(Fonte articolo, clicca qui)
A guardarlo da via di Ponte Galeria l’impianto di gassificazione di
rifiuti dell’avvocato Manlio Cerroni è un’imponente cattedrale, con un
certo tocco futurista. “Per Roma vogliamo una Ferrari, non una mille e
cento”, commentò con una certa enfasi l’avvocato monopolista dei
rifiuti qualche anno fa. Cristalli, acciaio, struttura lanciata. Un
vestito decisamente moderno per una tecnologia che ha una lunga,
complessa e incredibile storia: tanti problemi – anche gravi – nei
pochi precedenti in Europa.
Con un fantasma che aleggia sul
gassificatore destinato a bruciare i rifiuti romani, un nome che fa
tremare i polsi agli ambientalisti: Karlsruhe, città tedesca dove un
impianto simile – e sul concetto di simile si gioca il futuro di questa
tecnologia – ha chiuso i battenti nel novembre del 2004, con 500
milioni di euro di perdita e tanti, tantissimi problemi. Un impianto –
raccontano i giornali tedeschi dell’epoca – che rischiava di avere
incidenti gravissimi, sfiorando in almeno un caso l’esplosione. Ottobre
2011, Cerroni spegne l’inceneritore. Partiamo dalla fine, dell’ultima
puntata di una vicenda intricata, dove si incrociano brevetti svizzeri,
esperimenti italiani e acciaierie giapponesi. L’inceneritore di Roma è
fermo da dieci mesi. Dallo scorso ottobre non produce più un solo
kilowatt di energia, con le linee di alimentazione vuote, nonostante
l’enorme quantità di rifiuti che ogni giorno affluiscono nel sito di
Malagrotta, a poche decine di metri.
Un fermo “amministrativo”, si dice
più o meno ufficialmente in giro, in attesa di completare l’intero
impianto con altre due linee, anche se i due anni di sperimentazione
hanno dato non pochi grattacapi ai tecnici.
Da ottobre i quasi cento
dipendenti della società svizzera incaricata da Cerroni per la
conduzione dell’impianto sono senza stipendio e – seppur ufficialmente
in cassa integrazione – senza un solo euro di ammortizzatori sociali. La 7-Hills, il gruppo con casa madre a Lugano, nel Canton Ticino, che
aveva le chiavi dell’impianto, è oggi – almeno in Italia – una scatola
vuota. Alla sede legale registrata presso la Camera di commercio di
Roma, nel centrale quartiere Prati, c’è solo uno studio di avvocati
specializzati in diritto ambientale. Quando nei mesi scorsi sono
arrivate le lettere dei legali dei lavoratori chiedendo il pagamento
degli stipendi, la risposta è stata secca: la sede non è più qui,
dovete cercare altrove. Vuoti gli uffici che li ospitavano a
Malagrotta: “Qui non c’è più nessuno della 7-Hills, non sappiamo dove
sono”, spiegano i vigilantes. Eppure il nome della società è un punto
chiave per capire cosa succede nell’impianto di incenerimento di
rifiuti di Manlio Cerroni, quando Roma si trova ad un passo
dall’emergenza. Thermoselect? No, “Thermodefect”. L’impianto di
Karlsruhe in Germania venne realizzato utilizzando un brevetto
svizzero, detenuto dalla società – poi fallita – Thermoselect. Quasi
dieci anni prima questa tecnologia era stata sperimentata a Verbania.
Fu un vero disastro: la magistratura si accorse che le acque
risultavano altamente contaminate e sequestrarono l’intera area. Dopo
un processo che portò alla condanna della dirigenza della società – con
un coinvolgimento iniziale dell’allora direttore del ministero
dell’ambiente Corrado Clini, poi prosciolto dai giudici romani – quel
primo impianto sperimentale venne definitivamente chiuso e abbattuto.
L’esperimento tedesco non ebbe migliore fortuna.
Le cronache parlano di
rischi di esplosione, contaminazione delle acque e, soprattutto, di
costi gestionali stratosferici. In sostanza la conduzione dell’impianto
di gassificazione consumava più soldi che rifiuti. In un arbitrato
seguito alla vicenda, le autorità svizzere hanno scritto, nero su
bianco, il loro giudizio sulla vicenda: “Non è stata fornita la prova
del concreto funzionamento dell’impianto (…) e il buon funzionamento
dell’impianto attualmente in costruzione a Karlsruhe non poteva essere
dimostrato”.
