quanto antitetica fosse l’idea di università del Governo, e dell’ideologia che rappresenta, rispetto alla nostra, esplicitata nel libro/manifesto “Studiare con Lentezza”.

L’idea che ci porta a parlare della “lentezza” 
come un valore
 risponde a una duplice motivazione. 

Innanzitutto si basa sul rigetto dell’università attuale, configurata oramai come una catena di montaggio tutta schiacciata sul momento dell’uscita:  si studia per entrare nel mondo del lavoro, ci si iscrive per uscire al più presto ed il “ritardatario”, il fuoricorso, viene bollato come sfigato, subisce il pressing della famiglia, dei docenti e da ora in avanti, grazie alla spending review montiana, anche dell’aumento delle tasse.

Quella che era un’università di massa conquistata dai movimenti studenteschi ed operai, al momento del riflusso di quest’ultimi si è trovata immediatamente assediata da una lunga serie di controriforme che l’hanno snaturata, portandola ad essere il contrario di quello che studenti ed operai chiedevano:  allora reclamarono uno strumento d’emancipazione dell’individuo, un luogo dove produrre benessere per la società intera, ci ritroviamo adesso con un laureificio dequalificato nei contenuti, costoso per gli studenti, inutile al fine di trovare un qualche lavoro sicuro e/o ben retribuito, ed infine spolpato dai padronati locali che ne privatizzano la ricerca (e dal 2013 siederanno nei Consigli di Amministrazione, potendo quindi decidere direttamente del futuro di didattica e ricerca).

Il secondo riguarda l’immagine del mondo che abbiamo:
rifiutiamo l’”università di corsa” perché rifiutiamo lo stile di vita imposto dal capitalismo contemporaneo, ossessionato dalla superficialità dei rapporti umani e dalla mercificazione di ogni aspetto della vita.

Ci arroghiamo il diritto di studiare con lentezza perché vogliamo conoscere, formarci criticamente, e non solo ottenere crediti in cambio dell’apprendimento di nozioni usa e getta.  Vogliamo vivere le università perché così potremo confrontarci coi nostri compagni di studio, ampliando le nostre vedute e scoprendo che siamo davvero tutti sulla stessa barca, ma che questa barca è costantemente sotto attacco dai corsari neo-liberisti. 

L’ultimo di questi attacchi è la cannonata del “patto di stabilità”, patto sottoscritto senza chiederci nessun parere, e che decreta la sentenza di morte per decine di atenei, che subiranno quindi un notevole ridimensionamento.

La finanziaria approvata giusto un giorno prima di sciogliere le Camere decreta infatti una somma per il Fondo di Finanziamento Ordinario che è di almeno 300 milioni inferiore al fabbisogno minimo di funzionamento degli Atenei (fonte M.i.u.r.)

Come da anni il movimento studentesco ripete, è un attacco totale e che richiede una risposta totale e radicale.

L’austerity richiede un’accelerazione del processo che già negli anni ’90 è stato iniziato:  taglio della spesa sociale, riforma in senso privatistico dell’università, privazione dei diritti conquistati da decenni di lotte operaie.

I governi di centro-sinistra e centro-destra hanno disegnato, tassello dopo tassello, un quadro che con la riforma Gelmini del 2010 e la ratificazione dei nuovi statuti d’Ateneo ha preso una forma coerente visibile anche ai più ciechi;  adesso questi ulteriori tagli sono la goccia che farà traboccare il vaso, imponendo la riorganizzazione del sistema universitario nazionale esattamente come le precedenti riforme prefiguravano:  diciamo definitivamente addio all’università di massa egualitaria e che permette a tutt* di accedere ai saperi e di intraprendere una carriera di ricerca o insegnamento.  Già dal primo decennio degli anni 2000 abbiamo assistito ad una omogeneizzazione formativa verso il basso, ovvero un’università aperta sì alle masse, ma che inculca competenze standard funzionali all’apparato della società, scaricando i costi della formazione dalla spesa pubblica al singolo studente, indebitato con le banche.  D’ora in poi vedremo invece una diminuzione del numero dei Dipartimenti, a causa dei tagli e del turn-over dimezzato;  la disuguaglianza fra Atenei “virtuosi” (ovvero quelli che riprodurranno la classe dirigente e l’ideologia dominante) ed i laureifici si divaricherà sempre di più; aumenterà di conseguenza il tasso di abbandono e diminuiranno le immatricolazioni (già in calo da due anni, invertendo una tendenza decennale);  chi deciderà di proseguire troverà invece tasse sempre più alte (infatti l’aumento è generalizzato, non solo per i fuori corso) e borse di studio sostituite da prestiti d’onore, che producono gli effetti che queste slide ci mostrano…

Insomma, se non saremo noi a muoverci
e dire una volta per tutte “basta!”, 
 nessuno ci regalerà più niente, all’università 
come nella società governata dall’austerity.




27/01/2013 .. Ciao Vick .. per sempre nel cuore

Emergenza arsenico. Misteri e responsabilità politiche

Il comitato acqua pubblica di Velletri ha di certo tanti difetti.  
 
Ma ha anche una virtù, la memoria.  
 
Oggi leggendo l’ordinanza numero 538 del 28 dicembre scorso firmata dal sindaco Fausto Servadio, abbiamo deciso di ripercorrere la storia recente che ha portato a questa nuova “emergenza”.  
 
Annunciata, prevedibile, colpevole e carica di responsabilità, politiche e gestionali.

Sul banco degli imputati è finito il pozzo Le corti, che fornisce una notevole quantità di acqua – non più potabile – nella rete idrica – sempre fatiscente – di Velletri.  
 
C’è un primo dato che balza agli occhi:  quella fonte non era presente tra gli interventi programmati da Acea nel 2008, un anno e mezzo dopo la concessione alla multinazionale romana.  
 
Ed è un fatto decisamente curioso.  
 
Occorre, a questo punto, ripercorrere la storia, con le carte alla mano.

Nel novembre del 2006 il comune di Velletri firma il verbale di consegna del sistema idrico integrato ad Acea Ato 2 spa.  A pagina sei si legge: 
 
“Il Gestore (ovvero Acea) ha redatto il programma per i prelievi e le analisi di laboratorio delle acque prelevate dalle suddette fonti riservandosi di effettuare le analisi sulla rete di distribuzione successivamente alla presa in carico del servizio”.

Arriviamo al 2007, quando il sistema idrico di Velletri è già gestito da Acea Ato 2 spa. Nel piano di rientro presentato nel 2008 – vediamo come più avanti – è allegata una tabella con i risultati dei prelievi effettuati sui vari pozzi gestiti.  Il pozzo Le Corti presenta, secondo Acea, questi valori il 22 giugno del 2007:  Fluoruri 1,24, Arsenico 6,1 e Vanadio 17,7.  
 
Tutto nella norma, nessuno sforamento, nessuna emergenza.  Questo accadeva cinque anni fa.  I conti, però, non tornano.  Nello stesso documento, a pagina 11, sono riportati i risultati dei campionamenti effettuati nei punti di prelievo.   
 
In via Le Corti – stessa zona dunque del pozzo in questione – abbiamo avuto tra il 2007 e il 2008 ben cinque sforamenti su sei prelievi riportati, per quanto riguarda il parametro Arsenico.  
 
Ma per Acea quel pozzo era perfetto.

Nel maggio del 2008 Acea presenta il primo studio per il rientro dei parametri Fluoruro, Arsenico e Vanadio nella normalità.  Come abbiamo già visto il pozzo Le Corti non entra nella lista dei lavori da effettuare.  
 
C’è di più.  
 
Acea evidenzia come la rete di Velletri sia insufficiente, tanto da far prevedere per il 2015 una mancanza cronica di acqua (fabbisogno di 470,2 litri secondo contro i 350 litri secondo disponibili nel 2008;  non disponiamo al momento di dati aggiornati).  
 
Di fronte a questo problema – il vero problema – la multinazionale si appella al tempo:  “I tempi esigui per il rientro delle emergenze non sono compatibili con la completa risistemazione della rete”.  Bisogna fare in fretta, dunque.

La strategia di Acea puntava allora decisamente al risparmio.  
 
Per quanto riguarda i pozzi privati con acqua fuori norma, saranno i proprietari “a realizzare e gestire gli impianti di potabilizzazione”.  
 
Dovranno essere loro, in altre parole, a spendere per investire e il piano di rientro presentato all’epoca teneva conto di questo impegno.  E infatti quel piano su un buco nell’acqua:  secondo Acea tutto doveva essere risolto entro il 31 dicembre 2010.  Così non è stato.

Arriviamo al dicembre di due anni fa, quando i comitati dell’acqua scoprono il documento della Commissione europea che negava l’ultima deroga sull’arsenico, rendendolo pubblico.  Scoppia il panico.  Il 28 gennaio 2011 al comune di Velletri si tiene una riunione con tutti i soggetti coinvolti. 
 
