Da più di 20 anni il movimento no tav non lotta solo contro la
realizzazione di un’opera di cui il territorio valsusino non sente alcun
bisogno.
Più in profondità, si oppone a un modello di sviluppo che incrementa il potere e il profitto di pochi contro gli interessi della maggioranza.
Quando diciamo che 4 cm di Tav corrispondono a 1 anno di pensione, 3 metri a 4 sezioni di scuola materna, 500 metri a 1 ospedale pubblico da 1200 posti letto, 226 ambulatori, 38 sale operatorie; che
con 1 km di Tav si pagherebbero un anno di tasse universitarie per 250 mila studenti, oppure la costruzione di 55 nuovi treni pendolari; o ancora, che con i soldi buttati nell’opera si darebbe una possibilità seria alla proposta di reddito di base, quella che poniamo è -immediatamente- una domanda sull’uso della ricchezza sociale complessiva.
I movimenti per il diritto all’abitare (per decenni esperienze confinate a poche città) si stanno ora moltiplicando in tutto il paese e pongono anch’essi, in maniera differente ma convergente, la stessa questione, indicando nell’occupazione di case sfitte e nella difesa collettiva dagli sfratti, una forma di riappropriazione indiretta del reddito sociale.
Lo sfruttamento intensivo del territorio, sotto forma di cementificazione, valorizzazione del ciclo dei rifiuti (nocività) e costruzione di grandi opere ha trovato in questi anni un’opposizione sociale diffusa e determinata che, pur con intensità ed esiti alterni, ha prodotto nei territori interessati forme di ricomposizione sociale capaci di mettere insieme opposizione/antagonismo e creazione di nuovi legami.
Con ben maggiori difficoltà, le lotte sui luoghi di lavoro continuano a segnare il passo, nella perdita di diritti e
nell’aumento dei ricatti, mentre la maggioranza dei/le giovani viene pre-formata negli anni della scuola a un futuro di precarietà, disoccupazione e assenza di prospettive.
L’eccezione che ci viene dalla straordinaria resistenza dei facchini contro il sistema della logistica è prodotta tanto dalla chiarezza dei propri obiettivi e dalla baricentralità nel sistema di circolazione delle merci, quanto dalla disponibilità ad aprirsi e lavorare con altri soggetti sociali, scavalcando e andando contro le collusioni del sindacalismo concertativo. Quel che è certo, è che qualunque lotta degna di nota è oggi obbligata ad eccedere la propria collocazione professionale e il proprio ruolo sociale, pena l’isolamento e la sconfitta.
Tutte queste lotte, tutti questi soggetti, hanno infatti nemici chiari e comuni: la troika e le misure di austerità imposte agli uomini e alle donne d’Europa, il più delle volte senza neanche passare da discussioni parlamentari; e i governi “tecnici” nazionali che si limitano a ratificare e scaricarne i diktat sulle popolazioni governate. Mentre ci dicono che non ci sono i soldi e che viviamo al di sopra delle nostre possibilità, spendono 13 miliardi di euro per il programma F35.
Mentre tagliano su Sanità e Formazione perché “non ce le possiamo permettere”, trovano i soldi per finanziare una grande opera inutile come il Tav. Lasciano sfitti migliaia di alloggi ma continuano a costruire mega-insediamenti senza acquirenti e che devastano il territorio, mentre gli sfratti vengono eseguiti a decine di migliaia, aumentando di anno in anno.
È sempre più evidente che con l’avanzare e l’approfondirsi della crisi, si combattono due divergenti modelli di società, modi d’essere e di vivere contrapposti, interessi nemici. Per riprodursi, questo sistema iniquo mangia le nostre vite, chiude spazi di relazione, aumenta lo sfruttamento e impone un’estorsione continua al nostro vivere associato. Ognivolta che lottiamo e allarghiamo la partecipazione alle lotte invece, incidiamo sul reale e strappiamo un territorio al nemico, riaprendo nuove possibilità.
Si pone quindi con forza l’urgenza di una ripresa della mobilitazione dal basso, contro il governo della crisi e le misure antipopolari che si prospettano per l’autunno che viene. Le mobilitazioni e i percorsi di lotta sorti negli ultimi due anni nel nostro paese, pur generosi, non hanno ancora saputo generalizzarsi e irrompere in una dimensione sociale più complessiva, com’è invece avvenuto negli altri paesi dei Pigs. Il mancato prodursi di una mobilitazione di massa in Italia è stata un ostacolo all’ulteriore progressione delle lotte di resistenza e contrattacco che si sono sviluppate in Grecia, Spagna e Portogallo.
Per questo, costruire nuovi percorsi di mobilitazione e di lotta è un compito imprescindibile, da assumere collettivamente.
Le proposte che iniziano a circolare in rete su scadenze autunnali possono essere un buon punto di partenza, a patto di non ripetere errori passati, vuote rappresentazioni, percorsi al ribasso.
Scommettendo invece sulla ripresa del conflitto nel nostro paese.
