L’impunità prima o poi dovrà finire.
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Un legame diretto tra la discarica di Malagrotta e alcune malattie di chi vive nella zona tra mille difficoltà e con le finestre sempre sbarrate.
E un filo causale ancora più stretto per alcune patologie tra le residenti donne, che manifestano tumore della laringe e della vescica, e anche problemi circolatori. Mentre per gli uomini sarebbero aumentate le malattie dell’apparato respiratorio. E’ tutto scritto e documentato nella relazione che il Dipartimento di epidemiologia della Asl di Roma E ha consegnato due giorni fa nelle mani dei pm che indagano sulla discarica di Malagrotta. E che ieri è stato consegnatoanche alla presidente della Regione Lazio Renata Polverini che per prima aveva chiesto al dipartimento di stilare una relazione. Il quadro di mortalità generale, dice il rapporto basato sugli 85mila residenti nella zona dal 2001 al 2010, è sostanzialmente nella media, fatta eccezione per alcune patologie mortali, tra le quali il tumore alla mammella e le malattie cardiovascolari.
Spiega la relazione: «Le patologie dell’apparato cardiovascolare (donne) e dell’apparato respiratorio (uomini) sono aumentate tra i residenti nell’area più prossima agli impianti. Per le patologie tumorali, si osserva tra le donne un eccesso di tumore della laringe e della mammella nelle zone più prossime, mentre tra gli uomini si osserva una riduzione del rischio per il tumore del polmone». Anche i ricoveri sono più frequenti per chi vive a Malagrotta: «I residenti (uomini e donne) più prossimi agli impianti ricorrono più frequentemente alle cure ospedaliere (+8 per cento), in particolare per malattie circolatorie, urinarie e dell’apparato digerente. Tra gli uomini si è osservato un aumento dei ricoveri per patologie della tiroide».
Gli impianti sotto osservazione sono tre: la discarica, il relativo inceneritore e una raffineria presente nella stessa zona. Ma in alcuni casi l’aumento delle malattie è direttamente collegato alla presenza della discarica.
Dice il rapporto: «Per quanto riguarda i risultati relativi alle concentrazioni dei singoli inquinanti, si è riscontrata nei gruppi più esposti a discarica e raffineria una maggiore frequenza di tumori della laringe e della vescica (mortalità e ricoveri) nelle donne residenti. Limitatamente ai ricoveri, si è osservata un’associazione tra discarica e malattie dell’apparato circolatorio (donne)». E il giudizio complessivo è pesante: «Sono stati riscontrati, sia per la mortalità e soprattutto per le ospedalizzazioni, alcuni eccessi di rischio degni di nota, in particolare per malattie respiratorie, cardiovascolari e per alcune forme tumorali».
Il rapporto elaborato dall’Osservatorio di Roma «E», diretto da Marina Davoli, potrebbe cambiare il destino delle due inchieste avviate dal procuratore aggiunto Roberto Cucchiari e dal pm Alberto Galanti.
Il primo fascicolo è basato sulle denunce dei residenti che si sono ammalati nel corso degli anni. Stando agli esposti raccolti dall’avvocato di parte civile, Francesca Fragale, i malati accertati in zona sono almeno un centinaio. Tutti di tumore o con problemi alla tiroide e cardiovascolari.
Sul tavolo dei magistrati di piazzale Clodio c’è anche un fascicolo per omicidio colposo, basato sulle denunce dei familiari di quattro persone decedute dopo aver passato molto tempo nella zona della discarica di proprietà dell’avvocato Manlio Cerroni. Tre erano residenti nell’area e una quarta aveva lavorato nel gassificatore dell’imprenditore, alla Colari.
A rendere la situazione particolarmente pericolosa sarebbe stato il contatto tra la discarica più grande d’Europa – 240 ettari ormai stracolmi – e la falda acquifera sottostante.
A rilevare il dato, un’altra perizia elaborata nei mesi scorsi, questa volta dall’Arpal, dopo aver fatto prelievi in sessantuno differenti punti della zona. Il verdetto era stato cristallino: venivano continuamente superati i limiti alla presenza di sostanze pericolose come ferro, manganese e nichel, mentre in alcuni prelievi l’arsenico e il benzene oltrepassavano addirittura di 30 volte i limiti di legge.
Ma in alcuni casi, la quantità di arsenico sarebbe arrivata addirittura a 200 volte oltre il quantitativo previsto dalla legge.
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