Questa volta è chiaro a tutti che il pozzo Le Corti aveva notevoli problemi (nati quando?  Visto che nel 2007 tutto era nella norma, secondo Acea), con una concentrazione di arsenico di 20,4 microgammi litro (dato del 24 gennaio 2011).  Di nuovo arriva la promessa del gestore:  “Acea Ato 2 attuerà ogni possibile azione per realizzare tali impianti (superamento emergenza per pozzi Marmi e Le Corti, nda) prima dell’inizio del periodo estivo”.  Ovvero prima dell’estate del 2011.  Ovvero tutto doveva essere risolto un anno e mezzo fa.

Arriviamo all’epilogo, o almeno all’ultima puntata della saga.  
 
Il 13 novembre del 2012 Acea pubblica un report sui piani di rientro. 
 
Sono passati quattro lunghissimi anni dal primo studio del maggio 2008… 
 
Scrive Acea:  “A causa dell’impossibilità di portare a compimento 2 interventi, tra quelli pianificati, entro la scadenza delle deroghe, una limitata porzione della popolazione dei comuni di Velletri e Lanuvio, dal 1° gennaio 2013 avrà acqua non conforme ai limiti previsti dal Dlgs 31/2001”.  
 
Ovvero non potabile.  
 
Leggendo l’ordinanza del sindaco appare chiaro quale parte della città è in emergenza:  le vie fornite dal pozzo Le Corti.

Non sappiamo se in questa storia vi siano responsabilità amministrative o di altro genere.  
 
Non è nostro compito giudicare questi aspetti.  
 
Di certo ricordiamo bene le tante promesse di investimenti arrivate da Acea, non ultimo durante l’ultima conferenza dei Sindaci, quando si doveva discutere del profitto abrogato dai referendum 
(la remunerazione del capitale investito).  
 
Quella percentuale prevista dalla legge del 7% sugli investimenti realizzati alla fine è rimasta di fatto inalterata, beffando il voto di milioni di italiani.  
 
Di certo c’è una responsabilità dell’intera classe politica, che poco o nulla ha fatto per bloccare lo strapotere della multinazionale, che, mentre eroga acqua non potabile per una parte della popolazione di Velletri, chiude i rubinetti alle famiglie in difficoltà, che non riescono a pagare tutte le bollette.  
 
Il comitato acqua pubblica chiede ancora una volta che la gestione del sistema idrico torni nelle mani della collettività, mandando a casa un’azienda che non è riuscita a garantire la qualità minima del servizio.

Arsenico nell’acqua: nel Lazio è allarme. Scattano le ordinanze dei sindaci

(Fonte articolo clicca qui)

Allarme arsenico nell’acqua nel Lazio e in particolare nel viterbese e in alcuni comuni della provincia di Roma. 

Molte famiglie dal 1° gennaio non possono più bere l’acqua del rubinetto di casa e dellefontanelle pubbliche perché contiene arsenico e fluoruro in quantità superiori ai limiti di legge. 

Una situazione che interessa diverse decine di comuni (guarda l’elenco). 

Il divieto di bere l’acqua dell’acquedotto colpisce una quarantina di comuni e quasi 300mila persone solo nella Tuscia. 

Il contenuto di arsenico e fluoruro è presente infatti in quantità superiori ai limiti di legge, che sarebbero di 10 microgrammi/litro per l’arsenico, e 1,5 microgrammi per il fluoruro. Una situazione che non è certo una novità, visto che è dal 2001 che regioni e territori chiedono deroghe alla legge. 

Il problema è che il termine concesso per la terza e ultima deroga è scaduto il 31 dicembre 2012 e i lavori di adeguamento probabilmente non termineranno prima del 2014. 

Così dal primo gennaio sono scattate le ordinanze dei sindaci delle province di Roma e Viterbo che, secondo le indicazioni dell’Istituto superiore di Sanità, vietano di bere l’acqua del rubinetto, di usarla per cucinare, lavarsi i denti e fare la doccia a persone con patologie cutanee. 

Un’esposizione prolungata all’arsenico tramite acqua potabile e cibo può causare cancro, lesioni cutanee, malattie cardiovascolari, danni al sistema nervoso e diabete, è infatti l’allarme che arriva dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms).  «Il problema – critica Bengasi Battisti, sindaco di Corchiano (Vt) – è che le limitazioni d’uso dell’Iss ci sono state consegnate il 28/12, sono generiche e non sappiamo come rispondere a molte domande dei cittadini. 

Solo nel viterbese sono 32 i comuni interessati e 220mila gli abitanti». 

Ma non mancano criticità anche nella provincia di Latina, segnala Lorenzo Parlati, presidente di Legambiente Lazio.  «Anche se si continua a dire che è tutto risolto lì – spiega – gli ultimi prelievi fatti a dicembre indicavano la presenza di valori fuori legge in 43 comuni delle province di Viterbo e Latina». 

Di fatto il Lazio, aggiunge Giorgio Zampetti, responsabile scientifico di Legambiente «è l’unica regione che non è riuscita a rientrare nei parametri stabiliti, non facendo investimenti per potabilizzatori. 

Anche le aziende alimentari ne saranno colpite. 

E il problema non è di facile risoluzione, visto che per molti interventi ancora non si è proceduto al bando di appalto e la fine dei lavori è prevista per il 2014». 

Tutto ciò ha già avuto un impatto sulla salute. 

Uno studio del Dipartimento di epidemiologia del Servizio sanitario della regione Lazio, pubblicato ad aprile 2012, ha registrato infatti tra il 2005 e 2011, nei comuni dove la concentrazione di arsenico è superiore a 20 microgrammi, un aumento della mortalità per tutti i tipi di tumore (in particolare polmone e vescica), ipertensione, ischemia cardiaca e diabete nella provincia di Viterbo e del 12% per i tumori in quella di Latina. 

Anche se questi risultati dovranno essere confermati da studi successivi, l’Oms e lo Iarc (International agency research on cancer) hanno già accertato che l’arsenico è un elemento cancerogeno. 

Gli effetti di un’esposizione prolungata da acqua e cibo si hanno dopo almeno 5 anni, e iniziano dalla pelle, con cambiamenti nella pigmentazione, lesioni cutanee su mani e piedi che possono essere precursori di un cancro alla cute. 

«L’allarme lanciato dall’Oms non è altro che l’ulteriore conferma del grande pericolo per la salute di migliaia di abitanti della nostra Regione – dichiara in una nota il candidato del centrosinistra alla regione Lazio, Nicola Zingaretti -. Giusto ieri avevo denunciato il rischio che il Lazio sta correndo a causa della presenza di arsenico nelle acque in alcune zone del viterbese e basso Lazio ed ero stato addirittura criticato da alcuni esponenti di destra e della Giunta Polverini che hanno governato in questi anni senza fare nulla per risolvere una drammatica emergenza. 

Questa gravissima situazione rappresenta uno dei tanti problemi lasciati in eredità da questa destra fallimentare che saremo costretti ad affrontare con immediati investimenti per restituire ai cittadini il diritto all’acqua potabile nelle loro case».

venerdì 4 gennaio 2013

Rifiuti Roma, arriva il supercommissario

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E’ pronto il testo del decreto con cui il ministro dell’Ambiente, Corrado Clini, fissa le misure urgenti da adottare entro i prossimi 60 giorni per risolvere il problema della gestione dei rifiuti della capitale.

Clini lo ha inviato oggi alla Gazzetta Ufficiale per la pubblicazione. Sarà presentato lunedì 7 gennaio, dalle ore 15, prima alle amministrazioni competenti e alle imprese interessate e poi alla stampa.

“Il decreto – secondo quanto afferma lo stesso Clini – prevede la nomina di un commissario che operi con poteri sostitutivi in caso di inadempienza delle amministrazioni.  Il testo identifica le azioni da compiere, chi le deve compiere e in quali tempi.  C’è una chiara chiamata di responsabilità delle istituzioni e delle società interessate”.

E, con chiaro riferimento alla presenza di Alemanno alla manifestazione dei residenti di Valle Galeria in programma sabato 5, il ministro ha aggiunto:

“Spero che chi ha avuto responsabilità nella gestione dei rifiuti della capitale non si metta a fare campagna elettorale su di essi. Io, per evitarlo, ho rifiutato le proposte di candidatura che mi sono arrivate”.

“Il governo Berlusconi – prosegue Clini – dichiarò l’emergenza rifiuti a Roma perché sindaco, presidente della Provincia e presidente della Regione dissero che non erano in grado di risolverla. Con il conseguente commissariamento, gli enti locali hanno poi scaricato le responsabilità prima sul prefetto Pecoraro e poi sul prefetto Sottile. Non credevo ai miei occhi nel vedere che, da un lato, si chiedeva al commissario di risolvere i problemi e poi, quando questo proponeva una soluzione, si mettevano tutti di traverso”.

