Alberto Bagnai (economista e docente di politica economica all'Università Gabriele D'Annunzio di Chieti - Pescara e blogger di Goofynomics)
CE LO CHIEDE L'EUROPA
Intervista a Alberto Bagnai
MESSORA: Alberto Bagnai, professore di Politica Economica
all'Università Gabriele D'Annunzio di Pescara. Alberto Bagnai
buongiorno!
BAGNAI: buongiorno, Claudio.
MESSORA: allora, primo esperimento di intervista in crowd funding, cioè
finanziato dalla gente, a stragrande maggioranza, quindi altissima
autorevolezza sulla rete perché hai un blog che è Goofynomics.
Ci spieghi Goofynomics da dove deriva?
BAGNAI: sì, questa è stata l'intuizione di un mio amico, il Professor
Santarelli, come lo chiamo e come si chiama, perché un giorno
riflettevamo sulle dinamiche dell'eurozona, dinamiche che vogliono, che
ci impongono in qualche modo di entrare in una competizione tra paesi
che in realtà dovrebbero essere in unione. Competizione che si basa sul
fatto che dobbiamo essere tutti più competitivi per esportare di più e
sostenere così la nostra crescita. La riflessione che facevamo è che è
strano come una esportazione, vista dall'estero, somiglia ad
un'importazione. Cioè, se tutti esportano, chi importa? E ci è venuto
in mente il pensiero di Pippo: è strano come una discesa vista dal
basso somigli a una salita. Partendo da questa idea fondante, diciamo,
della Goofynomics, ci siamo accorti del fatto che una svalutazione,
vista dall'estero, somiglia a una rivalutazione, che un debito, visto
dall'altra parte, somiglia a un credito. Se si è in due gli interessi
in qualche modo possono essere contrapposti o quantomeno i ruoli sono
contrapposti. Il creditore non è il debitore. E bisogna tenerne conto
anche a livello analitico, anche nel descrivere i fenomeni.
MESSORA: la tua visione sulla nascita di questa crisi e sulla sua evoluzione, che poi ci riguarda da vicino, qual è?
BAGNAI: per quel che riguarda il dato, diciamo così, cronachistico del
racconto, di quello che è successo negli ultimi anni, sì, naturalmente
è indubbio che la nostra crisi deriva da uno shock esterno che è stato
causato dalla crisi finanziaria degli Stati Uniti e della quale si
potrebbe parlare. Per quel che riguarda, viceversa, la struttura della
crisi europea, io ritengo, insieme a tanti altri, che in effetti sia un
film già visto, cioè che si sta riproponendo nei paesi periferici
dell'Eurozona, una situazione che negli ultimi trent'anni abbiamo visto
riprodursi più o meno con lo stesso meccanismo e con le stesse fasi in
tutti i Paesi che hanno subito importanti crisi finanziarie. L'aggancio
della valuta ad una valuta estera, aggancio che nel caso dei Paesi
dell'Eurozona ha raggiunto il suo parossismo perché abbiamo addirittura
creato un'unione monetaria, il che significa avere non solo un cambio
fisso, ma addirittura un cambio uno a uno irrevocabile, irreversibile.
Tengo a precisare che il tasso di cambio è una cosa umana e quindi è
reversibile come tutte le cose umane. Cosa sulla quale, per esempio,
campano gli avvocati matrimonialisti. Il secondo elemento comune, forse
il più importante, è che tutti i paesi che vanno – poveracci – a gambe
per aria, sperimentano negli anni precedenti dei massicci afflussi di
capitali esteri. Cosa significa “afflusso di capitali”? Detto così
sembra una cosa molto bella, significa che sei credibile, la gente
improvvisamente crede in te e ti porta i suoi soldi. Che meraviglia!
Vorrei anch'io essere credibile e incontrando persone per strada avere
persone che mi mettono in mano dei biglietti da 500 euro. Purtroppo
“afflusso di capitali” vuol dire indebitamento estero. Qual è quindi il
meccanismo che si stabilisce? È un meccanismo che è stato descritto
molto bene da tanti economisti come Lanz Taylor, Roberto Frankel.
Sostanzialmente il film già visto ha due protagonisti. Un protagonista,
il protagonista maschile si chiama centro e il protagonista femminile
si chiama periferia. Il centro che cosa è? È un'economia matura con una
base produttiva, tecnologica, economica e finanziaria solida. La
periferia che cosa è? È un paese o un gruppo di paesi che sono
relativamente più arretrati sotto il profilo economico, finanziario,
insomma che sono... Allora il centro corteggia la periferia, come è
normale in ogni film, c'è questa bella scena d'amore nella quale il
centro si avvicina alla periferia e dice “senti, cara periferia, adotta
un tasso di cambio fisso e in cambio avrai tanti capitali, faremo una
bella area integrata, ci vorremo tanto bene. Tu crescerai e diventerai
grande come me”. Questo è un pochino quello che il centro racconta.
Questo è successo ovunque. In Europa è successo con il percorso che è
iniziato dal sistema monetario europeo nel '79 e che poi via via ci ha
portato verso la... In realtà l'aggancio valutario è un aggancio che
offre dei vantaggi indubbi ai capitalisti del centro. I vantaggi sono
almeno di due tipi. Il primo tipo è che, vedi, nella periferia
normalmente i tassi di interesse sono più alti e questo per un dato
fisiologico dell'economia, perché un'economia che è un po' più
arretrata, se vogliamo, offre delle importanti opportunità di
investimento. Insomma, se in un'economia ci sono le autostrade, tutti i
porti, tutte le strutture, le fabbriche, eccetera, e in un'altra ancora
non ci sono, è chiaro che il capitale si dirigerà verso dove ancora non
ci sono perché lì sarà più produttivo. Questo è un po' la situazione
così come te la racconterebbe un economista di estrema ortodossia. Poi
ci sono anche altri dati. Per esempio normalmente i mercati finanziari
dei paesi meno arretrati, che inizialmente sono repressi e quindi poi
la liberalizzazione determina un'euforia e un innalzamento... Allora
dal centro i capitali cominciano a fluire verso la periferia con la
garanzia di non dover patire il rischio di cambio, perché se c'è un
aggancio valutario... Vedi, il rischio del prestare capitale a un paese
più fragile è che...
MESSORA: fanno la svalutazione e il tuo capitale si dimezza.
BAGNAI: bravissimo! E' esattamente quello. È esattamente quello ed è
una risposta, se vogliamo, fisiologica al fatto che un afflusso di
capitali di fatto corrisponde poi a un deficit in bilancio dei
pagamenti, quindi ci sarebbe una pressione. In realtà, con l'aggancio
valutario questo rischio viene scongiurato, quindi chi presta 10 sa che
vedrà 10 e non 10 meno il 20%; 10 più gli interessi. Allora i capitali
arrivano perché il paese periferico è diventato credibile ed è una cosa
che inizialmente è bella, ha degli effetti positivi sulle economie
periferiche, perché questi capitali va anche detto chi li prende in
prestito. Li prende in prestito il settore privato del paese
periferico. Settore privato significa famiglie e imprese, per fare cose
che sono anche produttive e quindi c'è anche della vera crescita nel
paese periferico inizialmente. Ma naturalmente questa crescita stimola
l'inflazione, sale la febbre nel paese della periferia e con questo
stimolo all'inflazione il paese periferico che cresce comincia ad
andare in deficit di bilancio.
MESSORA: maggiori capitali, maggiore lavoro, maggiori salari e quindi
più domanda e quindi rialzo dei prezzi dell'offerta. Questa è
l'inflazione, no?
BAGNAI: sì, rialzo dei prezzi, certo, per pressioni dal lato della
domanda, naturalmente, in presenza di strozzature dell'offerta che
comunque nel paese periferico ci sono perché il capitale arriva ma,
come dire, una parte viene ovviamente destinata alle imprese e quindi
aumenta la capacità produttiva, ma una parte viene destinata alle
famiglie e quindi aumenta la domanda. Normalmente questo processo non è
perfettamente equilibrato e quindi, come dire, la domanda in questi
paesi cresce un po' più delle offerte e i prezzi salgono. Ma se salgono
i prezzi che succede? Che il paese periferico diventa sempre meno
competitivo. Allora, per farti capire, all'inizio arriva il capitale –
concentriamoci sulla famiglia – come dire, accede al mercato dei
capitali il segmento alto della popolazione o quello che comunque ha
bisogni che non si possono soddisfare nel paese. Esempio: il ricco del
paese periferico si compra la Mercedes. E va bene. Piano piano, però,
siccome nel paese periferico i prezzi crescono più in fretta, e lo
abbiamo visto perché tutti i paesi che sono andati in crisi
nell'Eurozona avevano chi mezzo, chi uno, chi due, chi tre punti di
tassi di inflazione più dei paesi del centro (Germania, Olanda,
Finlandia) e si comincia con il ricco che si compra la Mercedes,
tedesca, e si finisce con il povero che si compra il latte o la carne,
se può, tedesco. Capito? Questo corrisponde a un approfondirsi sempre
di più, a uno sprofondare sempre di più del deficit della bilancia dei
pagamenti ed è un deficit che deve essere ovviamente finanziato. Come?
Con altri capitali. Mi spiego. Ognuno di noi, se spende più di quello
che guadagna e quindi se importa beni più di quanto esporti beni o
servizi – noi quando lavoriamo esportiamo un servizio, ci danno i
soldi, facciamo la spesa, importiamo un bene, diamo i soldi. È normale
– se facciamo troppe spese dobbiamo chiedere soldi in prestito. Anche
un paese, banalmente, se fa più spese di quanti incassi faccia, deve
chiedere soldi in prestito. Quindi si accumula, innescato da un
afflusso iniziale di capitali esteri, si scava un'ulteriore voragine
che è determinata dall'arrivo di ulteriori capitali esteri per
finanziare il buco che si è creato perché tu hai messo in moto un
processo di questo tipo.
MESSORA: come mai i capitali esteri stimolano l'acquisto di beni esteri
e non, per esempio, di beni nazionali? Per esempio perché il povero non
si compra il latte italiano con quei soldi, che cosa di meno? Perché il
latte italiano è meno buono, meno competitivo?
BAGNAI: guarda, lì si arriva alla fine del processo. Allora,
tendenzialmente esiste questo, l'incentivo da parte del centro a
fornire flussi di finanziamento alla periferia non è solo un incentivo
di carattere monetario o finanziario, è anche un incentivo di carattere
reale e normalmente il centro ha una forte base produttiva e quindi ha
un sovrappiù industriale che deve collocare da qualche parte. Quindi,
come dire, è un circuito finanziario reale in cui in qualche modo il
centro riesce a collocare i suoi capitali perché in questo modo riesce
a collocare i suoi prodotti. Ma questo è un dato pacificamente
accettato dagli economisti e che è un po' sotto gli occhi di tutti. Tu
pensa il gioco, per esempio... Ecco, vedi, quando all'inizio del secolo
Blanchard e Giavazzi analizzarono il caso degli squilibri
dell'Eurozona, loro proprio notavano questo, dissero “secondo noi
questi squilibri, cioè il fatto che paesi come Grecia, Portogallo,
Spagna, stiano importando tanti capitali è fisiologico”, è una cosa che
il modello neoclassico di crescita prevede. I paesi che sono più
indietro hanno bisogno di più capitale per crescere, offrono rendimenti
migliori e quindi si indebitano, tutto va bene, anzi è una cosa
positiva perché in qualche modo ci conferma che i mercati stanno
funzionando, stanno mandando il capitale dove c'è bisogno. Poi parliamo
di come è andata a finire e di perché, secondo me, questo ragionamento
era lievemente impreciso e lo facciamo magari rifacendoci a Keynes. Ti
voglio far notare che questo gioco funziona anche tra Stati Uniti e
Cina, però funziona in un modo strano. Esiste lo stesso gioco, ma la
cosa divertente è che è il povero che presta al ricco. Tutti noi
sappiamo che la Cina finanzia massicciamente gli Stati Uniti, il
settore pubblico ma probabilmente anche il settore privato, e in cambio
gli Stati Uniti si imbottiscono di beni cinesi. Da dove parte questo
meccanismo è un po' il cane che si morde la coda e ci sono diverse
teorie su dove il gioco inizia. Ma che il gioco sia questo è pacifico.
