Dal 26 agosto al 1 settembre scorso numerosi collettivi universitari
di tutta Italia si sono incontrati al campeggio No Tav di Venaus per
dare vita a "Valsusa, l'università delle lotte". Un
appuntamento importante che è stato un momento di confronto e
progettualità sulle lotte dentro e contro l'università e più in
generale sulle lotte che partano dai bisogni delle giovani generazioni
di questo paese.
La crisi dell'università sembra però un dato di fatto. Nessuna sorpresa nei dati che parlano di un calo delle immatricolazioni, ma semplicemente il frutto della dismissione che da anni viene portata avanti sistematicamente e che spinge molti a cercare altre strade o a non potersi più permettere in nessun modo o a costo di sacrifici inaccettabili le tasse universitarie. Tuttavia rimane una larga fetta di composizione giovanile che nonostante la fine dell'università come ascensore sociale sceglie di sfidare o di fuggire la crisi dall'interno dell'università. In questo senso nella riorganizzazione dei tempi e degli spazi nell'università post-Gelmini vediamo cambiare la funzione di quelli che erano i tradizionali luoghi di attraversamento della composizione universitaria, come facoltà e dipartimenti; ma questo avviene anche fuori dall'università. Queste considerazioni ci pongono nuove domande e nuove ipotesi da affrontare e sulle quali scommettere.
Molto spesso, infatti, ai margini e ai bordi dell'università assistiamo al proliferarsi di atteggiamenti incompatibili da parte di una composizione bruscamente mutata nelle accelerazioni della crisi che ha visto ormai come dato assunto l'emergere di una forte componente proletaria di precari di seconda generazione, il presentarsi dei neet (chi non studia e non lavora) e lo scivolamento verso il basso di larghe fetta della classe media. Si delineano, dunque, possibilità di rottura e comportamenti incompatibili anche se contraddittori, che vacillano tra le potenzialità di conflitto e quelle di imboccare la strada del nichilismo.
Anche l'accettazione del declassamento e del blocco della mobilità sociale, spesso figlia della spada di Damocle del debito morale verso le famiglie, sebbene funzionale alla logica dei sacrifici e della pacificazione (come abbiamo visto negli ultimi due anni circa) inizia a saltare quando le contraddizioni si palesano direttamente sul piano dei bisogni che si muovono attraverso i bordi porosi tra università e metropoli come, ad esempio, l'accesso alla cultura, la questione abitativa, la privatizzazione degli spazi pubblici. Sta a noi il compito di indagare questa composizione, tanto nei luoghi tradizionali tanto nei nuovi luoghi definiti dalle lotte sperimentando e aggiornando le pratiche di conflitto. Costruire le nuove forme organizzative nei margini dell'università (intesi come categoria politica) per connettere le varie forme in cui il soggetto giovanile si presenta e confligge.
E' questa la scommessa che dobbiamo provare a portare avanti in questo autunno e per farlo non possiamo non guardare anche al Governo delle larghe intese come controparte sistemica contro cui andare a costruire la nostra azione politica. Guardando agli ultimi anni, probabilmente una delle incapacità che hanno scontato i movimenti emersi contro la crisi, è stata sicuramente quella di non riuscire a declinare un ragionamento attorno al tema della corruzione e della meritocrazia. Con la paura di incappare nella retorica giustizialista, si è finiti per lasciare il tema in mano agli stessi forcaioli, non cogliendo la centralità che questo assume. La notizia degli ultimi giorni che vede cinque «saggi» scelti dal Presidente del Consiglio Enrico Letta per riformare la costituzione fra gli indagati della Procura di Bari nell'ambito di un'inchiesta su concorsi per docenti di prima e seconda fascia di diritto ecclesiastico, costituzionale e pubblico comparato, riporta la necessità di impostare un ragionamento sulla corruzione capace di mettere in discussione l'intero sistema. La corruzione non come stortura dell'attuale sistema, bensì come fondamenta dell'agire neo-liberista.
A partire già da questi giorni vogliamo scommettere su queste ipotesi e provare a costruire le condizioni per una destabilizzazione reali degli assetti di potere, che venga non da scontri interni al potere, ma bensì dalla spinta delle piazze. Tante, anche a partire dalle proficue connessioni con le scadenze di mobilitazione degli studenti medi, sono le date in cui provare a costruire i primi passi in questa direzione.
Una di queste è il "Social Strike" (giornata di mobilitazione transnazionale) del 15 ottobreche come reti universitarie a partire da "Valsusa, l'università delle lotte" abbiamo assunto per provare a portare sui territori le parole d'ordine della riconquista di reddito e della riappropriazione dei bisogni e dei diritti.
Le stesse parole d'ordine che ci proietteranno a Roma il 19 ottobre nella giornata di sollevazione generale. Una giornata in cui la composizione giovanile dovrà fare la sua parte e riuscire a riemergere riportando nelle strade le sue rivendicazioni e il suo portato di incompatibilità.
Senza sottrarci alla verifica, continuiamo a scommettere sulle lotte!
Collettivi universitari antagonisti
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