”I dati ufficiali della Regione – conclude il ministro – ci dicono che esiste, nel territorio regionale, una capacità di trattamento meccanico-biologico che potrebbe rispondere quasi del tutto al fabbisogno di Roma”.

Pertanto, nel decreto è prevista una dimensione regionale per il trattamento, non per portare i rifiuti in discarica a Latina o a Viterbo, come è stato detto, ma per sfruttare tutti gli impianti esistenti e quelli in fase di autorizzazione da troppo tempo. In pole position per il ruolo di ‘supercommissario c’è il precedente commissario, Goffredo Sottile.

Oltre all’indicazione della discarica temporanea (per la quale Sottile ha già individuato Monti dell’Ortaccio), alla decisione sull’ampliamento dei siti esistenti e alla scelta della discarica definitiva, il nuovo commissario avrà quindi il potere di imporre agli enti preposti l’adozione delle azioni necessarie all’attuazione del decreto. E, in caso di inadempienza, intervenire direttamente con propri provvedimenti.

L’obiettivo del ministro è quello di ridurre al minimo il trasporto dei rifiuti non trattati in discarica.  Sul punto resta, però, ancora da sciogliere il nodo dei siti:  Clini ha già chiesto di “riconsiderare” le autorizzazioni rilasciate da Sottile per Monti dell’Ortaccio e Malagrotta, per la quale il prefetto ha stabilito una proroga di sei mesi per accogliere i rifiuti trattati e di cento giorni per quelli non trattati.

Alla discarica temporanea a Monti dell’Ortaccio, vicina a Malagrotta, si sono sempre opposti i cittadini della Valle Galeria.

Contrario all’ipotesi Monti dell’Ortaccio anche il sindaco Alemanno, che accoglie con favore la decisione di Clini:

“Condivido pienamente l’impostazione del decreto. Solo la nomina di un super commissario può permettere di uscire da questo immobilismo. Il ministro, dichiarando che le decisioni per Malagrotta e Monti dell’Ortaccio potranno essere riviste, apre a una nuova prospettiva, che può liberare gli abitanti di Valle Galeria dall’incubo di una nuova Malagrotta sul proprio territorio”.

“Da parte nostra – aggiunge il primo cittadino – daremo tutto il sostegno ad Ama per spingere al massimo la raccolta differenziata nella nostra città, rispettando gli impegni sottoscritti nel Patto per Roma”. “E’ dagli anni novanta – conclude – che mi batto contro la proroga di Malagrotta e ho sempre detto di ‘no’ a una nuova discarica dentro Valle Galeria. Rispondo al ministro Clini che rifiuto la scelta di Monti dell’Ortaccio non per campagna elettorale, ma per coerenza con una posizione che ho sempre avuto e che lui conosce bene”.

Non si è fatta attendere neanche la replica di Renata Polverini, governatrice uscente della Regione Lazio:

“Nella gestione dell’emergenza rifiuti legata alla discarica di Malagrotta, la Regione non ha scaricato alcuna responsabilità. Ha garantito al commissario Pecoraro e al commissario Sottile strumenti, mezzi e risorse economiche necessarie a supportare il lavoro della struttura commissariale, certamente non ‘scaricando’ sui commissari responsabilità, ma collaborando attivamente. Solo questa amministrazione regionale ha approvato, dopo anni di attesa, un piano regionale per i rifiuti, che ha permesso di chiudere la procedura di infrazione Ue”.

“E’ apprezzabile – prosegue la Polverini – la volontà di valutare la riconsiderazione del sito Monti dell’Ortaccio, su cui ho sempre espresso contrarietà per via delle condizioni ambientali già fortemente compromesse.

La Regione, coerentemente con quanto già dimostrato, non mancherà di supportare, laddove necessario, anche il lavoro del supercommissario”.




Rifiuti, la sottile “differenziata”

”Tra i nuovi compiti di Sottile, ammesso che accetti la nuova nomina del ministro dell’ambiente, c’è anche quello di sbloccare il termovalorizzatore di Albano”. 

Rumors sempre più pressanti parlano ormai chiaramente di un imminente incarico dato a Goffredo Sottile riguardante anche l’impianto di Albano, sbloccato da tempo (per la precisione da Aprile 2012), ma bloccato nei fatti per la bocciatura dei fondi pubblici necessari per la sua costruzione da parte del Consiglio di Stato.

(Fonte articolo, clicca qui
Anno nuovo, problemi vecchi, vecchissimi. 
Come la questione rifiuti di Roma e provincia, stucchevole quanto si vuole ma attualissima in tutte le sue criticità. 

La Valle Galeria è una pentola a pressione pronta ad esplodere da un momento all’altro. Da non trascurare la forma di protesta avvenuta il primo dell’anno con l’occupazione di un traliccio nella zona di Monti dell’Ortaccio. 

Per la verità per domani è programmata una maxiprotesta dei vari comitati civici, intenzionati a far valere le proprie ragioni e disposti a lottare su tutti i fronti per evitare sia la proroga di Malagrotta che l’apertura del sito temporaneo (3 anni) dei rifiuti:  Monti dell’Ortaccio, entrambi come si sa di proprietà dell’imprenditore Manlio Cerroni. 

Il prefetto Sottile nell’ultimo mese ha preferito prendere tempo, ma la clessidra si è già svuotata da un pezzo per cui c’ha pensato il ministro Clini a togliergli le castagne dal fuoco. Una decisione che a molti è parsa una sconfessione, anche se il numero uno dell’Ambiente usando la diplomazia ha parlato di “riconsiderare le autorizzazioni rilasciate dal prefetto”. 

Tutto ciò perché è in rampa di lancio un decreto sulle misure urgenti per la gestione dei rifiuti di Roma, un atto che punterà tutte sue le fiches sul riciclo. Il ministro dell’Ambiente sta completando, secondo quanto previsto dalla legge di stabilità, le verifiche tecniche e amministrative per l’emanazione del decreto che fisserà le “misure urgenti da realizzare entro i prossimi 60 giorni per assicurare che la gestione del ciclo integrale dei rifiuti di Roma sia organizzata e gestita secondo quanto stabiliscono le direttive europee e le leggi nazionali”. 

Per farla breve, nella riunione fissata per lunedì prossimo (a cui saranno presenti tutte le amministrazioni competenti e le imprese interessate come Ama e Acea), il ministero potrebbe far saltare il banco mettendo in discussione le decisioni già prese da Sottile: proroga di sei mesi della discarica di Malagrotta e autorizzazione per l’apertura di Monti dell’Ortaccio. 

“Il decreto – ha detto il ministro – si baserà su raccolta differenziata e recupero di materia ed energia ma punterà anche sul trattamento meccanico biologico, sul recupero della frazione organica e sulla produzione di compost di qualità, utilizzando in via prioritaria gli impianti che esistono nel Lazio e completando le procedure di autorizzazione di quelli da oltre un anno sotto esame delle amministrazioni competenti”. 

Clini ha aggiunto che “deve essere evitato il conferimento in discarica dei rifiuti non trattati”. Alcuni attivisti hanno pensato bene di lasciare alcune buste d’immondizia sotto casa del prefetto, mentre su un muro hanno appeso uno striscione con la scritta: “Basta discariche a Valle Galeria”. 

L’iniziativa di protesta è stata raccontata e accompagnata da foto in una nota diffusa dai comitati che si stanno battendo contro la proroga di Malagrotta e la decisione di realizzare la nuova discarica a Monti dell’Ortaccio. Si è trattato di un atto simbolico, “per dimostrare il nostro dissenso”, hanno spiegato i cittadini. 

Il prefetto ha anche detto che “l’ampliamento dei poteri del commissario è sicuramente utile”. Infatti tra le misure che Clini ha in mente c’è anche quella che prevede il “supercommissario” con più poteri. 

Se Sottile ha avuto il compito di individuare e autorizzare la discarica temporanea, scelta ricaduta su Monti dell’Ortaccio, il nuovo incarico di supercommissario potrebbe prevedere poteri sia sulla discarica definitiva che sulla gestione della raccolta.  Rumors vedrebbero in pole position per la nuova poltrona proprio Sottile, in continuità con l’incarico ricoperto fino a qualche giorno fa e ormai scaduto. 

Tra i nuovi compiti di Sottile, ammesso che accetti la nuova nomina del ministro dell’ambiente, c’è anche quello di sbloccare il termovalorizzatore di Albano. 

Nel frattempo si potrà utilizzare quello di San Vittore (Frosinone) o l’inceneritore di Colleferro. 

Il supercommissario istituito dal decreto (anche se Clini rifiuta la definizione:  “Sbagliato chiamarlo super, agirà di concerto con il governo e con il ministero”) dovrà organizzare tutta la gestione dell’immondizia romana e non soltanto le discariche, anche per ottemperare alle direttive comunitarie ed evitare l’enorme multa di Bruxelles. 