MESSORA: infatti hanno una riserva di dollari, mi pare, di 3.500 miliardi dollari.
BAGNAI: ne hanno tanti. Quindi sarebbero... diciamo così, è nel loro
interesse che il dollaro non faccia una brutta fine, mentre degli euro,
contrariamente a quello che ci era stato detto all'inizio, non è che
abbia spiazzato particolarmente il dollaro nelle riserve valutarie
delle banche centrale dei paesi esterni all'Eurozona. Tanti marchi e
franchi avevano prima e tanti euro hanno dopo. Quindi questa storia che
l'euro è in crisi perché c'è un complotto americano che sta cercando di
rovinarci perché l'euro gli fa paura... Cioè, ogni tanto sento anche
ragionamenti di questo tipo, insomma. Non è particolarmente supportata
dai dati perché l'euro non si è particolarmente affermato come valuta
di riserva. Poi bisognerebbe vedere perché e percome. Oggi mi sembra
evidente che in questa fase l'euro è poco credibile, quindi è chiaro
che magari uno cerca più di alleggerirsi che non di imbottirsi.
Comunque, insomma, il film già visto finisce sempre nello stesso modo.
Cioè ad un certo punto il paese periferico accumula una tale quantità
di debiti che comincia ad indebitarsi per pagare interessi all'estero.
Questo è un segnale molto chiaro, lo vedi dal saldo dei redditi della
bilancia dei pagamenti. Quando il saldo dei redditi comincia a
diventare negativo e pesantemente negativo, vuol dire che stai dando
più interessi all'estero di quanto l'estero ne dia a te. I mercati se
ne accorgono e a quel punto basta un niente, basta che ci sia... In
questo caso non è stato esattamente niente il crollo della Lehman
Brothers, è stato un evento molto molto importante, ma nel caso di
paesi più piccoli ci sono stati fattori scatenanti anche, se vuoi,
abbastanza minimi. Però ad un certo punto i mercati decidono che hanno
dato troppo e smettono di dare. Quando smettono di dare – questo si
chiama arresto improvviso in letteratura, sudden stop – si verifica
normalmente quello che in letteratura si chiama un rovesciamento del
saldo delle partite correnti, un current account reversal. Cosa vuol
dire? Vuol dire che tu eri in deficit, perché ti prestavano i soldi, ad
un certo punto sei costretto a cambiare questa situazione e sei
costretto a ripagare i debiti che hai contratto e quindi passi in
surplus. Come lo fai? Con lacrime e sangue, e anche se ci riesci.
Abbiamo avuto tante e possibili soluzioni.
MESSORA: lacrime e sangue uguale austerity.
BAGNAI: sai, la ricetta che il fondo monetario internazionale tendeva ad imporre era questa, sì.
MESSORA: però ho una domanda, da neofita ovviamente, che però forse
vale per molti. Siamo partiti con i capitali che affluiscono nel paese
periferico, però affluiscono verso privati.
BAGNAI: sì.
MESSORA: qual è il passaggio intermedio per cui alla fine è lo Stato che si indebita? Perché siamo arrivati a questo.
BAGNAI: un altro dato, diciamo un altro episodio, un altro leitmotiv,
un altro sfondo di questo film già visto è che normalmente, nella fase
in cui la molla della crisi si carica, il settore pubblico gode di un
periodo di relativa floridezza. Adesso te lo spiego perché. È molto
semplice. Se, diciamo, l'economia drogata dal capitale estero comunque
corre, la gente guadagna, i soldi circolano, lo Stato naturalmente
incassa, incassa tasse, imposte. Poi ovviamente, altrettanto ovviamente
deve meno intervenire con spese a sostegno, per esempio, dei redditi.
In generale, insomma, la gente sta meglio e c'è meno bisogno di
sostenere i suoi redditi. Quindi quasi ovunque – è successo in
Argentina, è successo in Cile, in Messico, in Grecia anche, poi ne
parliamo, soprattutto in Spagna, in Irlanda, in Italia – tu vedi che il
debito pubblico o diminuisce, e in Spagna è diminuito tantissimo, anche
in Irlanda, o al più rimane stazionario, come in Grecia che aveva una
situazione piuttosto compromessa. Anche in Italia il debito pubblico
negli anni, quando c'era lui, come...
MESSORA: dice Benigni.
BAGNAI: sì. Quando c'era lui esattamente il debito pubblico stava
diminuendo. Certo, sarebbe potuto diminuire di più, ma naturalmente
questo, sai... Come dicono a Roma “se mio nonno avesse avuto cinque
palle sarebbe stato un flipper”, insomma. Si possono fare tutti i
controfattuali che si vogliono, possiamo poi parlare del perché, ad
esempio, non sono state fatte politiche più incisive in termini di
riduzione della spesa. Vogliamo parlare del fatto che l'aggancio con
l'euro ci ha fatto perdere competitività e quindi ha fatto calare
drasticamente il tasso di crescita delle esportazioni? Quindi al crollo
della domanda estera, che è una delle due fonti di domanda autonoma di
un sistema economico, dovevamo anche aggiungere da prima l'austerità.
Per far contenti chi? L'Italia, invece, che crescere lo 0,9%, sarebbe
cresciuta lo 0,4. Bel risultato! Comunque, nel periodo in cui la molla
si carica, invece, l'economia cresce e quindi la finanza pubblica
normalmente migliora. Questo significa che tutti i grulli o i furbi che
identificano il debito con il debito pubblico, sono tutti felici: “ma
come è sano questo paese!”, “ma come è virtuoso questo paese!”, vengono
le emissioni del Fondo Monetario e si estasiano di fronte a questi
meravigliosi risultati, senza accorgersi che magari ci sono casi, come
quello della Spagna, dove il credito privato, e quindi il debito dei
privati, aumenta nel frattempo di 100 punti di PIL. Ad un certo punto
però, purtroppo, si arriva a redde rationem. Quando cominciano a
interrompersi i finanziamenti e quindi questo circolo si spezza e
quindi, come dire, c'è la recessione, le famiglie si trovano in
difficoltà, le imprese si trovano in difficoltà. I debiti di famiglie e
imprese sono i crediti delle banche. Quello che sta al passivo mio sta
all'attivo della mia banca e quindi la mia banca si trova con quelle
che si chiamano, con una bella ed espressiva parola, tante sofferenze
nel suo attivo. Le sofferenze non sono sue, le sofferenze sono mie.
Però diciamo che lo Stato si impietosisce verso le sofferenze delle
banche, forse anche perché le classi politiche non sono insensibili
all'azione di certe lobbies, può anche darsi, sta scritto nei libri di
testo questo.
MESSORA: talvolta le classi politiche sono espressioni di quelle lobbies.
BAGNAI: questo sta scritto, anche questo, nei libri di testo. Vi
leggete il libro di Acocella “Elementi di Politica Economica” e nel
capitolo sui fallimenti del non mercato, cioè sui fallimenti dello
Stato, troverete che questi fallimenti sono anche determinati dal fatto
che lo Stato talora è catturato da interessi che sono interessi
monopolistici e quindi è normale che poi non faccia gli interessi di
tutti. Ma non è che c'è bisogno di andare in televisione e strillare
che quello è un criminale o che quell'altro andrebbe fucilato. È una
cosa che sta nei libri di testo. Cioè, chiunque ha fatto un buon corso
di economia lo sa. Comunque, la morale della favola è che il debito da
privato diventa pubblico per il semplicissimo motivo che lo Stato,
sulla base di principi che possono essere anche corretti o sulla base
del fatto che è pilotato in parte da interessi che possono essere
parziali, ci mette i soldi suoi per evitare che le banche vadano a
gambe per aria. Ora attenzione, io non è che sto propugnando come
soluzione l'armageddon finanziario: facciamo fallire tutti perché poi
dalle ceneri di questa immensa distruzione creatrice, questo immenso
episodio catartico, rinascerà un'economia più sana. Queste sono
fesserie. È chiaro che bisogna evitare i danni, però una volta che i
danni li hai evitati devi anche capire perché si sono provocati e come
gestire il dopo. Allora se tu salvi la banca e poi la banca con i soldi
che riceve, intanto rimane privata e con i soldi che riceve tutto
quello che fa è fare carry trade, gonfiare nuove bolle, aumentare il
bonus al suo management, che è esattamente quello che ha creato il
casino nel quale ci troviamo, questo dovrebbe far sorgere qualche
dubbio. Quindi, come dire, sono d'accordo, salviamo le banche, va bene,
pubblicizziamo il debito privato, mi sta anche bene, ma poi non diciamo
che la colpa è del debito pubblico che prima stava diminuendo o che
comunque era stazionario, e comunque poi non diamo la colpa allo Stato.
Perché la situazione nella quale viviamo è stata descritta benissimo da
un collega del dipartimento dove lavoravo prima qua a Roma, Felice
Roberto Pizzuti, che un paio di annetti fa scrisse su “Sbilanciamoci”
un articolo molto lucido su questo tema che si intitolava “i bilanci
pubblici, da salvatori a vittime”. Nel senso che dopo l'onda del 2008
tutti i bilanci... diciamo, gli Stati hanno messo soldi nell'economia
per evitare la catastrofe, pochissimi mesi, se non settimane dopo, si è
scatenata questa campagna di stampa che tendeva ad identificare il
problema con un problema di debito sovrano che prima non c'era e che lo
Stato aveva contratto per togliere le castagne dal fuoco a quegli
operatori privati che avevano fatto un uso estremamente poco accorto ed
oculato dei risparmi che stavano intermediando e che erano i risparmi,
diciamo, di famiglie e imprese, facendone un uso dissennato.
MESSORA: quindi, aspetta, il privato dà in gestione a privati i suoi
soldi e siccome questi altri privati ne fanno un uso criminoso – come
direbbe qualcuno – interviene il pubblico a pagare i privati per ridare
ai primi privati i soldi che i secondi privati gli hanno mangiato. È un
po' così?
BAGNAI: sì, diciamo. Dunque, il sistema bancario, nella
rappresentazione ortodossa da libro di testo, eccetera, è un
intermediario puro, cioè è uno che prende soldi da chi ha risparmiato,
dalle unità, diciamo, in surplus, in surplus intendo dire che hanno...
Poi, dopo, se mi ascoltano economisti ancora più ortodossi o invece
eterodossi, marziani, quelli con le antenne o quello che è, insomma
sraffiani, poi dopo mi bacchettano: “no, tu non devi dire eccesso di
risparmio perché...” Io queste cose filosofiche, non lo so. Cerchiamo
di capirci. Una famiglia normalmente ha uno stipendio, anzi oggi in
Italia due perché con uno non ci campa più nessuno, e una volta, oggi
non credo, ma una volta riusciva a mettere dei soldi da parte. Dove li
metteva? In banca. E la banca che cosa faceva con quei soldi? Li
metteva insieme e poi arrivava l'imprenditore, che era uno che
strutturalmente deve essere in debito, perché deve realizzare un
progetto ambizioso che richiede un investimento di capitale, allora la
banca selezionava i progetti, diceva “bravo! Tu sei l'imprenditore
virtuoso. Ti prendi il capitale della famiglia, che è un'oculata
risparmiatrice, lo fai fruttare, così quando poi la famiglia mi
richiede i soldi indietro io alla famiglia do il suo capitale e gli
interessi”. Questo è il gioco. Poi naturalmente in questa
rappresentazione oleografica, da santino ottocentesco, ci sono molti
snodi che... Tu, giustamente, vedo che stai fremendo, quindi vorresti
chiedermi qualcosa.
MESSORA: c'è il meccanismo anche della riserva frazionaria nei prestiti che la banca può effettuare. Vero?
BAGNAI: sì, naturalmente. Quel meccanismo c'è, ma è un meccanismo che
non ha mai, diciamo, ucciso nessuno. Naturalmente certo che c'è il
meccanismo della riserva frazionaria.
MESSORA: io ho uno e posso prestare dieci. C'è una scelta percentuale.
