Comunicato di pubblica resistenza al DDL intercettazioni

Gentile Onorevole Presidente del Consiglio dei Ministri Silvio Berlusconi, in questi giorni, in queste ore, il Parlamento della Repubblica Italiana è impegnato in una corsa contro il tempo per una più che rapida approvazione del disegno di legge firmato dall'Onorevole Ministro della Giustizia Angelino Alfano e noto come "ddl intercettazioni".

Il provvedimento rappresenta una delle più drastiche limitazioni al potere d'indagine che compete ai magistrati inquirenti del nostro paese e, al contempo, la più dura, feroce e devastante limitazione al diritto costituzionale di informazione; il diritto di farla e il diritto di riceverla.

Il progetto di legge, per mezzo dei suoi punti fondanti, impedisce il racconto giornalistico su fatti giudiziari di pubblico dominio e privi di segreto, stabilisce pene detentive e pecuniarie pesantissime verso chiunque osi divulgare verità giudiziarie, introduce nuovi obblighi di rettifica per i blog minandone la sopravvivenza, trasforma in crimine il diritto dei cittadini vittime di crimini di raccogliere prove audio e video a dimostrazione del reato e stabilisce odiose discriminazioni tra forme di giornalismo, all'interno di una drammatica limitazione del diritto ad effettuare inchieste giornalistiche.

Il diritto all'informazione nelle sue forme più elementari, il principio di legalità e la ricerca della giustizia vengono totalmente smantellati da tale provvedimento.

Pertanto questo sito internet dichiara sin da adesso che, per imprescindibili motivi etici e in ragione della difesa del diritto alla libertà di parola e di stampa, solennemente sancito dalla Costituzione italiana e dalle leggi vigenti, in caso di approvazione in via definitiva e di conversione in legge, non potrà attenersi in alcun modo alle norme che compongono il disegno di legge sulle intercettazioni.

Questo sito si dichiara altresì .. per imprescindibili motivi sia etici che politici .. deberlusconizzato .. demontizzato .. degrillizzato

sabato 21 settembre 2013

Bandar Bush, che guida le "nostre" guerre


Un principe saudita fa e disfa da solo la politica bellica americana e di conseguenza quella occidentale, dal medioriente al Pakistan, fino alla Somalia. Un uomo da conoscere meglio.

BANDAR BUSH
Bandar Bin Sultan è stato ambasciatore saudita a Washington dal 1983 al 2005, dopo di che è diventato Segretario Generale del Consiglio di Sicurezza Nazionale e, dal 19 luglio 2012, capo dell’agenzia saudita per lo spionaggio. Nei lunghi anni trascorsi a Washington ha coltivato una profonda amicizia con la famiglia Bush, che ha accompagnato attraverso numerose guerre, beneficiato con la sua generosità e riempito di buoni consigli, fino ad essere considerato pubblicamente da G. W. Bush come un membro della famiglia e assumere il soprannome di Bandar Bush.

QUASI PRIMOGENITO
Bandar è figlio del precoce Sultan bin Abdulaziz Al Saud, uno dei sette sudairi, i figli del fondatore della dinastia, che lo ha avuto appena diciannovenne da una concubina Nato il 2 marzo del 1949 e forse anche qualche giorno prima di essere registrato ufficialmente, è stato così il primogenito, anche se il fratellastro Khalid Bin Sultan, nato il settembre successivo da madre nobile e in costanza di matrimonio gli ha soffiato il riconoscimento ufficiale. Ha così sofferto la concorrenza di 32 fratelli e sorelle avuti ufficialmente da 12 mogli ufficiali, tanto che non ha potuto vedere il padre fino all’età di 8 anni e solo qualche anno dopo la morte del nonno Abdulaziz ha potuto andare a vivere nella casa paterna insieme alla madre, all’epoca della sua nascita una popolana analfabeta, nonostante Sultan lo tenesse in buona considerazione e lo volesse con sé da tempo.