Il ministro non parla più di portare i rifiuti di Roma nelle altre province del Lazio, ma il progetto è ancora in piedi. Clini vorrebbe sistemare l’immondizia di Roma per circa un anno negli impianti della regione, e poi, dopo aver abbassato la quantità di tal quale (i rifiuti non trattati) trovare un’area a Roma. 

Come detto, domani la Valle Galeria scenderà nuovamente in piazza contro l’ipotesi di discarica a Monti dell’Ortaccio. 

L’appuntamento è alle 10 nella zona di Ponte Malnome, all’incrocio tra via della Pisana e Ponte Galeria, nello slargo davanti all’inceneritore. 

Da lì il via alla mobilitazione. 

Ha confermato la sua presenza anche il sindaco della Capitale, Gianni Alemanno.


Il nuovo anno della “monnezza” e del disonore

(Fonte articolo, Castelli Notizie, clicca qui

Addio 2012, anno della ‘monnezza’ e del disonore. 

Eppure ce l’abbiamo fatta, 
eccoci qui a salutare l’anno nuovo. 

Solo che di nuovo non c’è proprio niente, 
ancora monnezza e disonore. 

E nemmeno un pizzico di vergogna da parte di chi si dovrebbe andare a nascondere sotto terra. 

E sarebbero in tanti, troppi, la terra scoppierebbe di monnezza umana. 

E allora tutti a galla, buoni a cattivi, su questo pantano infetto che a malapena ancora ci sorregge. 

E auguri alla rinfusa a tutti quanti per un anno migliore. 

Auguri ai residenti di Valle Galeria, che hanno passato le feste natalizie a fare la guardia alla discarica di Monti dell’Ortaccio, che a dirla così pare una parolaccia, e stanno ancora lì mentre alcuni di loro protestano dall’alto di un traliccio.

Auguri ai comuni di Viterbo e di Latina che non sanno ancora se saranno i ricettacoli dei rifiuti di Roma, che andranno forse sparsi in tutta la Regione Lazio.

Auguri alla Spagna e alla Germania che forse dovranno rinunciare ai rifiuti di Roma.

Auguri a Goffredo Sottile e ai suoi cento giorni per la proroga di Malagrotta, che non è un covo di streghe e lupi mannari, ma la discarica prediletta di Manlio Cerroni.

Auguri a Corrado Clini e al supercommissario e loro collaboratori, per un lavoro di squadra che non sia squadrismo.

Auguri ai Comitati Cittadini sulla breccia ormai da cinque anni senza mai un attimo di requiem, e fermamente decisi a difendere a oltranza la vivibilità dei territori propri e altrui.

Auguri ai tanti giovani impegnati e volenterosi che sacrificano la propria vita e i propri interessi per dedicarsi alla tutela della collettività.

Auguri a Manlio Cerroni, imperatore unico e incontrastato della monnezza, cattolico romano di viva e imperitura fede nei propri dogmi: indagato e felice.


giovedì 3 gennaio 2013

Pillar of Defense chronicles: Anonymous e l'OpIsrael

La minaccia di Israele di gettare Gaza nel blackout informativo.  La sfera pubblica dei social media intossicata dal “Reality Distorsion Field” di Tel Aviv.  Anonymous prende posizione a fianco della Palestina e reagisce mettendo sotto attacco un'ampia porzione dello spazio digitale israeliano.  L'ultima parte di “Pillar of Defense chronicles” con le interviste agli ed alle hacktivist* che hanno partecipato ad #OpIsrael.

Pagina #OpFreePalestineReloaded
Facebook – Internet – Tempo asincrono
 Il principio è la separazione
la segregazione
distanze che dividono persone
prigioni a cielo aperto di un cielo senza stelle
usciamo allo scoperto scivolando sotto pelle...
Signor K in “La Machine” con Première Ligne e Les Evadés

Lo streaming di Radio Anonops, la web radio che da diversi mesi fa da colonna sonora alle imprese degli Anonymous di tutto il mondo, lancia a palla le rime del Signor K mentre l'#OpIsrael è in pieno svolgimento sullo spazio digitale israeliano.  Scelta azzeccata quella del dj dietro alla console:  un pezzo da battaglia, interpretato da un dreamteam di emcees internazionali, che scagliano rime come pietre, muovendosi in un'atmosfera dal sapore epico.  Su un tappeto musicale intessuto con batterie, archi e piatti gli idiomi si intrecciano e disegnano la trama di cento scontri e cento ferite inferte e subite.  Esattamente come accade sulla pagina Facebook #OpFreePalestineReloaded:  un quadratino di byte del giardino recintato di Mark Zuckerberg, dove il tempo viene battuto dall'applet di un orologio digitale che segna i minuti mancanti all'apertura delle ostilità contro le infrastrutture comunicative israeliane.  Quando, giovedì 15 novembre, le lancette del countdown si sono fermate, migliaia di Anonymous in tutto il mondo hanno dato il via alle danze con un numero incalcolabile di attacchi ed incursioni.  A finire nel mirino sono alcuni network veramente tosti, come quelli che veicolano i messaggi dell'esercito e delle istituzioni di Tel Aviv.

Anonymous ha scelto.  Ha scelto la sua forma di organizzazione, quella liquida, leggera e distribuita permessa dall'anonimato on-line, messa a punto e perfezionata in decenni di sperimentazione da parte delle controculture che lo hanno preceduto.  La forma migliore, dicono loro, in un mondo dove la tracciabilità dei comportamenti dell'individuo si eleva ormai a paradigma economico cui fa da contraltare un'intensificazione dei processi di sorveglianza diffusa.  Anonimato come spazio di libertà e di informazione sorto in rete ed oggi messo sotto attacco da un numero crescente di attori.  Non ultime le istituzioni militari che non si limitano più ad adattarsi all'ambiente della rete ma vogliono plasmarlo.  E così, come avvenuto nell'Egitto di Mubarak o nella Siria di Assad, Israele annuncia il taglio di Internet a Gaza, violando quell'unico diritto fondamentale in grado di ricompattare la comunità mondiale di Anonymous:  la libertà d'espressione.  A metà tra il bollettino militare e la dichiarazione di guerra, uno dei tanti comunicati che annuncia l'#OpIsrael parla chiaro:

«Abbiamo lanciato questa Op per UNA ragione ed una ragione sola, perché l'IDF ha minacciato di spegnere Internet.  Anonymous si preoccupa solo della difesa di Internet, perché tutta la libertà e la giustizia sgorga da essa – e perché sappiamo che cosa accade nei posti oscuri».

Ecco perché Anonymous ha scelto di stare dalla parte della Palestina.  O almeno, questo è il motivo dichiarato pubblicamente.