BAGNAI: si basa sul fatto che nessuno di quelli che depositano utilizza
mai tutti i soldi che ha depositato simultaneamente a tutti gli altri e
questo meccanismo è stato un motore dell'economia capitalistica, la
quale economia capitalistica - va un attimo detto, perché sono quelle
grandi ovvietà che però dobbiamo dire per far riflettere la gente –
l'economia capitalistica si basa sul debito. Il capitale inteso come
massa di risorse finanziarie è qualche cosa che viene raccolto da
istituzioni e dato ad unità economiche le quali nel momento in cui
accettano un capitale, e mi riferisco agli imprenditori in particolare
ma anche alla famiglia che vuole avere il mutuo per la casa, si stanno
indebitando. Il capitalismo su questo si basa. Questa è stata la sua
grande potenza, se vogliamo positiva, nel senso di garantire uno
sviluppo. Nell'Europa preindustriale, precapitalistica ma direi
preindustriale, non è che si vivesse molto meglio di adesso. Sai perché
le epidemie erano particolarmente distruttive, per esempio la peste
nera del '48? E' molto semplice. Perché noi oggi abbiamo la t-shirt del
cinese che costa un centesimo di euro in Cina e da noi, non so, un
euro, quindi ci possiamo coprire, poi oggi non c'è neanche bisogno di
coprirsi ché fa un caldo tremendo. Ma nel Medioevo semplicemente
vestirsi richiedeva delle disponibilità economiche enormi. Quindi
quando il medio borghese moriva di peste, invece di dargli fuoco a lui
col suo vestito, il vestito se lo metteva addosso un altro, che poi,
poveraccio, moriva pure lui. Tanto per dire, no? Cioè cose che per noi
sono banali, come vestirci, lavarci, mangiare, prima del capitalismo e
prima della rivoluzione industriale non erano così banali. Certo,
naturalmente questo ha avuto anche un'enorme potenza distruttiva
sull'ambiente e direi anche, a più riprese, sulle condizioni del nostro
vivere civile, visto che poi le guerre sono diventate mondiali e prima
erano locali. Dovremmo riflettere su questo. Però il capitalismo è un
sistema economico con luci ed ombre ed è basato sul debito. Quindi il
debito non è cattivo, né se lo fa lo Stato né se lo fa il privato.
Quando si parla di debito bisogna vedere perché è stato contratto, di
quanto è il suo ammontare, che uso se ne è fatto. Perché da lì deriva
la sostenibilità del debito, il quale, ripeto, non è né buono né
cattivo, e il debito di qualcuno è sempre il credito di qualcun altro
(Goofynomics). È sempre una salita che vista dall'altra parte è una
discesa o viceversa. Dobbiamo un po' riflettere su questo. Sono cose
molto semplici. Ma nel dibattito dei giornali la rappresentazione che
si dà è sempre asimmetrica. Per esempio, se hai i debiti sei cattivo,
se esporti sei bravo. D'accordo. Allora tu esporti e sei bravo, allora
chi importa è cattivo. Ma se chi importa non importa, tu come fai ad
esportare? E chi importa, se non esporta, deve fare un debito per
comprare i tuoi beni. Allora il debito è cattivo? Ma il debito che è
cattivo è quello che permette a te di essere buono. E poi, amico
alamanno, amico frisone o amico finlandese, amico finnico, che vuoi
ipotecare il Partenone, ma noi non eravamo in un'unione? Non dovevamo
cooperare? Non dovevamo coordinarci? Perché adesso tutti i giornali ci
dicono che il nostro problema è che non siamo abbastanza competitivi da
competere con voi? Cioè sembra che tutti danno per pacifico, per
assodato, che lo scopo dell'Unione Europea sia menarsi gran mazzate,
gli uni con gli altri, in termini di scambi commerciali, in una guerra
fratricida che peraltro ha come risultato netto zero, perché il saldo
commerciale dell'Unione Europea aggregata è uno 0,2 del PIL...
dell'Eurozona aggregata, quindi noi di fatto siamo un sistema
finanziariamente e commercialmente chiuso al netto. Al netto! Perché
lui dice “sì, però noi esportiamo dalla Cina e importiamo dalla Cina”.
Ho capito, ma se i soldi che noi diamo loro sono tanti quanto quelli
che danno a noi, siamo su un pareggio. D'accordo? Questa è un po' la
situazione. Uscire dai luoghi comuni, uscire dalla asimmetria, capire
che c'è una simmetria (simmetria, con la “s”).
MESSORA: quindi il capitalismo si fonda sull'afflusso dei capitali e
quindi sul debito. Il debito non è né buono né cattivo, quindi quando
scrivono “eh, ma il debito pubblico...” Se non specificano con
parametri ulteriori non ha gran significato. Questi parametri
potrebbero essere il rapporto con il PIL o anche, semplicemente, la
capacità di rifinanziare questo debito, cioè di pagare gli interessi
dei titoli che vanno a scadenza e di comprarne di nuovi. Questo, se
vogliamo, potrebbe essere il parametro virtuoso.
BAGNAI: ecco!
MESSORA: ma ti faccio una domanda: il debito si può non pagare? O è un'eresia economica?
BAGNAI: tu lo stai chiedendo ad uno che, anche se non si sente più, è
fiorentino e a Firenze abbiamo inventato la finanza e quindi abbiamo
anche inventato il default, come è noto. Basta cercarsi
“Bardi-bancarotta” e si vede cosa è successo nel '300 e nel '400. Che i
debiti ogni tanto possano non essere pagati, non vengano pagati – ecco,
diamogli una connotazione assolutamente oggettiva – succede. Sai che
dietro le macchine americane ci sta quell'adesivo con scritto “shit
happens”? Ecco, perfetto! Può succedere.
MESSORA: conseguenze?
BAGNAI: intanto cause, quando prendi troppi soldi... Attenzione,
quand'è che prendi troppi soldi? Quando te li danno. In un sistema
capitalistico, nella famosa oleografia della quale ti ho parlato prima,
incombe sul creditore, cioè sulla banca, il valutare il merito di
credito dei progetti che sta finanziando. Le banche dovrebbero essere
lì per quello. Attenzione, non c'è un solo capitalismo, ce ne sono
tanti. Ci sono capitalismi dove il sistema finanziario è quasi
completamente scisso da quello industriale, nel senso che quindi si
pone in una situazione quasi di terzietà e di controllo; i mercati,
diciamo, controllano il sistema produttivo. Ma ci sono sistemi dove la
finanza è più strettamente integrata con il sistema produttivo, basta
pensare, non so, ai conglomerati giapponesi che hanno una fabbrica di
moto, una fabbrica di pianoforti, una fabbrica di birra – mi diceva un
collega che in ogni conglomerato giapponese c'è una fabbrica di birra –
e una banca. Capito? Allora lì si fa gioco di squadra. È chiaro il
concetto. Guarda, si può non pagare il debito, basta non pagarlo. È
molto semplice. Che cosa succede dopo? Allora, intanto va considerato
questo fatto, ragioniamo un attimo su quello che sta succedendo adesso
in Europa. Il creditore normalmente sa che corre un rischio, questo
rischio normalmente è incorporato nel tasso di interesse. Quindi tu, in
anticipo, stai... Pensa a quello che sta succedendo adesso
nell'Eurozona. Perché gli spread?
MESSORA: io non sono economista, ma queste cose le ho scritte tre mesi
fa, e non sono certamente preparato come te sul punto. Ma scusa, se io
devo pagare il 6-7% di interesse ai miei investitori, cosa vuol dire?
Siccome misura il tasso di fiducia, vuol dire che quelli si assumo il
rischio di investire su di me perché sanno... Però a fronte di questo
rischio vogliono più soldi. Ora, siccome non mi risulta che se io gli
pago gli interessi che gli devo pagare mi abbassano la percentuale di
interessi perché sono stato bravo, così non si capisce perché il
rischio che io sto già pagando, perché gli pago un sacco di soldi di
interessi, non se lo debba assumere chi presta i soldi. Scusa
l'invettiva, ma...
BAGNAI: no, ma l'invettiva è giusta e peraltro mi permette, come dire,
di aprire e chiudere una parentesi sul fatto che da quando ho iniziato
questa attività di divulgazione, che ho iniziato, come ti dicevo prima
e come ho detto tante volte in tante sedi, l'ho iniziata perché sono
profondamente preoccupato per il modo in cui viene gestita la
situazione, e non mi riferisco solo ai livelli politici, che sono un
po' prigionieri adesso delle loro menzogne, sono un po' in un vicolo
cieco, ma mi riferisco a come viene gestita l'informazione su quello
che sta succedendo, e anche di questo abbiamo parlato. Perché
l'informazione viene gestita in un modo che rende estremamente
improbabile un esito democratico e cooperativo da questa situazione di
grave conflitto economico tra paesi e tra classi sociali e questo mi
preoccupa naturalmente. Però, insomma, da quando ho iniziato questa
opera di divulgazione, mi sono reso conto del fatto che molto spesso le
intuizioni più corrette, più limpide su alcuni principi fondamentali si
trovano fuori dalla professione economica, si trovano nel matematico,
nel filosofo, nel giurista, nel videoblogger. Ti posso chiamare così? È
una professione.
MESSORA: è un grande onore.
BAGNAI: è onore mio. Perché? Ma perché, senza parlar male dei miei
colleghi, che – poveracci – ne parlano tutti male e io anzi sto
cercando in tutte le sedi di difendere l'onore di una professione che
non è responsabile del fatto che la classe politica non la è stata a
sentire, perché noi siamo entrati in questa crisi, che era un film già
visto e che era una catastrofe annunciata, perché i politici hanno
voluto fare di testa loro e questo poi va detto. Poi si può ragionare,
gli interessi, eccetera. Io non voglio quindi parlar male della
professione, però è indubbio che se tu ti specializzi in un settore
della professione... Sai, dire “economista” è come dire “musicista”. Se
tu suoni il pianoforte non puoi suonare un concerto per violino e
viceversa. Se tu ti sei occupato di microeconomia o di economia
ambientale, è certo che quando poi il problema sono i movimenti di
capitali internazionali, qualcosa che può sembrare semplice ma che
comunque ha le sue regole, può capitarti di dire delle imprecisioni.
Torniamo al punto. Il punto è: gli spread – esempio – cosa stanno
prezzando questi spread? Secondo me, ma non solo secondo me, secondo
altri colleghi che non nomino perché magari nel frattempo hanno
cambiato idea, ma chiunque si documenta lo vede, c'è un'opinione
abbastanza comune che questi spread stiano prezzando di fatto il
rischio di una... il rischio che secondo me, peraltro, è una certezza,
di una frantumazione dell'Eurozona. Quindi praticamente paghi un 5-6%
di interesse in più sui dei titoli a 10 anni perché si prevede che in
questi 10 anni ad un certo punto uscirai e svaluterai, quindi stai
pagando anticipatamente il costo dell'uscita. La situazione
paradossale, riferita alla situazione attuale, è che noi stiamo pagando
anticipatamente il costo dell'uscita senza cogliere alcun beneficio
dell'uscita. Questo banalmente è sotto gli occhi di tutti. Quindi, come
dire, bisognerebbe un attimo riflettere su queste situazioni. Il
default non è un diritto, è un fatto. E' successo, è nella logica delle
cose. Può capitare che una persona che si è indebitata troppo, ripeto,
perché l'hanno lasciata indebitare troppo, non sia in grado di onorare
i propri debiti. Può capitare, è sempre capitato. Si sono subite delle
perdite, ci si è leccati le ferite e si è ripartiti, in alcuni casi
purtroppo con conflitti, ma mediamente anche no, perché fa parte della
logica del capitalismo che le cose vadano bene e anche che vadano male.