IL MITICO PADRE
Sultan ha occupato a lungo la posizione di ministro dell’aeronautica e della difesa e nella vita ha comprato enormi quantità di materiali militari, soprattutto dagli Stati Uniti, essendo un fervente filo-americano e profondamente ostile ai sovietici, nella sua visone del mondo pericolosi senza Dio. Gran parte della sua ricchezza deriva secondo la vulgata corrente dalle pesanti percentuali che ha intascato comprando aerei e sistemi d’arma in giro per il mondo, soprattutto a Washington, dove non si sono scandalizzati troppo per le tangenti che ha preteso e nemmeno per il fatto che gli ordinativi eccedessero le necessità e spesso anche il buon senso. Pare infatti che buona parte delle forniture militari una volta arrivata in Arabia Saudita giaccia eternamente nei depositi, perché mancano i soldati e le professionalità per utilizzarle, per non dire delle occasioni, visto che i sauditi fanno la guerra con i soldi e non con i battaglioni che non hanno. In compenso spendono molto per la loro manutenzione, quasi tutto il budget miliardario della difesa saudita se ne va per mantenere armi che non servono, visto che per reprimere le timide proteste i sauditi si servono del terrore e troncano con la violenza qualsiasi flebile deviazione dalla linea, e che l’intoccabilità è garantita dalla protezione americana, la migliore sul mercato.

IL CLIENTE
Con Sultan l’Arabia Saudita è diventata il primo cliente straniero per le armi americane e uno dei pochi che paghino davvero, visto che anche gli ingenti aiuti militari a paesi come Egitto, Israele, Yemen e via enumerando sono in realtà pagati con il denaro dei contribuenti americani, mentre i sauditi ci mettono del loro, hanno persino pagato cash il conto della prima Guerra del Golfo, quando papà Bush ha mandato Norman Schwarzcopf a spazzolare Saddam che si era preso il Kuwait, convinto che gli americani non avrebbero reagito. Un nemico perfetto per la sua reale inconsistenza combinata a una straordinaria incontinenza verbale che lo portava a proferire terribili minacce che tutti sapevano essere oltre le sue possibilità. Tanto utile che poi lo hanno conservato per usarlo ancora .

I CARI SAUDITI
Caratteristiche che hanno deliziato le amministrazioni americane negli ultimi decenni e che hanno procurato moltissimi amici e moltissimi dipendenti ai sauditi, sia nella politica che nell’industria americana. Solo la giustizia inglese è sembrata turbare questo idillio, cercando di condannare il principe insieme alle controparti britanniche in affari simili, una seccatura che ha fatto reagire indignata l’Arabia Saudita e Downing Street correre ai ripari per proteggere il buon nome dei Saud dalla giustizia impertinente. I sauditi hanno anche finanziato il programma nucleare pakistano e la cosiddetta “bomba atomica islamica”, sostengono o condizionano gli altri stati del Golfo e da sempre sono impegnati a portare la guerra nello Yemen Un tempo in chiave antisovietica e poi in chiave anti-qaedista, prima sostenendo il regime di Saleh, poi “accompagnando” il paese nella transizione dalla dittatura verso la democrazia mentre gli americani bombardano il paese con i droni. Un copione identico a quello visto all’opera in Afghanistan e Pakistan, al quale si può aggiungere l’ossessione anti-iraniana, la lunga guerra contro Saddam e il successivo evidente impegno per la destabilizzazione dell’Iraq e ora l’impegno in chiave non meno destabilizzante nell’ingerire nelle primavere arabe, in tutte o quasi, da quelle soffocate sul nascere dalle sorelle monarchie totalitarie, fino a quelle sanguinose di Siria ed Egitto. Non è un caso che il tiranno tunisino Ben Ali si sia rifugiato sotto le ali dei Saud ed è fin troppo evidente l’impegno dei sauditi ovunque in questi paesi, così come non può sfuggire che tale attivismo sia legittimato da un implicito mandato americano di lungo periodo, che nessuno è sembrato interessato a mettere in discussione negli ultimi due decenni, non gli europei che si sono adeguati all’andazzo in ordine sparso cercando di piluccare commesse, e ancora meno gli americani, che con Obama sono sembrati affidarsi sempre di più allo schema che prevede il mandare i sauditi più o meno allo sbaraglio, coprendo loro le spalle a distanza. Una tattica che ha i suoi pregi, tanto più se nessuno dei media discute l’idea di portare tutto l’Occidente al traino di una monarchia assoluta con i forzieri pieni di soldi e intenzioni molto meno chiare di quanto confidino certe teste fini che vivono vicino a dove cadono i soldi degli sceicchi.
Bandar Bush