Nel 2004 la vicenda si conclude definitivamente e per la
Thermoselect iniziano i guai finanziari. Uno dei manager del gruppo
svizzero, Carlo Riva, decide di riprendere gli affari nel campo con una
società apparentemente non legata a questa tecnologia. Spunta così il
nome della 7-Hills, ovvero “sette colline”, qualcosa che – curiosamente
– richiama i sette colli di Roma.
Ed è proprio questa la società che un
paio di anni dopo progetta e realizza il gassificatore di Malagrotta,
grazie ad un contratto con la Colari dell’avvocato Cerroni. Nel 2008,
una volta chiuso il cantiere, è sempre la 7-Hills ad essere incaricata
della conduzione dell’impianto, come si legge nel contratto firmato il
13 gennaio 2009 tra l’avvocato Manlio Cerroni e l’ingegner Riva, ex
Thermoselect. Ed è questa società che lo scorso ottobre lascia i
dipendenti senza stipendio e – di fatto – senza ammortizzatori sociali,
facendo perdere le proprie tracce in Italia.
Una tecnologia sospetta. I
dirigenti del gruppo Colari assicurano che l’impianto di Malagrotta ha
subito modifiche sostanziali rispetto al brevetto Thermoselect.
L’ingegner Mauro Zagaroli che nel 2003 presentò in un convegno insieme
a Carlo Riva – futuro amministratore della 7-Hills e all’epoca
dirigente della stessa Thermoselect – la tecnologia in uso a Karlsruhe,
oggi si dice sicuro sulla differenza sostanziale tra l’impianto romano
e quello tedesco. Lo ha scritto anche nel progetto per un impianto
gemello che Cerroni, insieme ad Ama e ad Acea, vuole realizzare ad
Albano: “E’ una tecnologia giapponese, usata in diversi impianti in
Giappone”, spiega a ilfattoquotidiano.it.
In altri documenti il gestore
dei rifiuti romani richiama apertamente il gruppo nipponico Jfe, nato
all’inizio degli anni 2000.
Ma i conti qui non tornano.
In diversi
documenti tecnici della Jfe si fa apertamente riferimento al brevetto
della Thermoselect che la società giapponese acquistò una decina di
anni fa. Non solo: la stessa Thermoselect – contattata da
ilfattoquotidiano.it – cita come esempi di impianti, che ancora oggi
utilizzano la tecnologia sperimentata a Verbania e a Karlsruhe, “sette
impianti, tutti localizzati in Giappone”. Gli stessi ingegneri che
gestivano l’impianto di Malagrotta per conto della 7-Hills ammettono
senza tanti problemi che quell’impianto “utilizzava la tecnologia
Thermoselect”, anche perché la 7-Hills – che ha progettato, realizzato
e condotto per due anni l’impianto di Malagrotta – “aveva tra i
dirigenti ex manager della Thermoselect”. Tutti gli inceneritori
dell’avvocato. Per Manlio Cerroni questo particolare tipo di
inceneritori è un vero pallino. Un impianto simile lo aveva proposto –
senza successo – nel 2006 a Mediglia, in Lombardia. Nel 2007 ha
presentato un progetto per il gassificatore di Albano Laziale, la cui
costruzione dovrebbe iniziare nei prossimi mesi. E, sempre a
Malagrotta, si prepara ad avviare la realizzazione di altre due linee,
basate sulla stessa tecnologia (fatto salve alcune modifiche, che i
tecnici ritengono “non sostanziali”). In tutti questi casi il nome
Thermoselect non è mai stato pronunciato, sapendo benissimo che i
precedenti erano impresentabili. Rimangono da chiarire i troppi legami
con la tecnologia svizzera che creò tantissimi problemi a Verbania e
Karlsruhe e, non da ultimo, la vicenda 7-Hills.
Una spada di Damocle
sulla gestione dei rifiuti a Roma, con il rischio che alla fine tutto
continui a finire nelle discariche e che la capitale si ritrovi
circondata da impianti il cui buon funzionamento non trova, al momento,
precedenti nell’Unione europea.
Nessun commento:
Posta un commento