Attenzione però, io qui, se me lo permetti, vorrei un attimo riportare
il discorso su un problema di struttura. Cioè, perché sapendo che le
cose possono andar male c'è qualcuno che continua a prestare soldi a
paesi che visibilmente stanno per andare in affanno? A questa domanda
purtroppo non c'è risposta nel quadro ortodosso che abbiamo delineato
prima, quello che vede i movimenti di capitale come un fattore
riequilibrante perché il capitale va dove ce n'è di meno perché dove ce
n'è di meno è più produttivo. Se fosse così noi intanto a livello
mondiale non assisteremmo a un fenomeno macroscopico, che è che il
maggiore importatore di capitali al mondo, cioè il paese che più si
indebita col resto del mondo, è anche tra i più ricchi, cioè gli Stati
Uniti. Non il più ricco in termini pro capite, perché alcuni paesi
petroliferi o il Lussemburgo hanno dei redditi pro capite più alti per
ovvi motivi, ma senz'altro il più ricco e il più potente, e sono anche
quelli che si indebitano di più. Quindi c'è qualcosa che non va. Un
altro fenomeno al quale assisteremmo sarebbe che gli afflussi di
capitale dovrebbero smorzarsi nel tempo, nel senso che un paese ha
bisogno di capitali perché è arretrato, i capitali arrivano, allora il
paese diventa avanzato, i capitali diventano meno produttivi perché le
autostrade sono state fatte, i porti sono stati fatti, le acciaierie
sono state fatte, tutte le cose belle e produttive sono state fatte e
la produttività marginale dovrebbe smorzarsi per la legge dei
rendimenti decrescenti. Naturalmente se io ti chiedo di scavare una
buca con le mani tu ci metti un po' di tempo, se ti do una zappa ci
metti molto meno tempo, se ti do due zappe ci metti lo stesso tempo
perché hai solo due braccia e non ne hai quattro. Capisci? Questo è il
concetto di rendimento decrescente. Un'unità iniziale di capitale molto
produttivo, unità successive, ad un certo punto, fatalmente no, a
parità di altri fattori. Invece noi assistiamo al fenomeno per il quale
gli afflussi di capitale non si smorzano nel tempo ma aumentano. Cioè i
paesi, per esempio, dell'Eurozona sono partiti da deficit di partite
correnti, cioè indebitamento netto verso l'estero a una cifra, che
magari era il 5% del PIL, il 6, poi il 7, poi il 10, poi il 12, poi il
15. Cioè il fenomeno non andava smorzandosi, era esplosivo, era una
valanga, era una bolla. Qui allora forse noi dobbiamo un attimo
riflettere su come funzionano i mercati finanziari. E la riflessione
non è che dobbiamo farla noi, perché è stata già fatta, è bella scritta
nel XII libro della teoria generale di Keynes, dove Keynes ragiona sul
funzionamento del mercato finanziario, non necessariamente sugli scambi
internazionali di capitali, e in generale su come il mercato
finanziario – e si riferisce in particolare al mercato borsistico –
alloca i capitali.
Lui fa un ragionamento estremamente semplice che è questo: i mercati
finanziari sono dominati dal principio della liquidità. Cioè, quando tu
vai ad investire in borsa, va da sé, è pacifico che se poi vuoi
realizzare il tuo investimento, vai, vendi e ti riprendi i soldi. La
liquidità, cioè il fatto di possedere un ammontare di moneta che è
immediatamente spendibile, che ha potere liberatorio immediato, insomma
che sia a corso legale, che sia moneta fiat, come oggi si dice, cioè il
fiorino, lo scudo, il doblò, queste cose qui, moneta a costo forzoso,
che siano pezzi di oro o quello che è, ora questo crea un piccolo
problema. Qual è questo problema? Il problema è che normalmente il
mercato non si regola sull'aspettativa di rendimento a lungo termine,
ma si regola, a questo punto, su aspettative di più breve termine. Che
cosa significa? Significa che fermo restando che c'è una quantità di
persone che agiscono come cassettisti, cioè che mettono i soldi in
un'azienda perché credono che quella possa avere un buono sviluppo e
quindi assicurare in un periodo di tempo molto lungo, magari non da
subito ma in futuro, dei dividendi, quindi mettono l'azione nel
cassetto – per questo si chiamano cassettisti – e si limitano a
percepire i dividendi. Il grosso delle transazioni, in realtà, risponde
a una logica diversa, una logica di carattere speculativo. Cosa
significa speculativo? Significa che io compro un pezzo di carta, un
pezzo di carta significa un'azione di un'azienda e quindi
implicitamente sto dando dei soldi ad un'azienda, non perché penso che
lei faccia un buon uso di quei soldi, ma semplicemente perché penso che
se lo faccio, lo farà anche qualcun altro o che comunque penso che gli
altri, come me, si aspettino che quell'azienda veda crescere le proprie
quotazioni e lo faccio quindi per lucrare quello che si chiama un
capital gain, cioè per vendere l'azione quando il suo prezzo sarà
cresciuto abbastanza, il che può succedere anche in una settimana o in
un mese, il prezzo sale, io vendo, ho comprato basso, vendo alto, ho
lucrato la differenza. Dopodiché quando il prezzo è sceso magari
ricompro. Cioè partendo dalla somma iniziale io prima magari compro un
pacchetto di dieci, alla fine del gioco ho un pacchetto di venti,
perché nel frattempo, avendo rivenduto quando il prezzo era alto... E'
chiaro il concetto. Quindi si può speculare al rialzo e al ribasso.
Keynes usa tante metafore per descrivere questo funzionamento, lo
chiama “Il concorso di bellezza” nel quale tu non voti per la ragazza
che ti sembra più bella ma per quella che tu pensi che gli altri
penseranno che è la più bella, perché vince chi aderisce alla
maggioranza, oppure lo chiama “il gioco delle sedie musicali”: finché
la musica suona, finché c'è la crescita drogata dal capitale estero,
per esempio, tutti sono lì che danzano intorno alle sedie, poi ad un
certo punto la musica si ferma e uno solo rimane in piedi e quello ha
perso; uno solo rimane col cerino in mano. Perché tutte queste banche
continuano a prestare, prestare, prestare a paesi e quindi a individui,
imprese, famiglie, delle quali le risultanze macroeconomiche fanno
capire che alla fine non ce la faranno? Perché se un paese si sta
indebitando complessivamente, un paese, non uno Stato, un paese, e
quindi famiglie e imprese, assorbono capitali dall'estero al ritmo di
un sesto, un quarto del PIL all'anno, è chiaro che alla fine non ci
sarà modo di restituire queste somme. Lo fanno per due motivi. Un
motivo è la famosa logica delle sedie musicali, perché finché la barca
va, tu lì lucri degli interessi maggiori e quando non va puoi sempre
sperare che il cerino rimanga in mano a un'altra banca. E poi lo fanno
perché c'è un colossale problema di moral hazard, cioè le persone che
hanno ricevuto, le istituzioni finanziarie che ricevono i loro risparmi
dai risparmiatori dovrebbero usarle diligentemente, però non sempre lo
fanno e prestano dissennatamente. Perché? Perché sanno che tanto poi
paga Pantalone, che lo Stato interviene e le salva. Questo è un altro
problema. Allora stiamo cominciando a focalizzare alcuni problemi,
quindi poi focalizzeremo anche alcune soluzioni, evidentemente. Ma qui
c'è proprio un problema che è un problema di struttura. Cioè quello che
voglio far capire è che questo tipo di fallimenti del mercato non
necessariamente richiedono, anche se non sono incompatibili con
spiegazioni del tipo: il disegno per distruggere l'economia del paese,
il complotto tra le due guerre mondiali, si sono riuniti in tre o in
quattro o un sette, che è un numero anche bello il sette. Perché non si
sono mai riuniti in sette, per esempio? Sette è un numero cabalistico
meraviglioso. Invece in tre, tre che è il numero perfetto. Non ce n'è
bisogno. In realtà è l'azione razionale ma scoordinata di tanti agenti
economici, ognuno dei quali si fa i fatti propri, quindi è razionale a
modo suo e per gli interessi suoi, che però conduce ad un esito che è
irrazionale per la collettività. Questa cosa si chiama “fallimento del
mercato”. Se vi leggete il libro di Acocella... Adesso sembra che gli
faccio da agente pubblicitario, ma è il primo testo che mi viene in
mente, un libro di testo in italiano che però è stato anche pubblicato
in Inghilterra dalla Cambridge University Press, è stato tradotto in
Cina. Non stiamo parlando, quindi, del quotidiano del gruppo
anarco-insurrezionalista-marxista-proletario-leninista della
parrocchietta, stiamo parlando di un testo scientifico. Nel capitolo 3
di questo testo vedrete tanti bei, anzi brutti motivi per i quali
l'azione individuale, questa grande libertà dell'individuo, può
tradursi in catastrofi economiche. Qui se questo succede, e succede
razionalmente, non succede per cattiveria. Cioè Soros, quando ha
scatenato l'attacco speculativo, come si dice, contro la lira nel '92,
non lo ha fatto perché voleva male a noi, lo ha fatto perché voleva
bene a lui. Prima caritas incipit ab ego. Questo è il principio che ha
applicato Soros. Dopo il problema sta negli Stati di non mettersi in
condizioni di essere attaccati dalla speculazione e lì ci devono
pensare loro. Ma certo che se tu sei vulnerabile, il mercato questo fa.
Non si può dire che il mercato è cattivo. Certo, il mercato fallisce, è
diverso. Non c'è un'intenzionalità, una malvagità, c'è un meccanismo di
coordinamento delle azioni degli agenti economici nel quale si può
avere fiducia fino ad un certo punto. Bisogna capire fino a dove gli si
può dare fiducia e bisogna porre dei rimedi che possono essere regole o
limiti per incidere su questo.
MESSORA: cioè ad un certo punto la politica deve avere la supremazia
sull'economia, perché altrimenti diventa una specie di darwinismo
economico dove ognuno, come Soros, per fare i propri interessi finisce
però per incidere sul benessere di milioni e milioni di cittadini.
BAGNAI: la politica... io preferirei dire lo Stato inteso come
istituzione, perché la politica la identifichiamo, purtroppo, in
Italia, perché siamo stati...
MESSORA: dico la politica come disciplina che poi porta e modella lo Stato.
BAGNAI: certo. No, in questo senso sì, certo. È chiaro. Perché c'è
bisogno di riflettere sul ruolo delle istituzioni, dell'istituzione
Stato e dell'istituzione Mercato. È abbastanza chiaro che qui delle
soluzioni si possono individuare. Quello che Keynes dice è che
fondamentalmente... lui fa una battuta un po' paradossale, dice “visto
che il problema è di questa natura potremmo risolverlo così.
Immaginiamo che ogni investitore sposi il suo investimento, cioè che la
scelta di investimento sia indissolubile come il matrimonio. A parte
che dopo la guerra e dopo tutta una serie di referendum, questa scelta
è un pochino meno indissolubile, ma il senso che dà Keynes è questo:
noi lasciamo che, come dire, l'andamento delle azioni sia facilmente
influenzabile, del corso azionario, sia facilmente influenzabile
dall'isteria del momento, è chiaro che ci sarà sempre qualche furbo che
ne trarrà beneficio da questo gioco e quindi ci esponiamo a una
situazione di fragilità. Poi dice: ovviamente questo non è possibile.
Allora che cosa bisogna fare? Bisogna introdurre come fattore
stabilizzante del sistema, dice lui, una quota significativa di
socializzazione dell'investimento. Lo Stato deve intervenire nel
mercato finanziario e nel circuito del risparmio, assumendosi lui
l'onere di intermediare i risparmi delle famiglie per fare lui,
realizzare lui dei progetti produttivi che possano in qualche modo
contribuire allo sviluppo economico del paese e che siano anche un
fattore di stabilità finanziaria. Ora però, e questo è un primo
pezzo...
MESSORA: esempio pratico?
BAGNAI: esempio pratico, lo Stato finanzia...
MESSORA: tipo gli eurobond e queste cose qua?
BAGNAI: quello magari ne parliamo dopo, degli Eurobond, perché quelli
non si sa bene cosa siano e quindi non lo so neanche io, perché credo
che non lo sappia nessuno. A parte il fatto che vengono visti dal nord
come un tentativo di socializzare le perdite, dopo che loro hanno
privatizzato i profitti, cosa che ovviamente non fa piacere a nessuno,
a nessuno nel senso di... nessuno che abbia mai privatizzato un
profitto è stato contento di socializzare una perdita. No, mi riferisco
semplicemente al fatto che noi abbiamo assistito, in particolare in
Italia, ma in Europa, a un progressivo arretramento dello Stato da
tutta una serie di funzioni produttive, di erogazione di servizi, di
gestione di infrastrutture, di gestione di reti, di gestioni di servizi
pubblici essenziali, eccetera, eccetera, al grido di “meno Stato più
mercato”, “mercato è bello”, eccetera. Grido che peraltro è anche
profondamente inciso in trattati europei come il Trattato di Lisbona
che noi abbiamo approvato molto consapevolmente quando eravamo in
vacanza.