Nell’interesse di tutti e tutte...
Più in profondità, si oppone a un modello di sviluppo che incrementa il potere e il profitto di pochi contro gli interessi della maggioranza.
Quando diciamo che 4 cm di Tav corrispondono a 1 anno di pensione, 3 metri a 4 sezioni di scuola materna, 500 metri a 1 ospedale pubblico da 1200 posti letto, 226 ambulatori, 38 sale operatorie; che
con 1 km di Tav si pagherebbero un anno di tasse universitarie per 250 mila studenti, oppure la costruzione di 55 nuovi treni pendolari; o ancora, che con i soldi buttati nell’opera si darebbe una possibilità seria alla proposta di reddito di base, quella che poniamo è -immediatamente- una domanda sull’uso della ricchezza sociale complessiva.
I movimenti per il diritto all’abitare (per decenni esperienze confinate a poche città) si stanno ora moltiplicando in tutto il paese e pongono anch’essi, in maniera differente ma convergente, la stessa questione, indicando nell’occupazione di case sfitte e nella difesa collettiva dagli sfratti, una forma di riappropriazione indiretta del reddito sociale.
Lo sfruttamento intensivo del territorio, sotto forma di cementificazione, valorizzazione del ciclo dei rifiuti (nocività) e costruzione di grandi opere ha trovato in questi anni un’opposizione sociale diffusa e determinata che, pur con intensità ed esiti alterni, ha prodotto nei territori interessati forme di ricomposizione sociale capaci di mettere insieme opposizione/antagonismo e creazione di nuovi legami.
Con ben maggiori difficoltà, le lotte sui luoghi di lavoro continuano a segnare il passo, nella perdita di diritti e
nell’aumento dei ricatti, mentre la maggioranza dei/le giovani viene pre-formata negli anni della scuola a un futuro di precarietà, disoccupazione e assenza di prospettive.
L’eccezione che ci viene dalla straordinaria resistenza dei facchini contro il sistema della logistica è prodotta tanto dalla chiarezza dei propri obiettivi e dalla baricentralità nel sistema di circolazione delle merci, quanto dalla disponibilità ad aprirsi e lavorare con altri soggetti sociali, scavalcando e andando contro le collusioni del sindacalismo concertativo. Quel che è certo, è che qualunque lotta degna di nota è oggi obbligata ad eccedere la propria collocazione professionale e il proprio ruolo sociale, pena l’isolamento e la sconfitta.
Tutte queste lotte, tutti questi soggetti, hanno infatti nemici chiari e comuni: la troika e le misure di austerità imposte agli uomini e alle donne d’Europa, il più delle volte senza neanche passare da discussioni parlamentari; e i governi “tecnici” nazionali che si limitano a ratificare e scaricarne i diktat sulle popolazioni governate. Mentre ci dicono che non ci sono i soldi e che viviamo al di sopra delle nostre possibilità, spendono 13 miliardi di euro per il programma F35.
Mentre tagliano su Sanità e Formazione perché “non ce le possiamo permettere”, trovano i soldi per finanziare una grande opera inutile come il Tav. Lasciano sfitti migliaia di alloggi ma continuano a costruire mega-insediamenti senza acquirenti e che devastano il territorio, mentre gli sfratti vengono eseguiti a decine di migliaia, aumentando di anno in anno.
È sempre più evidente che con l’avanzare e l’approfondirsi della crisi, si combattono due divergenti modelli di società, modi d’essere e di vivere contrapposti, interessi nemici. Per riprodursi, questo sistema iniquo mangia le nostre vite, chiude spazi di relazione, aumenta lo sfruttamento e impone un’estorsione continua al nostro vivere associato. Ognivolta che lottiamo e allarghiamo la partecipazione alle lotte invece, incidiamo sul reale e strappiamo un territorio al nemico, riaprendo nuove possibilità.
Si pone quindi con forza l’urgenza di una ripresa della mobilitazione dal basso, contro il governo della crisi e le misure antipopolari che si prospettano per l’autunno che viene. Le mobilitazioni e i percorsi di lotta sorti negli ultimi due anni nel nostro paese, pur generosi, non hanno ancora saputo generalizzarsi e irrompere in una dimensione sociale più complessiva, com’è invece avvenuto negli altri paesi dei Pigs. Il mancato prodursi di una mobilitazione di massa in Italia è stata un ostacolo all’ulteriore progressione delle lotte di resistenza e contrattacco che si sono sviluppate in Grecia, Spagna e Portogallo.
Per questo, costruire nuovi percorsi di mobilitazione e di lotta è un compito imprescindibile, da assumere collettivamente.
Le proposte che iniziano a circolare in rete su scadenze autunnali possono essere un buon punto di partenza, a patto di non ripetere errori passati, vuote rappresentazioni, percorsi al ribasso.
Scommettendo invece sulla ripresa del conflitto nel nostro paese.
Nell’interesse di tutti e tutte...
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