Già con il volantone 'Saperi dentro e contro la crisi' ipotizzavamo uno spazio politico possibile da aprire, da costruire, nel tempo dell'austerity.
Lo sgretolamento delle istituzioni, oramai - primarie o meno - destinate al default, conferma una tendenza sulla quale continuare a riflettere, ma soprattutto una faglia in cui inserirsi, per costringerle alla resa.
Ce lo dimostra l'incapacità totale con la quale la politica di palazzo ha tentato di governare la fiammata del 14 novembre, e la riprova l'abbiamo avuta nel silenzio imbarazzato o nella stigmatizzazione rodata delle segreterie dei partiti, che hanno delegato alle forze di polizia e alle questure il compito di una governance con il manganello.
Dal ministro Cancellieri al prefetto romano Pecoraro, dal ministro Severino al questore torinese Faraoni: la stupidità al potere.
Chi pensa che i tanti No del nostro paese possano essere gestiti attraverso l'esercizio del controllo delle piazze si sbaglia e illude; non sono più sufficienti le mistificazioni mediatiche ne le balle sui lacrimogeni che rimbalzano o le minacce di Daspo metropolitani.
La generazione che sta riempiendo strade e piazze non ha avuto paura ieri e non ne avrà domani, quando sotto quei palazzi torneremo. I meravigliosi cortei del 14 e 24 novembre sono la base costituente dalla quale ripartire, per battere il tempo della crisi, per rivivere l'adrenalina che viaggia lungo i cortei, le occupazioni e i blocchi di chi grida un No forte e collettivo.
Le piazze del 14N hanno fatto emergere tutta la loro potenza in una composizione nuova, trasformata dalla crisi, che nella negazione sociale di welfare e futuro installa una necessità di conflitto eccedente le scuole occupate e le facoltà agitate, che bisogna conoscere e inchiestare e coinvolgere non per necessità sociologiche ma per dirimenza dello scontro.
Se fino a oggi l'energia capitale è arrivata dalle soggettività giovanili che affollano le scuole occupate e i cortei studenteschi, in quanto dimensione costitutiva della soggettivizzazione politica, da domani priorità diventa non solo un genuino sostegno a questo protagonismo generazionale, ma anche un impegno politico per osare una generalizzazione sociale dello sciopero.
La costruzione del nostro sciopero, di uno sciopero sociale, non può che partire dalla mobilitazione diffusa delle scuole superiori, che si presentano ancora come componente soggettiva di traino dell'autunno italiano, dagli albori (il 5 ottobre degli studenti autorganizzati, indetto quest'estate in Val Susa) a oggi, ma deve necessariamente essere costruito anche nelle zone d'ombra di una scadenza come quella del 14N: le università e le soggettività studentesche di facoltà che covano indignazione, che serbano una domanda di politicità, ma che non si sono attivate nella scadenza europea.
Evidentemente gli universitari e le universitarie, al di là della loro composizione politica, non hanno fiutato come gli studenti medi nelle scadenze di novembre la potenzialità intrinseca - che diviene sfida - della fase di lotta contro crisi e austerità.
Ricominciare da qui, dai limiti di settimane comunque meravigliose, ci consente di continuare a lavorare politicamente su quella dimensione di rete sociale da costituire sui nostri territori, per tessere relazioni e legami a partire dalle scuole e dalle facoltà, per organizzare le premesse di uno sciopero sociale da costruire e estendere ad ogni angolo di città.
La rabbia e il malcontento contro le governance della crisi, comandate da istituzioni in disfacimento, si presentano nelle nostre università quasi come cartina di tornasole dell'impasse italiana, attraversata da tante vertenze locali e particolari ma che sconta la mancanza di una comune e lampante ragione di mobilitazione sociale e massificata.
Questo il compito collettivo da assumere, innanzitutto nelle facoltà in agitazione contro l'università in crisi, in direzione della prossima data di mobilitazione nazionale indetta dalle scuole occupate, che immediatamente diventa opportunità e occasione di generalizzazione: il 6 dicembre.
Da un punto di vista studentesco e sociale e politico, anche lo sciopero fissato per fine autunno dalla Fiom (solitaria e fioca resistenza al piano di Marchionne & co.) deve eccedere la dimensione debole e sindacale della sua indizione, come fatto il 14 novembre in ogni città dentro lo sciopericchio generale della Cgil. La struttura organizzativa del sindacato, al di là del suo colore più o meno ingiallito, si dimostra povera e inefficace, spesso anche strumento della governance per il mantenimento della pace sociale.
La bipolarità delle piazze del 14N l'ha dimostrato nuovamente: nei numeri e nelle pratiche e nella loro differente forza. Lo sciopero del 6 dicembre pensiamo debba essere assunto da un'altra prospettiva: non solamente e in fondo debolmente in solidarietà alla mobilitazione Fiom, ma soprattutto come altro interstizio dentro e contro la crisi, per tornare sotto quei palazzi proclamati come 'luoghi sacri della democrazia' ma rappresentanti solo la corruzione di un sistema.
See you on the streets, reverse the crisis!
Studenti e studentesse antagonist* delle facoltà ribelli
in direzione dello sciopero del 6 dicembre
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