MESSORA: 15 agosto 2008.
BAGNAI: bravo. Io avevo anche dimenticato la data e mi viene il conato
a pensarci, perché un mese dopo poi abbiamo cominciato a capire che
aria tirava. Quindi questo approccio fortemente ideologico ha visto un
arretramento dello Stato. Ma il settore privato non è necessariamente
più efficiente. Noi abbiamo quantità di report, per esempio, della
Corte dei Conti, che ci dicono che queste privatizzazioni non hanno
dato i risultati che speravamo. Io non ne speravo alcuno, in realtà, ma
insomma che sperava chi le proponeva, che questo aumento
dell'efficienza è rimasto abbastanza chimerico, eccetera eccetera.
Queste cose si sanno, sono documentate. Ma non è che c'è bisogno di
saperle a valle, dopo che il danno è fatto, basta saperle a monte. Ti
leggi un libro di politica economica e vedi che il mercato, come
meccanismo di allocazione delle risorse, ha i suoi limiti, ha le sue
inefficienze, e quindi sai prima che nel momento in cui ti dicono
“tutto mercato”, quello è un messaggio ideologico, è un messaggio
demagogico e devi essere attento. Ora questo messaggio demagogico – qui
apro e chiudo una parentesi perché prima mi sono irrigidito sulla
parola “politica” e non avevo capito cosa volevi dire, cioè volevi dire
politica come scienza politica – purtroppo noi in Italia abbiamo avuto,
come in tanti altri paesi, perché se uno si informa su quello che
succede per esempio in Germania, vede che succede anche lì, abbiamo
avuto comunque l'immagine di una classe politica estremamente
suscettibile di corruzione, di uno Stato non particolarmente
efficiente, eccetera eccetera. Questo ha favorito molto la penetrazione
del messaggio “Stato brutto-privato bello”. Un messaggio semplice,
essenziale, si può dire in quattro parole: due sostantivi e due
aggettivi. Tutti lo capiscono, anche l'elettore mediano che non sa fare
tre per sette. Capisci? O che fa due più due uguale cinque, come tutti
i giornali gli dicono. Tutti i giornali gli dicono che due più due è
uguale a cinque, tu gli parli e lui dice “due più due è uguale a
cinque”. Certo, noi in Italia siamo in una situazione particolarmente
svantaggiata perché abbiamo una sfiducia radicale, profonda, nelle
nostre istituzioni che deriva da un passato storico di stato nazionale
estremamente recente, un'identità nazionale e quindi di fiducia nelle
istituzioni profondamente scissa, profondamente frazionata, lacerata.
Deriva da tanti brutti episodi che si sono verificati, deriva da tante
cose. Quindi siamo molto restii, giustamente restii ad accettare
qualsiasi discorso che cerchi di essere critico nei riguardi del
privato. Perché se tu vedi uno Stato che ti sembra tanto brutto e vuoi
avere speranza, devi pensare per forza che il privato è tanto bello. E
che il privato forse è ancora più brutto dello Stato te ne accorgi solo
dopo, quando è troppo tardi perché il privato si è magnato tutto – come
dicono a Roma – e rimangono solo le ossa. Questa è la triste realtà.
Allora nel caso del settore bancario, ripeto, a parte il fatto che lo
Stato dovrebbe riprendere il controllo del circuito
risparmio-investimento e quindi riprendere la gestione di alcuni
servizi, di alcuni progetti di investimento, sicuramente una cosa da
fare adesso sarebbe: 1) separare l'attività di banca commerciale
dall'attività speculativa, insomma ripristinare un minimo di... sai il
Glass-Steagall Act? Sicuramente, certo, bisognerebbe separare queste
funzioni e bisognerebbe anche dividere non solo funzionalmente, ma
dimensionalmente gli istituti bancari. Io mi ricordo molto esattamente
e molto lucidamente che intorno al 2009, se non sbaglio, partì nel
Regno Unito un dibattito riferito al fatto che i problemi di moral
hazard del sistema bancario derivavano a una cosa molto semplice, che
posso dire, si dice di solito in inglese il famoso too big to fail,
cioè il fatto che questi istituti normalmente, proprio perché
obbediscono a delle logiche di concentrazione di carattere
monopolistico e si uniscono in cartelli, sono talmente grandi che farne
fallire uno significa causare uno scatafascio. Del resto - la prova
provata – basta vedere quello che è successo quando, per motivi che non
ho mai capito, hanno deciso di lasciare che la Lehman andasse per
stracci, come si dice da queste parti, qui a Roma. Io sinceramente non
sono mai riuscito a capire esattamente il razionale di questa
decisione, se magari salvarla sembrava che costasse troppo o se magari
pensavano che non ci sarebbe stato un simile effetto domino. Non ho
capito perché. Voglio dire, il mese prima avevano salvato e
nazionalizzato due enormi istituti previdenziali che avevano debiti
negli Stati Uniti. Non so se ti ricordi. Allora, too big to fail. La
Lehman, a conti fatti, si può dire che fosse too big to fail, perché in
effetti era troppo grande e con il suo fallimento ha causato uno
scatafascio incredibile. Allora se il problema è questo, nel Regno
Unito si era avviato un dibattito del seguente tenore: d'accordo,
frazioniamo le banche, cioè non possono raggiungere delle dimensioni
talmente... Dopo qui la retorica: “ma”, “però”, “allora”, “dopo”, “non
c'è efficienza”, “perché unendosi si fanno le economie di scala”. Sì,
ho capito, tesoro caro, si fanno le economie di scala, ma se il
risultato è che poi alla fine succede un casino mondiale e che devono
pagare i contribuenti, forse il contribuente preferisce avere un
pochino meno efficienza e magari pagare un centesimo in più sul suo
conto corrente, che tanto, soprattutto in Italia, te lo sfilano
comunque, però avere delle garanzie, la garanzia che chi sbaglia paghi.
Invece qui chi sbaglia è stato pagato. Ma perfino Obama, quello che io
affettuosamente chiamo il “ragazzo immagine del complesso militare
industriale”. Ha dovuto far finta di indignarsi in televisione.
MESSORA: premio Nobel per la pace.
BAGNAI: premio Nobel per la pace che poi ha mandato non so più quante
migliaia, il giorno dopo, di marines in Afghanistan, ovviamente in
missione di pace, perché in missione di pace si mandano i soldati.
Questo va sempre detto. Non credo che sia sempre stato fatto, perlomeno
non è sempre stato detto così. Una volta si parlava di guerra, adesso
si parla di pace. È strano come una pace vista dall'estero somigli ad
una guerra. Ecco, questa è la Goophy politic. Ti piace?
MESSORA: mi piace.
BAGNAI: perfetto. Ci siamo capiti. Noi la chiamiamo “pace”, loro la
chiamano “guerra” e si regolano di conseguenza, e noi purtroppo poi
subiamo dei lutti, veniamo coinvolti in delle cose che ci riguardano
fino ad un certo punto. Va bene. Dicevo, perfino il ragazzo immagine
del complesso militare industriale dovette accalorarsi in televisione,
indignarsi, dicendo che era uno scandalo che con i soldi che queste
grandi corporation finanziarie avevano avuto, avevano aumentato i bonus
del loro management. Ma per forza! Ma se tu credi alle istituzioni che
sono strutturalmente too big to fail – capisci? - non saranno mai too
small to comply. Cioè, si faranno sempre i beneamati fatti loro. E ho
detto fatti.
MESSORA: comunque anche se credi alle istituzioni che sono too small to
comply, non bisogna conoscere l'economia, basta conoscere la natura
umana, bisognerebbe anche cercare di impedire che i consigli di
amministrazione poi siano gli stessi, e non solo, anche le parentele
all'interno dei consigli di amministrazione. Mi ricordo adesso che
Monti ha fatto la regola, la legge per cui le banche e le assicurazioni
non possono avere gli stessi consigli di amministrazione, Marina
Berlusconi si è dimessa e ci ha messo suo fratello. Ecco, è sempre
difficile. Non so se è perché siamo italiani o è così ovunque.
BAGNAI: questo ci ricorda che la famiglia è un'istituzione molto
importante, cosa per la quale, peraltro, basta guardarsi “il Padrino”,
come ti raccontavo prima.
MESSORA: non volevo fare questo riferimento.
BAGNAI: no, per carità! È un riferimento letterario, è un riferimento
ad un'opera d'arte. Adesso non mi ricordo più quale numero abbia alla
musa del cinema, comunque... Però sì, naturalmente, certo, è chiaro.
Però qui bisogna un attimo capirsi. La pallottola d'argento non esiste.
So benissimo che ci sono persone che si aggirano per l'Europa o più
esattamente per l'Italia, perché nel resto d'Europa il dibattito mi
sembra un pochino meno provinciale, diciamocelo, purtroppo. Non è che
sto autocommiserando questo paese, che amo e che non merita gli insulti
che riceve quotidianamente da tutta la sua stampa, peraltro, ma di
questo parliamo dopo. Non esiste la silver bullet. C'è chi dice “adesso
noi cambiamo il mercato della moneta e improvvisamente tutto andrà a
posto”. Io sinceramente ci credo poco. I problemi sono complessi e le
soluzioni non possono essere semplici, però i problemi vanno
inquadrati. Allora, sicuramente esiste un problema di fallimento del
mercato finanziario che, come dire, a differenza di quello che si
aspettavano economisti di grande reputazione, di grande prestigio e di
grande statura internazionale, come per esempio appunto Francesco
Giavazzi, Olivier Blancard nel 2004, non convoglia, a differenza di
quello che essi pensavano, non convoglia il capitale dove è più utile,
convoglia il capitale dove gonfia le bolle, onde le persone possano
lucrare - capital gain - sull'aumento dei prezzi degli assets, che
siano assets reali come le case, siano assets finanziari come i titoli
quotati in borsa delle aziende, e alla fine lasciano il cerino in mano
a qualcuno. Questo è un problema.
MESSORA: tu citavi Francesco Giavazzi e ieri scriveva sull'editoriale
del Corriere della Sera che la soluzione di questa crisi adesso è
cessione di sovranità e Stati Uniti d'Europa.
BAGNAI: io non sono assolutamente d'accordo, e mi dispiace, con questa
visione, anche perché che sia una visione fallimentare noi lo abbiamo
già sperimentato e ne stiamo pagando le conseguenze e dovremmo
ricordarcelo tutti. La canzoncina del “più Europa” già ce l'hanno
cantata e quegli stessi che ce l'hanno cantata hanno poi fatto
pubblicamente ammenda. Ti spiego brevemente. A metà degli anni '90
l'Italia si era sganciata dal sistema monetario europeo. Io non so se
ti ricordi, vi ricordate come funzionava il sistema monetario europeo.
Era una specie di sistema di cambi fissi regionale tra i paesi europei,
in cui i paesi si impegnavano a mantenere una parità di cambio fissa
che prendeva come riferimento – non so se te lo ricordi. Tu sì, perché
l'età, anche se sei un ragazzino rispetto a me però l'età ce l'hai –
l'Ecu. Ti ricordi l'Ecu? L'Ecu era una moneta fittizia, una moneta
scritturale, cioè non è mai stato stampato un Ecu, nessuno lo ha mai
visto, che serviva come standard di riferimento. Era una media, il suo
cambio era una media dei cambi di tutte le valute che aderivano a
questi accordi di cambio fisso e i paesi si impegnavano a mantenere un
aggancio a questa... Ora cosa succede? Questo va capito. Il cambio
fisso non è fisso perché qualcuno, diciamo Mosè, scende dalla montagna
e sulle tavole della legge c'è scritto che la lira sta a 1.300
sull'Ecu. No, il cambio fisso rimane fisso perché ogni giorno sui
mercati valutari la Banca Centrale interviene per difendere la parità
che è stata stabilita. Come difende la parità che è stata stabilita? In
un modo estremamente semplice. Come in ogni mercato, anche nel mercato
dei cambi, se c'è un eccesso di offerta il cambio scende, se c'è un
eccesso di domanda il cambio sale. Quand'è che viene domandata la
valuta di un paese? Quando devi comprarne le merci. Se vuoi comprare
una Volkswagen alla fine qualcuno avrà comprato dei marchi. Dice “ma io
l'ho pagata in lire dal concessionario”, sì, d'accordo, ma poi il
concessionario dove...Insomma, alla fine qualcuno ha domandato dei
marchi e quindi, naturalmente, è un'offerta di lire, il cambio italiano
scende, una domanda di marchi e il cambio tedesco sale, si apprezza.