BANDAR E PUTIN
Bandar Bush è riemerso quest’anno ai riflettori apparendo a Mosca. L’anno scorso lo avevano dato per ucciso in Arabia Saudita da un attentato organizzato dal governo siriano, ma si trattava di un pio desiderio. A Putin ha mostrato il suo famoso sorriso da orsacchiotto benevolo che per anni ha deliziato gli ospiti americani delle sue ville da sogno, o di quelle del babbo, che era noto per la sua corruzione, ma anche per la sua incredibile generosità e tendenza alle spese folli, e che ha disseminato gli States di borse di studio, edifici accademici e dato lavoro a moltissimi ex ufficiali governativi. Sinergie.

MISSION IMPOSSIBLE
Difficile che Bandar sia andato da Vladimir senza aver avuto il via libera di Washington, ma in un modo o nell’altro l’idea si è risolta in un flop, finendo ancora una volta per dare lustro all’immagine di Putin e peggiorare quella di Obama, una dinamica che ultimamente si è già vista. Da quello che hanno fatto trapelare i russi Bandar è andato a spiegare a Putin che in Siria una volta caduto Assad comanderebbero loro e che gli interessi russi sarebbero tutelati, che ad esempio non passerebbe quel brutto gasdotto dal Qatar diretto in Europa che a Gazprom non piace. E poi i sauditi comprerebbero un sacco di armi dalla Russia, tante in più di quelle di un enorme commessa saudita per ora congelata e che si scioglierebbe insieme alla tensione degli interessi divergenti dei due paesi sulla Siria. In alternativa Bandar ha spiegato che non ci saranno colloqui a Ginevra, perché l’opposizione non andrà, il che vuol dire che ha preconizzato la guerra a oltranza in Siria. Questa la brutale sintesi che viene da Mosca e che non ha ricevuto grandi smentite.

IL QATAR È SPARITO 
I Sauditi hanno infatti il controllo dell’opposizione armata ad Assad, rappresentano il maggior canale d’approvvigionamento bellico delle milizie islamiche animate dai rinforzi stranieri e hanno messo in minoranza i ribelli siriani diversi, curdi a parte, che sono riusciti a liberare le loro zone d’elezione. Bandar è quindi l’armiere unico della ribellione siriana dopo l’estromissione del Qatar, che poco tempo fa sembrava assurto al ruolo di top player regionale e che invece è sparito dalla scena con estrema rapidità. Cambiato lo sceicco e i ministri storici, passato il potere al figlio poco più che trentenne all’improvviso, l’emirato che aveva sponsorizzato i Fratelli Musulmani in Tunisia, Egitto e Libia e che armava i ribelli siriani, in pochi giorni si è visto tagliato fuori dalla Siria, con la compagnia di bandiera con i voli bloccati in Libia e con i soldati egiziani che sparavano sui giornalisti di al Jazeera. Quello che si dice fare il passo più lungo della gamba, eppure a giudicare dai cable di Wikileaks i Bin Khalifa al Thani erano tanto in buoni rapporti con gli americani da lasciar loro dirigere al Jazeera a bacchetta, devono aver frainteso qualche regola non scritta di un gioco che non prevedeva il loro protagonismo.

WIN PER PUTIN 
Bandar non ha impressionato Putin, che non ha certo intenzione di aprire all’ONU e a una soluzione come quella vista all’opera in Libia e che ancora meno gradisce l’idea di un bubbone di guerriglia islamica nei pressi della polveriera del Caucaso, Putin è pur sempre quello che ha rasato la capitale della Cecenia Grozny per liberarsi degli “islamici” ed è noto per voler mantenere la pulizia nel suo cortile di casa. Male l’hanno presa anche in Iraq, dove i confini con la Siria hanno portato in Iraq bande di guerriglieri sunniti delle quali non si sentiva il bisogno, portando nel paese morti e distruzione non di molto inferiori a quelle viste in Siria. La situazione è talmente grave che il governo a maggioranza sciita di al Maliki e i curdi hanno convenuto di unire le forze per provare a spazzarli via dal paese. C’è da dire che avendo alle costole anche l’esercito di Assad, e tutti i non-sunniti dell’area, Hezbollah e iraniani compresi, per le milizie d’ispirazione qaedista nell’area la situazione sembra farsi in salita, nonostante il sostegno saudita e la copertura politica di molti paesi, idealmente fermi al sostegno per la richiesta di un cambiamento di regime e solidali con la ribellione. Nessuno dei quali peraltro spenderebbe una lacrima in caso di loro annientamento.