Anche questa forma di organizzazione presenta delle ambivalenze dove i punti di forza possono rapidamente mutare in limiti.  Hacker e mediattivisti arrivano su questa pagina Facebook da tutta le rete – allo scoccare della tregua saranno circa 1800 i “partecipanti all'evento” – facendo convergere sul monitor i ceppi linguistici più differenti: l'inglese domina ma una delle prime sfide da affrontare è riuscire a capirsi e dialogare.  Non è sempre facile in un habitat come questo dove l'entropia comunicativa cresce esponenzialmente ad ogni nuovo post in bacheca che annuncia l'abbattimento di un bersaglio o le coordinate – solitamente indirizzi web o classi di IP – su cui puntare gli strumenti di offesa che ognuno ha a disposizione.  Se chi è alle prime armi si accontenta di software rudimentali, come LOIC o Pyloris, gli hacker skilled tirano fuori dal loro bagaglio d'esperienza conoscenze più affilate per tagliare le reti digitali del nemico.  Le informazioni scivolano rapide e senza sosta sulla timeline, grondante di codice e riferimenti tecnici accessibili solo agli iniziati di questo sapere esoterico.  Un fiume di bit disordinato che si increspa ancora di più quando sopra il pelo dell'acqua esplode il boato di commenti dei “supporter” euforici per l'andamento dell'operazione.  Un tifo da stadio che evidenzia come la forte spettacolarizzazione delle azioni di Anonymous, nondimeno essenziale per la loro riuscita, coinvolga una fetta di utenti passivi come telespettatori:  usano la tastiera come un telecomando, si limitano a sintonizzare lo schermo su una trasmissione a cui non prendono parte ed al più esprimono apprezzamento con il televoto, con un “Mi piace” su Facebook o con un messaggio in sovrimpressione.  Non c'è però molto da stupirsi in questo senso.  Questa tendenza non è imputabile tout court alle pratiche Anonymous.  Al contrario ricalca un fenomeno di collasso e sovrapposizione tra linguaggi mediali vecchi e nuovi, di cui semmai Anonymous è espressione.
Pur nella staticità bicromatica del layout di Facebook è difficile non essere travolti da una sensazione di caos mentre il cursore del mouse scorre vertiginosamente la pagina verso il basso.  Le azioni rivendicate crescono di ora in ora, come gli inviti a fare fuoco contro gli obiettivi più disparati:  finiscono sotto attacco siti istituzionali (come il blog dell'IDF), banche, casinò e provider privati israeliani.  Anche le vetrine allestite per le public relations vengono infrante, come quelle del Vice Primo Ministro Silvan Shalom:  chi viola le sue pagine Facebook, Twitter e Blogger lascia in esposizione messaggi filo-palestinesi.  Un server dell'esercito viene espugnato ed i dati personali di 5000 ufficiali israeliani pubblicati in rete.  Passano le ore e l'operazione modifica la sua curvatura.  C'è una nuova priorità:  bisogna garantire le comunicazioni a Gaza.  La voce si sparge e qualcuno confeziona e diffonde il “Care Package”.  Scaricabile da uno dei tanti siti commerciali di data hosting, si tratta di un archivio contenente informazioni su come mantenere attive le trasmissioni col mondo esterno anche in caso di blackout di Internet.  Israele non resta certo con le mani in mano e reagisce con un'offensiva che mette sotto scacco il network di chat IRC VoxAnon.  Parallelamente molti profili Twitter e Facebook riconducibili ad hacktivisti di Anonymous vengono eliminati dai social network.  In pieno svolgimento della Op, Anonymous afferma che sono 10000 i siti abbattuti. Falso, dice il ministro della finanze Yuval Steiniz al termine delle ostilità:  solo un portale è andato fuori uso per qualche minuto e ben 44 milioni di attacchi sono stati bloccati. Una guerra di cifre a chi la spara più grossa?  Forse, ed il rumore di fondo generato dai network mainstream globali che riprendono entrambe le versioni disorienta e rende strabici.  Come nel pieno di una battaglia, la visuale si fa confusa ed è sempre più difficile capire da dove arrivano i colpi e verso quali obiettivi sono diretti.  Dobbiamo trovare un altro punto di osservazione per provare a capire ciò sta accadendo.
Network IRC AnonOps 
Internet – Tempo asincrono
La tregua tra Hamas ed Israele è stata siglata da poche ore dopo estenuanti giornate di trattative al Cairo:  nei canali di Anonops c'è fermento.  Anonops è un network di chat testuali basato sul IRC, un protocollo di comunicazione antenato dei social network ed ancora oggi amatissimo dagli hacker di tutto il mondo.  Gli anonymous per accedervi utilizzano diversi sistemi con l'intento di non rendere tracciabili le loro attività: quello più classico prevede l'incapsulamento dei propri dati attraverso una catena di tunnel crittografici e VPN (acronimo di Virtual Private Network).  In questa rete sono presenti almeno un centinaio di canali, ognuno battezzato con un nome diverso a seconda dell'operazione in cui i partecipanti sono impegnati.  Su quello denominato #OpIsrael il nervosismo è palpabile, stagna l'aria:  sono almeno 200 le persone presenti e nessuna di queste pare intenzionata a rispettare la tregua.  Gli animi sembrano parecchio accesi e non è certo il momento più adatto per andare a fare domande qua e là:  nel migliore dei casi si rischia di essere apostrofati come poliziotti e bannati dal canale.  Meglio alzare i tacchi e cambiare aria.

Nel canale italiano invece la situazione è più tranquilla.  Appare M0ff, una vecchia conoscenza dai tempi delle azioni contro la costruzione della TAV in Val di Susa.  Subito frena «No way bro'. Io non ho partecipato ad #OpIsrael:  in questi giorni ho avuto da fare».  Ma senza neanche bisogno di chiederlo aggiunge «Ma posso metterti in contatto con un paio di Anon che da diversi mesi se ne stanno occupando.  Aspetta qui».  Prima di scomparire però, spiega brevemente il putiferio che si sta scatenando nel canale in cui sono state coordinate le operazioni contro l'IDF e le altre strutture israeliane durante i giorni di Pillar Of Defense «Stiamo decidendo se rispettare la tregua o meno.  Io non sono d'accordo come molti e molte altre».  Sembra incazzato e l'idea di interrompere gli attacchi non gli va giù «La storia del conflitto arabo-israeliano negli ultimi 50 anni è stata una storia di “tregue” sempre interrotte dalle invasioni e dai bombardamenti di Tel Aviv.  Tregua 'stocazzo:  facciamo che prima torniamo ai confini del 1968 e poi parliamo di tregua».  E chiosa «IMHO [acronimo che sta a significare “In my humble opinion”] dobbiamo continuare a tenere gli israeliani sotto stress come fanno loro con i palestinesi.  Ora scusa, devo scappare».  

In attesa che i due operatori di #OpIsrael facciano la loro apparizione l'occhio torna a posarsi sulla timeline della pagina Facebook di #OpFreePalestineReloaded.  Sulla bacheca si alternano inviti a riaprire il fuoco, appelli alla calma e liste di nuovi obiettivi da colpire.  Uno degli amministratori prova a calmare le acque aprendo un sondaggio ed invitando i frequentatori della pagina ad esprimersi in merito al proseguimento delle ostilità contro l'IDF:  i si sono praticamente un plebiscito.  Ad un tratto la barra di notifica di Xchat nell'angolo in alto a destra dello schermo riprende a lampeggiare:  «'Sera.  Ci hanno detto che ci stavi cercando»Quiet e Storm:  sono questi i nomi con cui i due Anonymous si presentano.  Storm è una ragazza, o almeno così dice, conosciuta in tutto il network AnonOps.  Gentile, disponibile e sveglia, ha la nomea di essere un personaggio facile all'ira, pronta a trasformarsi in una furia, sopratutto di fronte alle domande fastidiose di utenti alle prime armi che giocano a fare gli hacker:  aspiranti Anonymous troppo pigri per imparare davvero qualcosa.  Alcuni degli italiani l'hanno soprannominata “la segugia”:

«E' per via del mio fiuto.  Di tanto in tanto abbiamo visite indesiderate in canale.  Gente che si spaccia per Anonymous e prova ad infiltrarsi nei nostri gruppi.  Li individuiamo con un po' di social engineering e poi li smascheriamo. Puoi immaginare di chi sto parlando».

Sbirri? Servizi di intelligence?  Altri hacker al soldo di imprese private?  Non risponde.  Se Storm sembra essere una Anonymous capace ma, come lei stessa afferma, «con ancora molto da imparare» Quiet da invece l'impressione di essere un veterano delle guerre in rete.  Pacato e riflessivo, le sue conversazioni alternano perifrasi eleganti ad espressioni gergali angolofone, creandogli attorno un'aura di inafferrabilità ed indefinitezza.  Una sensazione accresciuta dal carattere poliedrico del personaggio, dotato di un background culturale chiaramente vasto: durante la conversazione spazia con eleganza tra differenti temi, servendosi di vocabolari e terminologie che vanno dall'informatica, agli studi strategici fino alla teoria dell'informazione. «Load of bullshit!» esordisce, sintetizzando in modo efficace il suo pensiero sul fatto che Anonymous abbia deciso alla fine di uniformarsi alla tregua «Avevamo momentum e rimettere in moto gli ingranaggi nel caso ce ne fosse bisogno potrebbe richiedere qualche giorno:  sai, carburare bene, fare recruiting diffondere nuovamente la voce».  Tanta è la sua amarezza per l'arresto forzato di #OpIsrael quanto poca è la sua stima nel governo di Tel Aviv «Sono antisionista e ritengo che ci si debba fidare di Bibi quanto stare dietro ad un mulo pronto a calciare: non capisco che senso abbia giocare pulito quando il tuo avversario colpisce sotto la cintola e tira sabbia sotto gli occhi».
Una linea di condotta sporca che Anonymous non ha tenuto.  Al solito, ha giocato seguendo le sue regole ma ha rispettato rigorosamente ad alcuni principi cardine del suo agire:  non solo la scelta di osservare la tregua ma anche quella di non attaccare i media israeliani, «nonostante» sostiene Quiet «fossimo in possesso di vulnerabilità su netvision.co.il».  Il suo è un dissenso alimentato da motivazioni tattiche, su cui concorda anche Storm che, in modo secco si limita ad aggiungere come «non sia sufficiente una tregua a cancellare le atrocità, la barbarie e le vessazioni che il popolo palestinese ha dovuto e sta continuando tutt'ora a subire».
Entrambi cercano di fare chiarezza e raccontano con precisione quelle che sono state le differenti fasi che hanno segnato l'#OpIsrael.  Le attività contro Israele, specificano, sarebbero comunque cominciate se l'IDF non avesse minacciato di tagliare Internet e si fosse “limitato” a bombardare Gaza:  dal loro punto di vista un'invasione di terra in stile “Piombo Fuso” è ben più grave e neanche lontanamente comparabile ad un blackout delle telecomunicazioni.  Ma quest'ipotesi, riverberata in meno di un'ora su tutti i network informativi del pianeta, ha fatto da elemento catalizzatore tra gli Anonymous che in modalità crowdsourcing hanno confezionato dichiarazioni di guerra ad Israele postate su Yotube e Pastebin.