Perfetto. Naturalmente anche dalla Germania comprano cose in Italia,
quindi può essere che ci sia un netto pari a zero oppure può essere che
ci siano degli squilibri. E quegli squilibri come si colmano? Nel day
by day la Banca Centrale interviene colmando la differenza: se sono
state offerte troppe lire le compra lei vendendo marchi, se sono stati
offerti troppi marchi li compra lei vendendo lire, e la situazione
rimane in equilibrio. Questo però urta contro un piccolo problema, che
per combattere questa guerra ogni banca centrale ha delle munizioni che
sono limitate. Se la sua bilancia dei pagamenti tende al deficit, la
Banca Centrale deve perennemente colmare questo eccesso di offerta di
valuta nazionale acquistando la propria valuta nazionale e vendendo
valuta estera. C'è un piccolo problema: la Banca Centrale, quando può,
stampa la valuta nazionale, certo non quella estera. Quindi se c'è un
deficit strutturale, alla fine la Banca Centrale le riserve le finisce
e non può più difendere il cambio.
MESSORA: strutturale vuol dire che continua perché è dato da cause...
BAGNAI: persistente, che può essere dato da cause che possono
riguardare problemi di competitività, di produttività, problemi che non
si risolvono nel day by day ma magari in due o tre anni. Ma a finire le
riserve valutarie un paese ci mette anche una settimana, come è
successo alla lira nel '92. Capisci? Quindi magari anche nel '92, il
giorno prima della svalutazione, ci sarà stato qualche illustre collega
che si sarà affacciato dicendo “facciamo le riforme strutturali”. Sì,
amico caro, ma le riserve stanno finendo. Quindi dove si sarebbe andati
a finire era ovvio. Però fammiti dire un'altra cosa, così poi chiudiamo
il discorso, perché questo è importante. Dove volevo arrivare? La Banca
Centrale ha un altro modo per attirare valuta estera e riportare le
cose in equilibrio. E sai qual è? Alzare il tasso di interesse. Perché?
Perché così dall'estero, anche se sei un paese un pochino inaffidabile
o un pochino in crisi, c'è sempre quello che pensa che poi lascerà il
cerino in mano a un altro, che comunque porta da te i tuoi capitali e
in questo modo sostiene il tuo cambio. Mi segui? Questo è quello che
noi abbiamo fatto per tutti gli anni '80 e '90.
MESSORA: il tasso di interesse su cosa? Sul debito pubblico?
BAGNAI: tasso di interesse guida, perché la Banca d'Italia fissava un
suo tasso di interesse che nell'800 era il tasso di sconto, poi... Sì,
diciamo la struttura dei tassi di interesse si adegua seguendo i tassi
di interesse che la Banca Centrale governa, che possono essere i tassi
ai quali la banca rifinanzia il sistema bancario.
MESSORA: cos'è, quello che si chiama costo del denaro?
BAGNAI: il costo del denaro, che è un concetto ampio perché ci sono
tanti denari con tanti costi, perché quanto costa il denaro ad
un'impresa non è quanto costa a un privato o quanto costa se dieci
miliardi non è quanto costa se chiedi diecimila euro. Normalmente più
chiedi e meno ti costa, come tu ben sai. E via dicendo. Quindi tutta la
struttura dei tassi di interesse veniva adeguata al rialzo nel
tentativo di difendere il cambio. E questo non succedeva solo in
Italia, succedeva in tutti i paesi europei, che erano tutti costretti a
seguire la politica monetaria della Germania, altrimenti i loro
capitali sarebbero scappati in Germania e loro avrebbero avuto immense
difficoltà a difendere la parità fissa e avrebbero finito le riserve.
Quindi si parlava di asimmetria dello SME e di German Dominance, cioè i
tedeschi dominano. E questa cosa era palese. Nella letteratura, tu vai,
cerchi “German Dominance” su Google Scholar e trovi gli articoli che ne
parlavano, se ne parlava. German dominance dovuta al fatto che le
banche centrali dei paesi periferici erano costrette a seguire quello
che faceva la Bundesbak. E quello che faceva la Bundesbank era negli
interessi della Germania. Esempio: quando la Germania si è riunificata,
per finanziare la ristrutturazione del sistema industriale della
Germania Est, che era quello che ci possiamo immaginare, naturalmente
c'era bisogno di ingenti capitali, quindi in due anni il tasso guida
della struttura dei tassi di interesse tedesco è cresciuto di due
punti. Nel frattempo noi in Italia non è che avessimo bisogno di avere
dei tassi di interesse tanto alti, avevamo già un debito pubblico che
era cresciuto notevolmente, questo aggravio della spesa per interessi
non faceva che aggravare la situazione, avevamo già gli investimenti
bassi, quindi questo aggravio non faceva altro che mettere le imprese
in ulteriore difficoltà, e il sistema saltò per aria. Va bene,
d'accordo. Dopodiché mi ricordo che Blanchard, Modigliani e un altro
pugno di premi Nobel, scrissero sul Financial Times un articolo che si
intitolava così “il sistema monetario europeo merita una sepoltura
anticipata - cioè uccidiamolo, non va bene - Il sistema monetario
europeo, con il fatto che era dominato dalla Germania, che si faceva i
fatti suoi, ha portato sostanzialmente povertà e disoccupazione in
tutti i paesi periferici, quindi questa è una strada che va
abbandonata”. Fantastico. Allora liberi tutti? No. Perché l'economista,
in un desiderio disperato, patetico e spesso infruttuoso di guadagnare
prestigio intellettuale agli occhi delle studentesse, credo, della
prima fila o dei lettori dei quotidiani nazionali, ha questo piccolo
vizietto che anche Keynes stigmatizza con delle parole bellissime che
io continuamente cito nel mio blog, di proporre soluzioni
controintuitive, paradossali, quindi noi da un economista ci sentiremo
sempre dire che la strada è sbagliata, ma non bisogna abbandonarla,
bisogna percorrerla fino in fondo. Sono anni che ci sentiamo dire che
la strada sbagliata ci porta nel posto giusto. Riavvolgo il nastro.
Problemi perché la Germania si fa i fatti suoi e noi siamo costretti a
seguirla perché abbiamo il tasso di cambio fisso. Soluzione? La moneta
unica! Ma scusa, ma con la moneta unica il cambio è ancora più fisso?
Chi lo diceva? Franco Modigliani. E che diceva Modigliani? Certo, con
la moneta unica, è vero, il cambio è irrevocabilmente fisso, quindi
questo problema non lo risolviamo. Però sai cosa succederà? Succederà
che invece di avere una banca centrale nazionale che si fa i fatti
suoi, noi avremo una Banca Centrale Europea e nella Banca Centrale
Europea – qui bisognerebbe dire, anzi, come dire un mio collega,
“Europea”, con una voce più calda e suadente – questa sarà guidata da
un organo collegiale e quindi noi italiani avremo voce in capitolo. E
certo! L'organo collegiale, il Governing Council della Banca Centrale
Europea, ci stanno: tedeschi, lussemburghesi, olandesi, belgi,
austriaci, finlandesi, che hanno oltre alla figure di spicco, cioè il
governatore e i suoi sottoposti, ci sono anche tutti i
capi di tutte le... Quindi hanno la maggioranza. E infatti hanno fatto
una politica monetaria a loro immagine e somiglianza, come si vede, e
lo dimostra molto bene Sergio Cesaratto in uno degli ultimi lavori che
ha fatto e che ha presentato al convegno che abbiamo organizzato a
Pescara. Quindi il “più Europa Monetaria”, “facciamo questa bella
istituzione unica, perché così allora poi le logiche individuali
verranno superate da questa collegialità”, si è dimostrata una
colossale sola che è quella che ci ha portato dove siamo. Ma allora
perché il “più Europa fiscale” dovrebbe agire con regole diverse? Che
cosa fa pensare a questi Soloni - visto che parlavamo di “sola” - a
questi Soloni, a questi Licurghi, che se noi unissimo le politiche
fiscali in un organo sovranazionale europeo, ancora più sottratto dal
controllo democratico dei cittadini europei... Noi già non controlliamo
i nostri di governanti, quelli che stanno qui, a qualche chilometro da
qui, come pensiamo di poter controllare un van Rompuy che non è eletto
da nessuno, un Olli Rehn che nessuno sa da dove venga né chi sia? E
come possiamo essere sicuri che loro faranno la politica fiscale nel
nostro interesse, anche nel nostro interesse e che noi avremmo voce in
capitolo? Con la politica monetaria non è stato così. Ci hanno detto
che passando dalle banche centrali nazionali che dovevano seguire la
Bundersbank a una banca centrale europea collegiale le cose sarebbero
andate meglio, invece sono andate peggio. E questo i cittadini lo
vedono, lo sanno. Allora al cittadino che non so da quale camera mi
guarderà, facciamo finta che mi guardi da quella, vorrei dire che se
hai avuto la sensazione di prendere una colossale fregatura, questa
sensazione purtroppo è corretta e alcuni lo avevano detto. Per esempio
– modestamente lo nacqui – nel '97 scrissi una cosa per dire
esattamente quello che ti sto dicendo. Ovviamente mai presentata a un
concorso perché io sono pauroso e voglio vivere, ma il ragionamento a
un convegno al quale andai, in presenza anche di un Ministro della
prima Repubblica, ebbi opportunità di dire “ma scusate, ma vi rendete
conto di cosa state dicendo? Noi ci stiamo mettendo in mano a
un'istituzione che comunque sarà governata dalle istanze del nord. Ma è
anche giusto che il nord si faccia i fatti suoi, ma noi però dobbiamo
sapere che l'istituzione a quello punta. Allora dobbiamo essere, come
dire, difenderci noi rispetto a questa prospettiva”. E adesso ricantano
“più Europa”. Ma “più Europa” non può funzionare. E perché non può
funzionare? Perché “più Europa” o è un “più Europa monetario” o è un
“più Europa fiscale. Il “più Europa monetario” non serve a niente.
Perché? Perché il problema sono, come ho spiegato all'inizio di questa
chiacchierata, sono le divergenze nominali tra i paesi, cioè il fatto
che ci sono tassi di interesse e tassi di inflazione diversi, che
creano degli squilibri esterni e delle opportunità di arbitraggio per
chi ha i mezzi per poterne approfittare. D'accordo? Se la Banca
Centrale Europea mette più moneta, meno moneta nel sistema, questo è
semplicemente paracetamolo, come lo ha definito un commentatore, è
semplicemente un'aspirina che abbassa la febbre, ma tu la malattia ce
l'hai lo stesso, e la malattia è il fatto che le istituzioni dalle
quali dipendono produttività, inflazione e parametri fondamentali,
parametri reali dell'economia, sono ancora profondamente segmentate a
livello europeo. L'Europa ha ancora mercati del lavoro diversi, sistemi
previdenziali diversi, sistemi educativi diversi. Finché non si
integrano questi sistemi, l'integrazione monetaria non porterà ad altro
che alle catastrofi alle quali sta portando. Poi c'è il “più Europa
fiscale”. Nel “più Europa fiscale” si capisce immediatamente che è una
colossale sola, infatti viene proposta dai Soloni. Perché? Ma è molto
semplice. Se noi volessimo risolvere i nostri problemi agendo sulla
leva fiscale, potremmo già farlo adesso, a bocce ferme, senza nessuna
modifica istituzionale. Che cosa basterebbe? Basterebbe semplicemente
che i paesi europei, nell'ambito ognuno della propria sovranità, delle
proprie leggi di bilancio, delle proprie decisioni, decidessero di
coordinare le loro politiche economiche. In che modo? Molto semplice.
Sai qual è il secondo paese che cresce di meno in Europa dopo l'Italia?