SAUDITI CONTRO FRATELLI MUSULMANI 
C’è inoltre che, gettato il Qatar e con lui il sostegno ai Fratelli Musulmani, il progetto complessivo ha assunto tinte foschissime anche per la Turchia di Erdogan e gli altri paesi nei quai il loro progetto ha attecchito e rappresenta spesso l’unica alternativa credibile e praticabile, capace di vincere le elezioni e di provare a governare al posto di regimi totalitari o quasi in un gran numero di paesi, dal Nordafrica al Golfo. Tutti paesi nei quali la fine dei Fratelli Musulmani in Egitto avrà fatto correre brividi sulla schiena, chi dirà qualcosa se i sovrani d’Arabia, del Marocco e della Giordania spareranno sui partiti molesti o se il regime algerino regolerà le prossime elezioni con i soliti metodi?

L’ELEFANTE TRA I CRISTALLI 
Una serie d’effetti collaterali che fanno sembrare l’azione di Bandar un po’ troppo rozza per il delicato e complesso ambiente nel quale va a impattare. Soprattutto sembra in questo caso aver sottovalutato l’interesse di Putin alle sue offerte e alle sue proposte, nonostante il presidente russo gli abbia concesso quattro lunghissime ore per spiegare tutte le sue arti e offerte. Sinceramente era lecito attendersi di più da un uomo del suo calibro, ma forse la vicinanza ai Bush lo ha guastato irrimediabilmente.
AFGHANISTAN 2 - L’idea che Bandar e gli americani siano intenzionati a reprimere gli jihadisti, gli stessi armati dai sauditi, è tutta da dimostrare e Putin, visti i trascorsi e visto che non gli hanno certo chiesto il permesso prima di mettere su una guerra in un paese tradizionalmente sotto la sfera d’influenza di Mosca, ha ogni ragione per essere diffidente. Per di più Bandar sta facendo in Siria quello che hanno già fatto i sauditi in Afghanistan contro i sovietici e quanto abbia portato bene s’è visto.

L’ORRIBILE QUADRO 
A questo punto, salvo ulteriori sbandamenti, l’immagine che appare è quella di Bandar che ha assunto pubblicamente il ruolo di liberatore della Siria e di armiere della ribellione, con gli Stati Uniti a “leading from behind” (guidare da dietro), mentre i sauditi al Cairo sostengono la repressione dei generali contro i “terroristi” del partito che aveva vinto le prime elezioni libere da decenni e che hanno defenestrato. Intanto Washington e l’Europa stancheggiano o si propongono in iniziative velleitarie perché non implementate da minacce credibili, facendo quelli preoccupati per la violenza nel paese e per i massacri dei generali, di nuovo al potere con un golpe a furor di mezzo popolo e subito pronti alla strage.

SCOMMESSE DISCUTIBILI CHE NON SONO DISCUSSE 





La sensazione è che gli investimenti dei sauditi rischino di fare la fine di quelli del Qatar, anche se è altrettanto forte l’impressione che a Washington non ci sia un Piano B che prevede la messa a cuccia dei Saud, un loro sostanziale ridimensionamento e la fine dell’outsourcing a sauditi e guerriglieri wahabiti della direzione dell’impegno bellico occidentale nei paesi a maggioranza islamica. Resta che Stati Uniti ed Europa non possono far finta in eterno di credere che i sauditi perseguano gli stessi interessi dell’occidente. E nemmeno mancare ormai di riconoscere che questo eterno armare i fanatici e reprimere i moderati, non può essere la soluzione per stroncare l’islam politico o consentirgli di pascersi e ammorbidirsi tra le mollezze e gli agi della democrazia. Se qualcuno non se ne fosse accorto, i fanatici islamici negli ultimi trent’anni sono stati armati per lo più da Washington o dai suoi alleati, ottimi clienti, per carità, ma forse non abbastanza da affidare loro i nostri destini.

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