La chiamata alle armi in difesa della libertà d'espressione è stato più che altro un escamotage retorico per provocare un forte impatto mediatico:
«A nostro avviso internet rimane una priorità per i palestinesi:  senza di esso» dice Quiet «documentare quanto avviene sarebbe praticamente impossibile».

I due d'altra parte sono perfettamente a conoscenza delle attività di propaganda e disinformazione messe in atto da Israele sui social network.
Una partita giocata non solo con la mobilitazione di gruppi organizzati filo-sionisti ma anche con l'ausilio dei bot messi in campo dall'IDF:
programmi automatizzati che simulano il comportamento umano, il cui scopo è quello di diffondere FUD (termine che sta per Fear, Uncertainity, Doubt) nelle reti sociali .  «Un fatto questo che ci indispone particolarmente, viste le atrocità che stanno commettendo.  La loro potenza di fuoco, il loro know-how e le loro risorse nell'ambito della guerra telematica e della distorsione della realtà sono notevoli.  Ecco perché ostacolarli anche su Internet, ed allo stesso tempo tenere aperto un canale di comunicazione con i gazawi sotto assedio, ha una certa importanza.  Anche se forse loro, preferirebbero azioni piu' drastiche :-) ».

L'Op si è articolata su quattro diversi fronti:  il primo è stato quello di riportare notizie ed avvenimenti tramite anons e collegamenti di vario tipo in prossimità delle zone colpite«Fare campagne di informazione» si affretta a puntualizzare Storm «è sempre stato uno dei nostri obiettivi principali:  fare informazione pulita e sopratutto scavalcare i gatekeeper, troppo spesso succubi delle logiche del potere» .  Un altro obiettivo è stata sferrare attacchi DDOS, in maniera selettiva o indiscriminata a seconda del momento, contro qualsiasi target il cui dominio fosse co.il:  certo, le preferenze degli Anonymous si sono sempre indirizzate verso portali particolarmente rilevanti come network militari, il blog dell'IDF, il sito del Likud, quelli delle sedi diplomatiche o delle banche israeliane.  «Quelli che mi hanno galvanizzata di piu' sono stati quelli alla banca di Gerusalemme ed al ministero degli affari esteri» ridacchia Storm «Avevano sopratutto un forte valore simbolico contro la lobby sionista assetata di denaro».  Black faxing alle ambasciate ed il DDOS tramite applicativi VOIP ad alcuni numeri governativi ed istituzionali sono state alcune delle varianti sul tema.
Il terzo fronte invece ha comportato il defacciamento di massa di interi domini israeliani, non importa se governativi o di entità private. Infine l'attività di Anonymous si è concentrata sulla divulgazione di informazioni secretate (il cosiddetto leaking) ottenute mediante le violazione del perimetro di sicurezza delle reti militari israeliane.  Secondo Storm «c'è stata un'esplosione di messaggi e azioni pro-Palestina nel cyberspazio imperialista Israeliano.  E' stato il nostro modo per gridare al mondo un messaggio di solidarietà ed invitare a prendere posizione rispetto a quanto stava accadendo».  E vista l'entità degli attacchi «per contrastarci hanno dovuto investire somme di denaro, tempo, risorse e personale senza dubbio non indifferenti» conclude Quiet.

Si tratta di prime spiegazioni, senz'altro utili per riuscire ad orientarsi nel pandemonio scoppiato a ridosso di #OpIsrael, ma che non risolvono molti dubbi ed interrogativi.  Il primo è relativo al famoso Care Package, l'archivio di informazioni e tutorial diffuso da Anonymous, con l'intento di fornire ai palestinesi un paracadute, qualora il governo di Tel Aviv avesse deciso di scaraventare Gaza nel vuoto pneumatico del buio informativo.
I Gazawi, un popolo che da decenni vive sotto assedio e resiste ad un oppressore spietato e potentissimo, avevano davvero bisogno che qualcuno spiegasse loro come cavarsela in una situazione di questo genere?
La risposta è corale «Si è servito e non sono stati pochi i ringraziamenti espressi mediante social network.  E' stata una reazione d'urto alla situazione in cui versavano le telecomunicazioni, un valore aggiunto alla lotta che già veniva portata avanti».  Ed in effetti sulla stessa pagina dei GYBO all'entrata in vigore della tregua ha fatto capolino in un post la maschera di Guy Fawkes con in calce la scritta “We Are Anonymous”.  «Anche se» chiarisce Quiet «È difficile quantificare l'impatto reale che può aver avuto.  Ma se è servito anche ad una sola persona ritengo sia stato un gesto meritevole».  Mentre prova a cercare delle statistiche (che alla fine non riuscirà a trovare) sul numero dei download del Care Package effettuati da MediaFire, sottolinea che l'organizzazione di un insieme di conoscenze utili in un unico pacchetto avrebbe semplificato notevolmente le cose, sia come curva di apprendimento che come deployment time, se Israele avesse davvero deciso di portare a compimento i suoi intenti iniziali «Un conto è doversi formare su problematiche tecniche spesso complesse ed andare a cercare programmi in rete, leggendosi i relativi tutorial.  Un altro è avere un file zip con tutti i tools e la documentazione relativa».

Che la rag-tag army di Anonymous si sia mossa a tambur battente, ricevendo grande attenzione tra gli utenti della rete e nel circuito mainstream è fuor di dubbio.  Sono li a dimostrarlo anche le classifiche di Pastebin, la piattaforma di scrittura collettiva utilizzata per redigere comunicati, condividere informazioni sulle vulnerabilità dei siti da attaccare o approntare tutorial per gli Anons più inesperti:  nel timeframe degli ultimi 30 giorni tra i “most popular pastes” ne affiorano molti che si riferiscono ad #OpIsrael.  E le dichiarazioni fatte a mezzo stampa dal ministro delle finanze israeliano – il quale ha dichiarato che Israele è stato in grado di respingere 44 milioni di attacchi – non hanno fatto altro che amplificare quest'attenzione «Ma quella è stata una stronzata colossale e sensazionalistica, montata per meri fini di propaganda» sbotta Quiet all'improvviso, perdendo per pochi istanti quell'aplomb che calza come un guanto al suo nickname «Sono certo che parlasse di singoli pacchetti e non attacchi.  E se consideri che basto io con un LOIC a generarne 100000 in dieci minuti, capisci da te come le sue parole escano drasticamente ridimensionate».  La guerra di propaganda è una foresta di specchi dove tutto appare deformato, diverso da ciò che è realmente.  Anonymous sembra saperlo perfettamente:  «10000 siti attaccati da parte nostra? Una trollata a cui alcuni media hanno abboccato».  Niente di più facile in un mondo dove le redazioni giornalistiche hanno la necessità di arrivare per prime e vendere di più.  Per farlo privilegiano le fonte che usa le cifre più impressionanti, a prescindere dal loro grado di affidabilità.  Poi quella ben nota dinamica di convergenza e reciproca influenza tra grandi testate giornalistiche – copro anche io una news che stai coprendo tu per non perdere fette di audience – fa il resto e ad una “trollata”, ad una bufala, magari concepita in chat tra lo sghignazzamento generale, viene dato risalto internazionale.