La Germania. Ma come? È quello che esporta di più, questa oasi di
prosperità? Sì, d'accordo, ma non cresce. Perché non cresce? È molto
semplice. Perché attua una politica di repressione della domanda
interna. Il contributo dei consumi privati al tasso di crescita tedesco
è inferiore a quello che gli stessi consumi privati hanno al tasso di
crescita della Cina. Cioè i cinesi sono più spendaccioni dei tedeschi.
Questo è il famoso modello di sviluppo di cui ti parlavo in presenza di
una birra e di un panino, tutto centrato sulla domanda estera.
MESSORA: mercantile.
BAGNAI: mercantilista, certo. Dovrebbero in qualche modo... La cosa
paradossale è che noi chiediamo ai cinesi, che pesavano, quando glielo
chiedevamo, per un 3% del nostro commercio, di fare una cosa che
dovrebbero fare i tedeschi, che pesano per un 20% del nostro commercio,
cioè riequilibrare il loro modello di sviluppo basandosi sui consumi e
sulla domanda interna, anziché sulla domanda nostra estera. Se loro lo
facessero, cioè se ci fosse una maggiore espansione dei salari reali in
Germania e quindi una maggiore espansione dei consumi, le cose
andrebbero automaticamente a posto, perché naturalmente i tedeschi
comprerebbero più beni da noi, noi vedremmo aumentare i nostri redditi,
gli squilibri esterni fisiologicamente si attenuerebbero. Anche questa
non è la pallottola d'argento, non dico che risolverebbe tutto, ma
sarebbe una cosa che avrebbe un senso e che sarebbe conforme ai
Trattati. Questa cosa anche va detta. Nel Trattato di Maastricht non
c'è scritto che ci dobbiamo menare mazzate sui denti l'uno con l'altro,
c'è scritto che le politiche economiche devono essere ispirate al
principio del coordinamento. Il principio del coordinamento significa
che se tu orienti la tua politica nel senso di fare una cosa che
danneggerà il tuo vicino, non ti stai coordinando. Quindi, purtroppo,
la leadership tedesca è una violatrice seriale dei trattati europei, ma
purtroppo per la cecità o connivenza delle leadership, degli elettorati
degli altri paesi, lo può fare e può anche ostentare una moral majority
che le consente di venire da noi a dire quello che dobbiamo fare.
MESSORA: è un comportamento, che tu stesso hai ricordato recentemente, si chiama beggar neighbor?
BAGNAI: sì. È un tipo di politica. Diciamo che di fatto la Germania, ma non lo dico io, lo dicono...
MESSORA: lo vogliamo spiegare cosa significa?
BAGNAI:
sì, significa che sono politiche che impoveriscono il vicino. Il tuo
vicino da neighbor diventa un beggar, un mendicante. Perché? Perché
sostanzialmente una politica di sviluppo che si basi su promuovere
esclusivamente le esportazioni, significa che qualcun altro dovrà
essere importatore e che quindi tanti redditi e tanti surplus fai te e
tanti redditi sottrai e tanti deficit fa l'altro. Ora cerchiamo di
capirci anche qui. Io non è che sto propugnando l'autarchia. Il
problema è che quello che dicevano Blanchard e Giavazzi sarebbe anche
andato bene. Cioè all'inizio il processo per cui la Germania esportava
merci e quindi capitali o, se vuoi, capitali e quindi merci verso i
paesi più arretrati, ha potuto anche avere un significato positivo,
quello che ha sui libri di testo. Ma questo processo è completamente
sfuggito a qualsiasi controllo politico e a qualsiasi, come dire,
istanza regolatrice che gli impedisse di diventare esplosivo. Questo è
il concetto. Cioè, io non sono, ripeto, per l'autarchia. Ti vedo
sorridere.
MESSORA: sorrido perché ho fatto un contributo multimediale
recentemente a Nino Galloni, che fu chiamato proprio Ministro nel
Governo Andreotti a capo del Tesoro e lui raccontava proprio di questo
passaggio verso la fine degli anni '80, in cui si decise la
riunificazione della Germania, e la Francia chiese in cambio al Kohl
una moneta unica e a noi invece fu chiesto, perché non avevamo le carte
in regola per entrare, i tedeschi lo sapevano e consegnarono fior di
rapporti a Kohl, il quale li ignorava perché comunque aveva preteso
dalla nostra politica un processo di deindustrializzazione nazionale.
Questo è quello che racconta Nino Galloni. Allora dico, se queste sono
le premesse...
BAGNAI: ma questo è quello che è anche successo, a grandi linee.
MESSORA: allora è difficile pensare che poi la politica possa fungere
da regolamentatore se poi in realtà agisce secondo degli schemi che a
me sfuggono, francamente.
BAGNAI: bravo, mi piace questo taglio estremamente diplomatico. Diciamo
che la politica agisce secondo schemi che ci sfuggono. Tanto io la mia
carriera già l'ho distrutta e tu la tua invece la stai costruendo,
quindi va bene così. Scherzi a parte, quello è uno snodo molto
importante. Ma vorrei farti riflettere, riassumendo il mio ruolo di
economista ortodosso, sulla famosa frase “le carte in regola”. Quali
carte deve avere un paese per essere in regola onde essere ammesso ad
una unione monetaria? Noi abbiamo vissuto negli anni '90 con il mito
della convergenza. Ti ricordi cos'era la convergenza? La convergenza
era questa cosa secondo la quale quattro parametri della nostra
economia dovevano avvicinarsi a dei valori di riferimento. Te li
ricordo rapidamente. Il debito pubblico doveva rientrare sotto il 60%
del prodotto interno lordo, il deficit, cioè l'indebitamento pubblico,
cioè quanto nuovo debito si fa ogni anno, doveva rientrare sotto il
valore del 3% del prodotto interno lordo, poi altre due cose che
abbiamo dimenticato, che sono che il tasso di inflazione doveva non
allontanarsi più di un punto e mezzo dalla media dei due o tre – non mi
ricordo – paesi best performing, dove best performing significa
ovviamente con inflazione più bassa, perché c'è l'approccio ideologico,
quello del generale Sheridan, quello che diceva che l'unico indiano
buono è quello morto, e per questi fessi di Bruxelles l'unica
inflazione buona è quella morta, quella zero, che in realtà fa
sfracelli come abbiamo visto quando siamo entrati in deflazione. E
anche i tassi di interesse nominali dovevano avere un criterio analogo
a quello dell'inflazione, convergere e non distare di più di un punto e
mezzo. La cosa divertente è che se tu... Dunque, la teoria delle aree
valutarie ottimali nasce nel 1961, quindi ha un anno più di me. Non è
che la gente non si fosse mai posta il problema prima, se lo era posto
prima, però diciamo l'articolo fondante, che dà proprio un nome alla
teoria, è quello di Mundell del 1961 su American Economy Review, ci ha
anche preso il Nobel. Quando è stato quindi formulato il Trattato di
Maastricht questa teoria esisteva da quasi trent'anni. Trent'anni nel
corso dei quali – ed è così, perché noi abbiamo le basi di dati
bibliografiche che ci dicono tutto quello che è stato scritto
sull'argomento – trent'anni nel corso dei quali la parola “convergenza”
non è mai stata pronunciata. Cioè, che le carte in regola per entrare
in unione monetaria fossero avere il debito che sta al 60% del PIL,
questo nessun economista lo ha mai detto. E perché? Ma perché è una
colossale, tragicamente sesquipedale idiozia. Ma perché? Per un motivo
molto semplice. Io adesso so che avendo fatto la scuola di vela, so che
ci sono persone che possono farla per tre anni e non capire cosa è
sopravvento e cosa è sottovento, quindi non so se la vela può essere
una metafora adeguata, però supponiamo che tu vada appunto in una barca
a vela. Allora, è un sistema estremamente flessibile, tu puoi agire su
tanti parametri, il timone, la scotta, l'asci o cazzi, a seconda che tu
voglia più o meno pressione sulla vela. Fondamentalmente il concetto è:
supponiamo che la scotta sia la politica monetaria, tu strozzi la
scotta, a quel punto se viene una botta di vento non puoi lasciare la
vela, quindi ti rovesci, però puoi agire in qualche modo con il timone.
Se orzi, tranquillamente rimetti la situazione in equilibrio. Nessun
economista ti direbbe mai che una volta che hai strozzato la scotta
devi anche inchiodare il timore. Cioè nessun economista ti direbbe mai
che una volta che hai rigidità in termini di politica monetaria, devi
anche averla in termini di politica fiscale. Insomma, se tu hai in mano
un bicchiere di vetro e una palla di gomma e apri le due mani, quale
oggetto si romperà? La palla di gomma è molto difficile, è più facile
che si rompa il bicchiere di vetro. Perché? Perché è più rigido. Un
sistema rigido va in pezzi quando c'è uno shock. Allora nessun
economista ha mai, prima del Trattato di Maastricht, auspicato che la
politica fiscale venisse ingessata in
parametri per rientrare in un unione monetaria che è una istituzione
che ingessa la politica monetaria, per definizione. Il dibattito sulla
convergenza però c'è stato dopo. Quando? Quando i politici hanno
scritto questo trattato, che non aveva nessun fondamento nella teoria
economica delle aree valutarie ottimali, come si era andata
sviluppando, e negli anni '90 abbiamo assistito a questo dibattito sul
fatto delle carte in regola, “abbiamo o no le carte in regola?”, “che
senso o che non senso ha questo tipo di parametri?”. Ovviamente gli
economisti dicevano “sono totalmente insensati. Cosa state facendo?
Tiratevi via, è una trappola” e lo dicevano. Nel mio blog c'è un post
che è tra i più letti che si chiama “Euro, una catastrofe annunciata”,
dove fior di premi Nobel si vede cosa dicevano negli anni '90, non
adesso, prima. Gente come Krugman, come De Graeve, come Martin
Feldstein, cioè persone che sono stati capi di dipartimento non
all'Università di Pescorocchiano, all'Università di Harvard, la prima
università nel campo delle scienze economiche al mondo, dicevano
chiaramente “guardate che questi parametri sono insensati”. Willem
Buiter, Giancarlo Corsetti, Nouriel Roubini, hanno scritto un
bellissimo articolo nel '93 per dire che il Trattato di Maastricht era
un nonsense. La politica ha dato uno schiaffo in faccia all'economia e
gli economisti hanno reagito in due modi: alcuni si sono seduti lungo
il bordo del fiume e adesso un pochino dentro di sé godono, anche se
sono molto preoccupati; altri hanno cercato di salvare l'onore della
professione e hanno cercato di argomentare che sì, gli economisti
avevano detto una cosa, i politici avevano fatto quella sbagliata, ma
in realtà facendo quella sbagliata avevano fatto quella giusta – ancora
una volta il paradosso, il prestigio intellettuale – perché? Perché
questa decisione sbagliata avrebbe creato da sé le condizioni per la
propria sostenibilità. E come? In almeno due modi. Un modo ci rinvia
sempre a “meglio quattro anni a San Vittore che un anno alla Bocconi”,
come dice Oliviero Toscani, alcuni economisti espressione di
quell'università ebbero a dire che entrando in un'unione monetaria i
governi periferici avrebbero acquisito credibilità. È una cosa
bellissima. Io quando vado al mercato cerco qualcuno che ma la venda ma
non lo trovo. Questo è un altro piccolo problema. La credibilità è una
merce. C'è una caratteristica che poi ti dico. Credibilità che gli
avrebbe permesso di fare politiche deflazionistiche e quindi di
allinearsi alle economie più forti e tutto sarebbe andato bene, il lupo
avrebbe dormito con l'agnello, ma l'agnello avrebbe avuto, come è noto,
gli incubi che stiamo avendo, tranne uno che ha avuto il sogno, non so
se ti ricordi, al Parlamento, il bigliettino famoso. E questa era la
prima teoria, cioè entrate in trappola e tutto andrà bene. L'altra
teoria era “sì, però vedrai che si svilupperà talmente tanto il
commercio che in pratica si realizzerà una specie di coordinamento
automatico. Perché? Perché aumentando l'interscambio commerciale per
via della moneta unica...” Idea sottostante: chi opera sui mercati
internazionali non sa le tabelline e quindi, una volta che tu gli metti
la moneta unica, il commercio esplode perché finalmente non devono più
fare le moltiplicazioni. Credo che non sia così. Infatti non c'è stato
lo sviluppo del commercio internazionale intraeuropeo che ci si
aspettava, però se ci fosse stato tutto sarebbe andato bene, perché,
metti, la Germania va in espansione. Che figata! Allora siccome il
commercio è tanto sviluppato, importa molto di più da noi e quindi
anche noi andiamo in espansione. Cioè siamo tutti in espansione insieme
o tutti in recessione insieme. Che può sembrare una cosa brutta ma non
lo è. Perché? Perché se si è tutti in espansione o tutti in recessione
insieme, allora la politica monetaria può essere una sola. Il fatto di
avere un'unica banca centrale non crea problemi, se è in espansione
alzo un po' il tasso per raffreddare l'economia, se è in recessione
abbasso un po' il tasso, come dire, per riscaldare l'economia, e quindi
la BCE funziona da termostato di questo bel sistema dove tutti si
vogliono bene. Nulla di tutto questo è successo. L'entrata nell'Unione
monetaria ha amplificato le divergenze nominali, e questo lo dice uno
studio della BCE del 2006, ma è quello che dice il modello di Taylor,
di Frankel, di cui parlavamo all'inizio. Grandi afflussi di capitale e
nella periferia l'inflazione esplode. Ed è quello che è successo. Non
c'è stata alcuna esplosione del commercio del 2-300%, come diceva
Andrew Rose in un articolo molto divertente da leggere ma totalmente
sconclusionato sotto il profilo metodologico, c'è stato un aumento
dell'8-9% del commercio che non ha sincronizzato le nostre economie e
per di più il commercio è diventato tutto squilibrato a vantaggio della
Germania, che è stata una locomotiva che in realtà ha tirato dalla
parte sbagliata; invece di essere la locomotiva è stata il rimorchio
dell'Europa. Quindi tutta questa grande capacità di leadership si è
tradotta nello slogan con il quale si vogliono vendere i gratta e
vinci: “ti piace vincere facile”. Perché la Germania prende sonore
legnate sui mercati emergenti, come quelle che prendiamo noi. Dov'è che
realizza un surplus commerciale? Col sud Europa. Ce lo vogliamo dire?