«Gli attacchi che abbiamo portato avanti non sono stati 10000 ma certo in un numero che si aggira nell'ordine delle migliaia».  E qui, viene da pensare, la foresta di specchi diventa labirinto dove identità e organizzazione Anonymous sono un giano bifronte i cui punti di forza sono anche quelli di debolezza.  Visto il peso che Israele ha nell'industria della cyber-sicurezza che cosa avrebbe potuto impedire che dentro la massa anonima, schieratasi a fianco della Palestina e mossa da motivazioni genuine, non si siano aggregati elementi che di Anonymous non aveva proprio nulla?  Magari mercenari, organizzazioni criminali o hacker al soldo di altri stati che confondendosi nell'enorme rumore di fondo generato dall'#OpIsrael, avrebbero facilmente potuto perseguire interessi che poco avevano a che fare con il sostegno al popolo gazawi.  Detta in altro modo:  non c'è dubbio che a Teheran la vicenda del virus Stuxnet (progettato dalla crema delle truppe informatiche israeliane e con cui erano state messe fuori uso le centrifughe degli impianti nucleari iraniani) bruci ancora parecchio.  Quale occasione migliore di questa per rispondere al fuoco senza rendersi individuabili, facendosi scudo di un brand così trasversale?  E tutto questo al netto del fatto che da diversi anni Anonymous concentri molti dei suoi sforzi proprio sul panorama iraniano.  A rispondere a queste perplessità per prima è Storm, la quale ammette che «questo è un problema di fronte al quale possiamo fare ben poco.  Per esempio abbiamo immediatamente “congedato” degli hacker nazisti che avevano provato ad aggregarsi.  Ma non abbiamo alcuna garanzia che questi non si siano ripresentati sotto mentite spoglie»«Va detto però» dice Quiet cominciando ad esplorare la questione «che è qualcosa di cui siamo consapevoli.  Non escludo affatto che alcuni appartenenti ad aziende private di IT security, alle forze armate o ai servizi israeliani siano entrati in chan per monitorare, loggare, sabotare, far deragliare e perdere il focus dell'Op:  anzi, so per certo che almeno un NCO [unità non combattente] dell'IDF era presente.  Non ho notizia della presenza di altre agenzie di intelligence» conclude Quiet «ma la ritengo molto probabile».  Si tratta insomma di un rischio calcolato, il cui margine è però ridotto drasticamente da due fattori. Primo, chi partecipa alle Op ne è a conoscenza.  Secondo, le caratteristiche molecolari della forma di organizzazione di Anonymous possono peccare in efficacia ed efficienza ma la rendono «una cosa talmente scoordinata che è difficile imbrigliarci o disgregarci».  In mancanza di una struttura piramidale, l'iniziativa viene spesso lasciata ai singoli senza che questi attendano alcuna direttiva dall'alto: una volta individuata una breccia nei sistemi di difesa di un particolare obiettivo, se ne discute in canale e si decide se aprirla o meno. Un sistema di sorveglianza non funziona se chi ne è oggetto ne ha cognizione.  Un sistema di difesa non crolla se il nemico non è in grado di individuarne il centro di gravità su cui indirizzare i suoi sforzi.

Due principi fondamentali dell'arte della guerra. 
Che valgono per Anonymous. 
Ma anche per i suoi avversari.
La conversazione è durata fin troppo:  nonostante l'affabilità ed il tempo concesso ora i due Anonymous scalpitano per tornare alle loro stringhe di codice ed ai loro terminali.  Accettano però di rispondere ad un'ultima domanda prima di dileguarsi.  Non può che essere una:  chi è il vero vincitore in questa guerra?  «E' particolarmente difficile indicare un chiaro vincitore in questa situazione.  Complessivamente direi i palestinesi.  Noi eravamo solo una forza di supporto, la falange che piomba sui ranghi nemici sorprendendoli sul lato» spiega Quiet.  «Nostro obiettivo era garantire supporto ai palestinesi, anche solo cercando di sottrarre risorse e coordinazione ad Israele costringendoli alla mobilitazione sia sul fronte di terra che su quello virtuale». Dal suo punto di vista proprio Israele è uscito malconcio dallo scontro mediaticamente parlando. Ritiene infatti che, nonostante Tel Aviv abbia innalzato il suo Reality Distortion Field«altro che Iron Dome!» esclama – e mobilitato armate di follower e profili fake sui social media, la sua narrazione sia stata poco convincente:  «Non mi paiono all'avanguardia in fatto di public relations e damage control:  fare dei report ad intervalli di un'ora su Twitter e Facebook non è che richieda un granché».  È tutto l'approccio dell'IDF che, a suo dire, non funziona, incapace com'è di comporre una sintesi efficace tra i vettori comunicativi utilizzati:
il tentativo di muoversi su un piano morale per giustificare le azioni intraprese, l'incapacità di farne trasparire delle motivazioni accettabili e l'eccessiva disinvoltura con cui viene appiccicata l'etichetta “danni collaterali” ai morti civili sul campo («quando in realtà si capisce benissimo che sono solo dei numeri su uno spreadsheet di qualche ufficio d'intelligence»). Di opinione non dissimile è Storm la quale ritiene che il tentativo di censura messo in atto da Israele sia stato scavalcato.   

«Ma la guerra continua» chiosa prima di chiudere la finestra di chat «e noi non smetteremo di far sentire la nostra voce e di dare voce a chi ne è privo, come hanno fatto altri prima di noi.  
Penso a Vittorio Arrigoni:  questa battaglia è anche per lui, per mantenere viva la sua memoria ed il suo esempio».

Anche Anonymous stays human.


Approfondimenti

Rifiuti, da Roma alla Calabria: l'Italia nella morsa dell'emergenza

In molte città, a iniziare dalla capitale, la differenziata stenta e le discariche sono piene:  l'immondizia invade le strade mentre aumentano le tasse per lo smaltimento.  E dietro l'angolo ci sono le pesanti multe dell'Unione europea
dal sito: http://www.repubblica.it

ROMA - E' la classica beffa che arriva dopo il danno.  Dal prossimo aprile, come denunciavano nei giorni scorsi Adusbef e Federconsumatori, la tassa sui rifiuti aumenterà del 25% per cento per le utenze familiari con punte anche del 300% per gli esercizi commerciali.  Una stangata che arriva non a fronte di un miglioramento del servizio, ma di un'emergenza continua che colpisce molte città del sud senza risparmiare la stessa capitale.

Se Napoli e Palermo continuano a dibattersi negli ormai purtroppo consueti problemi, questa volta l'epicentro della crisi si è spostato tra Puglia e Calabria.  Disagi molto forti nei giorni scorsi in particolare a Foggia dove in una situazione di storiche carenze si sono aggiunte le minacce della criminalità organizzata.  La giunta cittadina, dopo che le strade nei giorni di festa sono state invase da alte colonne di rifiuti, garantisce di aver risolto con un'azione di raccolta straordinaria e lo sblocco della vertenza che impediva l'assunzione di nuovi addetti, ma secondo gli ambientalisti si tratta solo di una soluzione di breve respiro in quanto i problemi di fondo rimangono:  "L'emergenza nel tempo è stata costituita dall'esaurimento della discarica poi dal fallimento dell'azienda Amica oggi come l'anno scorso dalla raccolta dei rifiuti in città - denuncia Legambiente - Tutto questo lascia pensare ad una vera e propria strategia per far passare quello che non era lecito:  allargamento delle discariche e loro funzionamenti in deroga" [cosa che nel Lazio avviene da decenni senza che nessuno si scandalizzi n.d.r.].

Situazione molto pesante anche a Reggio Calabria, Catanzaro e Lamezia Terme dove nei giorni scorsi le strade sono state sommerse dall'immondizia per la difficoltà delle vecchie discariche di Alli, Pianopoli e della stessa Lamezia Terme ad assorbire i rifiuti prodotti.  Della vicenda si sta occupando ora il Commissario regionale per l'emergenza che ha garantito un rapido ritorno alla normalità nel giro di pochi giorni attraverso "soluzioni di continuità per cercare di dare risposte concrete ad una serie di problematiche che di fatto hanno mandato in tilt quasi l'intero sistema di conferimento dei rifiuti".  Emergenza nell'emergenza poi a Reggio Calabria, dove lo stesso comune è comissariato per mafia e i dipendenti delle società che si occupano della raccolta sono da tempo senza stipendio, con il risultato che la città, dove la differenziata non funziona, è piena di rifiuti.  Così come le vie di molti municipi della Piana di Gioia Tauro i cui sindaci hanno manifestato ieri davanti all' [inceneritore] di contrada Cicerna.

Non degenera ancora, ma è sempre sul limite di esplodere, la gestione dei rifiuti a Roma.  Nella capitale si va avanti a colpi di deroghe dopo che la gara per esportare l'immondizia all'estero è andata deserta.  L'ultima proroga per continuare a stipare all'inversomile al discarica di Malagrotta è stata concessa dal commissario Goffredo Sottile giovedì scorso, contestualmente alla scelta di Monti Dell'Ortaccio quale sito per il nuovo impianto di conferimento.  Scelta che ha scontentato non solo gli abitanti delle due zona (Malagrotta come Monti dell'Ortaccio), subito scesi in strada per potestare, ma anche il sindaco Alemanno e gli ambientalisti, solitamente schierati su fronti opposti.

Soluzioni tampone varate sempre nella logica dell'emergenza che non serviranno a risolvere in maniera radicale il problema.  Oltre ai disagi sociali, i rischi sanitari, i prezzi elevatissimi della Tarsu, alla voce "costi dei rifiuti" si rischia di dover presto aggiungere anche le salatissime multe che l'Unione Europea si accinge a farci pagare per la nostra incapacità di ridurre drasticamente il ricorso alle discariche e di evitare l'apertura di siti illegali.  Il conto è di 56 milioni di euro "cash", più 256 mila al giorno per ogni giorno di funzionamento delle discariche all'indomani di una seconda sentenza di condanna per Roma da parte della Corte di Lussemburgo.

L'unica vera cura sarebbe quella di spingere al massimo sulla differenziata. Se a Roma si va avanti con il fallimento delle soluzioni spot, pensate per fini propagandistici ma senza vere ambizioni di successo, qualche raggio di sole arriva da Acerra e Bari.  Il comune campano simbolo dell'emergenza rifiuti è riuscito sorprendentemente a toccare quota 62% [bisognerebbe approfondire però COSA si fa passare sotto la voce di raccolta differenziata n.d.r.], con un incremento annuale del 52%.  Nel capoluogo pugliese, è notizia di ieri, gli albergatori hanno ottenuto invece uno sconto del 60 per cento sulle cartelle della Tarsu grazie a delle cifre record di raccolta differenziata da record:  65 per cento per le strutture con ristorante e 60 per cento per quelle senza.



Monti Ortaccio: blocchi su via Portuense, tensioni davanti Malagrotta

dal sito http://www.romatoday.it

Bloccato l'ingresso dell'impianto Ama della Valle Galeria.  In 500 protestano contro la proroga all'impianto di Cerroni e la scelta di Sottile

L'onda di protesta è ripresa ieri dopo la decisione nella serata di giovedì da parte del commissario Goffredo Sottile che ha indicato il sito di Monti dell'Ortaccio come idoneo ad accogliere parte dei rifiuti di Roma con una proroga all'impianto di Malagrotta.  Cittadini della Valle Galeria contrari alla possibile discarica tra i Municipio XV e XVI che anche stamattina hanno proseguito con le proteste bloccando l'ingresso e l'uscita dell'impianto di incenerimento dei rifiuti ospedalieri dell'Ama.

"Siamo circa 500 abitanti della Valle Galeria che protestano contro la proroga di Malagrotta e la realizzazione di una discarica a Monti dell'Ortaccio",
le parole di Alessandro, esponente dei 'Cittadini liberi della Valle Galeria'.  "Qui è tutto bloccato - dice anche Celestino, un altro dei manifestanti - la lotta sarà dura, non ci fermiamo finché non si recede dalla decisione di realizzare una discarica a Monti dell'Ortaccio".  Alessandro aggiunge:  "ci sono arrivate garanzie che dopo Capodanno il sindaco di Roma, Gianni Alemanno, protesterà con noi, con la fascia tricolore, contro questa decisione".

Ponte Galeria: blocco via Portuense 28.12.201
TENSIONI A MALAGROTTA
Proteste che hanno portato a tensioni davanti alla discarica di Malagrotta con i manifestanti che stanno impedendo ai camion di rifiuti dell'Ama di uscire dai cancelli. Il posto è presidiato dalle forze dell'ordine che stanno cercando di calmare gli animi, dopo aver bloccato la via Portuense per circa due ore.
DECRETO CLINI
Intanto, per evitare multe consistenti dall'Unione europea per infrazione sulla messa in sicurezza delle discariche non in regola, il ministro dell'ambiente, Corrado Clini, nei primi giorni di gennaio potrebbe emanare un decreto sulla gestione dei rifiuti nel Lazio e nominare un supercommissario. Sarebbe questo l'orientamento emerso al termine di un incontro del ministro con il commissario per l'emergenza dei rifiuti a Roma, Goffredo Sottile, durante il quale - a quanto si è appreso - sarebbe stata fatta una ricognizione tecnica sulla produzione dei rifiuti nella regione e sulla situazione degli impianti di trattamento e smaltimento. Dall'analisi dei numeri, è stata evidenziata - tra l'altro - la diversa capacità di capienza dei vari impianti e la disparità nel riempimento per cui alcune discariche sono sature.  Con il decreto potrebbe essere decisa una sorta di compensazione, di riequilibrio, così che i rifiuti prodotti nelle diverse province possano essere distribuiti negli impianti non ormai pieni, su tutto il territorio regionale.  Questa soluzione interverrebbe a Roma dove è stata decisa ieri una proroga per la mega discarica di Malagrotta, che avrebbe dovuto essere chiusa lunedì prossimo, e nelle more della realizzazione, poco distante, di una discarica provvisoria per i soli rifiuti trattati nel contestato sito di Monti dell'Ortaccio, la cui apertura potrà avvenire fra alcuni mesi, ed è vincolata alla presentazione di "un modello idrogeologico" da cui risulti senza alcun dubbio l'assenza di pericolo di inquinamento della falda.

SUPERCOMMISSARIO  
Una decisione su chi sarà il supercommissario non è stata ancora presa ufficialmente ma l'incarico potrebbe essere affidato allo stesso Sottile che potrebbe essere affiancato dal Conai (Consorzio nazionale imballaggi) che ha già presentato un piano per la raccolta differenziata. Nell'incontro fra il ministro e il commissario, si è ricordato che nel Lazio vengono prodotti ogni anno oltre 3,2 milioni di tonnellate di rifiuti urbani di cui circa 2,4 a Roma e il totale dei rifiuti indifferenziati nella regione supera le 2,6 tonnellate (la racconta differenziata è di poco meno del 20%; solo Rieti ha il 100%). Oltre 1,6 milioni di tonnellate all'anno vengono smaltiti senza essere sottoposti ad alcun trattamento.

mercoledì 2 gennaio 2013

Buon anno 2013 dagli Uomini Ombra

Chi non si muove 
non può rendersi conto delle proprie catene. 
(Rosa Luxemburg)
 
Buon anno 2013:  L’uomo ombra aspetta per niente, aspetta un fine pena che non arriverà mai. E aspettare per nulla uccide il cuore di qualsiasi uomo. D’altronde non abbiamo scelta, se lasciamo fare agli altri non avremo mai una speranza che un giorno finiremo la nostra pena. Per questo, se nei prossimi mesi non interverranno nuovi avvenimenti a darci una speranza, abbiamo creato una lista di ergastolani, ostativi a qualsiasi possibilità un giorno di poter tornare liberi, che nell’estate 2013 inizieranno uno sciopero della fame per far conoscere in Italia l’esistenza della “Pena di Morte Viva”. 

L’unica paura che l’uomo ombra non ha è quella di morire perché solo rischiando di farlo forse un giorno riuscirà a vivere.

D’altronde non ci resta altro che lottare con la testa, il cuore e la vita. E in tutti i casi non conosciamo altri modi per darci una speranza. Forse questa non è l’unica scelta che abbiamo, ma non riusciamo a vederne altre.  E poi non abbiamo più tempo per altre forme di lotte, abbiamo solo il tempo che ci resta.

Buon anno 2013: Per gli uomini ombra morire in carcere è una vittoria, mentre è una sconfitta per la società, poiché quando ti condannano all’ergastolo ostativo inizi a morire fin quando non smetti di respirare. C’è rimasta solo la vita e con quella lotteremo contro la “Pena di Morte Viva” , perché per gli uomini ombra ci sarà sempre e solo questo maledetto presente.  Eppure sentiamo che non siamo solo il male che abbiamo fatto, potremmo essere anche il bene che potremmo fare, se qualcuno ci desse una speranza o un’altra possibilità, una sola, perché qualsiasi pena ti dovrebbe togliere la libertà, ma non la speranza, perché senza di quella non ci può essere vita.

Buon anno 2013:  L’uomo ombra aspetta per niente, aspetta un fine pena che non arriverà mai. E aspettare, attendere per nulla, uccide e tortura il cuore di qualsiasi essere umano. Alcuni hanno capito che la libertà dipende anche da noi: dobbiamo solo lottare con la mente, con il cuore e la vita, gridando che gli assassini non sono solo quelli che uccidono, lo sono anche quelli che ti lasciano in vita per farti soffrire di più, perché l’ergastolo ostativo è una pena disumana che ti fa odiare Dio, l’Universo e chi ci abita. Molti uomini ombra sono in carcere da venti, alcuni da trent’ anni e più, e pensano che molto difficilmente potranno un giorno uscire dalla loro tomba. E lo scorrere del tempo, lasciandoci dove siamo, ci sta uccidendo e torturando più di qualsiasi altra pena.

Buon anno 2013:  A tutte le persone che pensano che sia giusto in nome della giustizia e delle vittime dei reati murare viva una persona, senza la compassione di ucciderla prima.

Buon anno 2013: A Margherita Hack, a Umberto Veronesi, alle centinaia di Primi Firmatari e agli oltre 24.000 cittadini che hanno firmato contro l’ergastolo, per avere avuto il coraggio di aiutarci, di averci messo la faccia, di sostenerci e di non essere d’accordo a trasformare la giustizia in vendetta. E di avere capito che è impossibile rieducare una persona senza prima perdonarla e amarla.

 
Un abbraccio fra le sbarre ai vostri cuori
da tutti gli uomini ombra.

Carmelo Musumeci
Carcere Padova, Dicembre 2012