Ecco. Allora questo è un po' il percorso. Eravamo partiti dall'avere le
carte in regola. Ci siamo basati su un cruscotto di indicatori
totalmente sbagliato. Quando si va a vedere la vera letteratura
scientifica e si guarda quali sono gli indicatori che avvertono
dell'imminenza di una crisi finanziaria, questi ancora... Nouriel
Roubini. Vi fidate di Nouriel Roubini? Pensate che sia comunista?
Pensate che sia complottista? Pensate che sia eterodosso? Non c'è nulla
di più ortodosso di Nouriel Roubini che è una persona che ha fatto dei
lavori eccellenti. In un suo lavoro con un altro economista italiano,
Paolo Manasse, nel 2005 e prima nel 2003 – adesso cito a memoria –
pubblicato nei Working Paper del Fondo Monetario Internazionale,
ripeto, non del Circolo Leoncavallo, del Fondo Monetario
Internazionale, fa vedere chiaramente che la variabile più
significativa per prevedere il verificarsi di una crisi finanziaria di
debito pubblico, peraltro, è il debito estero, il rapporto debito
estero-PIL, non il rapporto debito pubblico-PIL. E perché? Ma perché,
questo Roubini non lo dice, Manasse non lo dice, perché loro fanno un
lavoro empirico e vanno alla ricerca di indicatori, lo dice molto bene
il modello di Frankel, il ciclo che ti ho spiegato prima. Perché il
debito pubblico esplode a valle di che cosa? Di un afflusso di capitali
esteri, e quindi di un indebitamento estero, che si rivolge al debito
privato. Quindi prima della crisi, in realtà, il debito pubblico non è
grande, lo diventa durante la crisi, tutto d'un colpo, quando lo Stato
salva le istituzioni finanziarie private. Allora ciò a cui bisognerebbe
guardare, se si volesse fare questa bella Europa che mette i conti a
posto, eccetera, non è da guardare il debito pubblico, è da guardare il
debito estero. Ma perché non si guarda il debito estero e si guarda il
debito pubblico? Semplice! Perché se tu guardi il debito pubblico dici
“Stato brutto, riduciamo il peso dello Stato”. Se tu guardi il debito
estero dici “purtroppo mercato brutto, riduciamo i movimenti
internazionali dei capitali”. E qui non si scappa, cari colleghi
ortodossi, alla fine di questa storia, se non vogliamo ritrovarci... in
primo luogo se vogliamo uscire e poi se non vogliamo ritrovarci tra 6-7
anni di nuovo in questa situazione, bisogna mettere dei controlli sui
movimenti internazionali dei capitali. E questo non lo dice Bagnai al
quale non interessa quello che dice lui stesso e quindi non pretende
che interessi gli altri, lo dice quel pericoloso covo di comunisti, di
anarchici, di insurrezionalisti che è il Fondo Monetario
Internazionale. Va bene che il direttore precedente, un mese dopo
averlo detto, si è trovato una cameriera nella stanza, ma adesso non
voglio fare il complottista.
MESSORA: adesso c'è Cristine Lagarde che dice che l'euro ha tre mesi di vita.
BAGNAI: sì. Non so se le faranno trovare un cameriere nella stanza
anche a lei. È una signora molto elegante e non credo che sia quella la
strada che possano scegliere per metterla in difficoltà, viceversa di
Dominique Strauss-Kahn si sapeva che era una persona di appetiti feroci
e insaziabili. Beato lui! Però fatti suoi.
MESSORA: ha la sua età.
BAGNAI: ha la sua età. Questo ci lascia prevedere che la nostra
vecchiaia sarà interessante. Ma non parliamo di questo. Il problema
fondamentale è che è riconosciuto ormai ovunque che è necessario porre
un freno che deve essere un freno che deriva dall'azione pubblica ad un
certo tipo di dinamiche.
MESSORA: fammi ricapitolare alla videoblogger.
BAGNAI: ricapitola.
MESSORA: se tu dici che il mercato è brutto perché il debito estero è
quello da tenere sotto controllo, ovviamente devi ridurre un segmento
dove guadagnano i grossi capitalisti, i grossi finanzieri
internazionali. Se tu dici che lo Stato è brutto, cosa fai? Riduci lo
Stato. Cosa vuol dire? Liberalizzazioni, quindi svendite, quindi ancora
una volta guadagni della grossa finanza internazionale.
BAGNAI: è naturale.
MESSORA: quindi alla fine stiamo consegnando le soluzioni e chiedendo di attuare queste soluzioni al lupo, non all'agnello.
BAGNAI: questo è abbastanza palese. Tutto quello che possiamo fare io e
te e tanti altri è contribuire a diffondere nel pubblico una
consapevolezza di questi processi. Peraltro io non dico che il mercato
è brutto, sono loro che dicono che lo Stato è brutto. Io dico che il
mercato è un'istituzione che ci ha fatto fare enormi progressi, ma che
come tutte le cose umane può arrivare fino ad un certo punto e oltre
rischia di provocare degli sfracelli. Questo vale. Insomma, è un
concetto che in Europa è vecchio quanto il mondo, è il concetto di
Hybris. È stato molto istruttivo a questo proposito il seminario di un
mio amico brasiliano, che ho conosciuto perché lo avevo invitato a un
convegno sulla Cina, siccome lui lavora anche in Cina, è tornato a
Pescara a fare un bellissimo convegno in cui ha illustrato il ruolo
della Hybris nei fallimenti delle imprese che operavano sui mercati
internazionali, ma non specificamente nel settore finanziario, dove la
Hybris veniva quantificata, perché lui diciamo è un economista di
quelli che usano i numeri e non le chiacchiere, una razza che forse in
Italia non è molto nota ma nel resto del mondo è predominante. Lui per
quantificare la Hybris andava a verificare parametri come il livello di
istruzione del management, il livello dei bonus che il management
erogava a se stesso e tutta una serie di altri parametri che davano un
senso dell'arroganza. Effettivamente la Hybris ti mette nei guai, non
solo nelle tragedie greche, ci sono anche tante tragedie brasiliane,
messicane, cinesi, europee, di aziende che sono andate per stracci
perché sono state prese in mano da un management accecato da un delirio
di onnipotenza, che è un po' quello che temo succederà al nostro
sistema europeo.
MESSORA: parallelamente a questa azione dei mercati finanziari che ci
hai illustrato fino adesso, c'è anche un'altra azione, a mio avviso,
che è quella delle élite che cercano di costruire un'Europa unita anche
dal punto di vista politico, che notoriamente è un processo elitario,
nel senso che i popoli o non sono stati mai consultati o in quei rari
casi in cui sono stati consultati, hanno espresso un parere contrario,
vedi Francia, vedi Irlanda...
BAGNAI: Danimarca.
MESSORA: oppure, come dice Negel Farage, i referendum in Europa si
fanno fino a quando non rispondi di sì, perché prevedono due risposte:
“sì” e “sì, per favore”. Questo processo di integrazione europea voluto
da pochi, da un ristretto numero di persone che decidono che è una cosa
buona e giusta, in realtà ha bisogno della crisi, perché è notorio e lo
dicono anche. Quindi è ragionevole presupporre che tutto sommato faccia
comodo mantenere questo stato di crisi per riuscire a perseguire questo
progetto. Se fossimo ancora nell'800, con gli eserciti che si muovono,
avremmo due grandi colonne che si muovono e cercano di accerchiarsi.
BAGNAI: che bello. Io sarei sul campo di battaglia di Austerlitz con la
bandiera, non so quale, penso quella russa, date le mie preferenze.
MESSORA: io forse sarei come Braveheart sul cavallo e la faccia tutta blu.
BAGNAI: bravo, sì.
MESSORA: questa è la nuova versione digitale. Adesso senza volersi paragonare. Quali sono delle possibili vie di uscita?
BAGNAI: allora, intanto mi permetti di raccontarti un aneddoto, se
abbiamo sufficiente tempo? Io due anni fa mi dovetti ristudiare molto
bene la teoria delle aree valutarie ottimali. Perché? Perché mi era
stato chiesto da un'agenzia della Nazioni Unite, la Commissione
Economica per l'Africa, di tenere dei seminari a dei funzionari
governativi, quindi di banche centrali e ministeri del tesoro, della
zona del franco CFA. CFA significava una volta Colonie Francesi di
Africa e adesso significa Comunità Finanziaria Africana. Cioè è
cambiata l'etichetta ma dentro la bottiglia il vino è sempre quello,
insomma, notoriamente. Io andai, feci le mie lezioni, eravamo in due,
io e un altro collega, e questo collega un giorno gli disse “sì,
vedete, voi avete dei problemi, ma il problema non è perché voi avete
una moneta di fatto unica e agganciata all'euro”. Quello di fatto è un
pezzo di zona euro del quale nessuno parla, perché è funzionale agli
interessi della Francia che ha lì i suoi pozzi di petrolio poi, di
fatto. Non allarghiamo il discorso, ne ho parlato nel blog. La cosa
divertente è che questo gli fece tutto il discorso “il problema non è
la moneta, il problema sono le istituzioni”, il discorsetto standard,
“il problema sono le istituzioni. Voi non siete democratici, voi avete
la corruzione”, non aveva una pronuncia romana il collega, ma a me
corruzione ormai viene solo da dirla con una “r” e quattro “z”,
perdonatemi. Ad un certo punto si alza un bel ragazzo molto scuro in
volto, ma non perché fosse... sì, scuro in volto in due sensi: perché
era di colore... della Sierra Leone. Vi faccio presente il contesto,
quel posto dove a sei anni ti dicono “questo è un kalashnikov, si
carica così, pigliati questa pasticca. Là c'è il fiume, dall'altra
parte sono nemici. Ammazzali e torna, se ce la fai”. Quindi un posto
con questo tasso di democrazia. E lui si alzò e disse “mi scusi,
illustre relatore”, che non ero io, e io lì ho cominciato a godere, è
stato uno dei più grandi orgasmi economici professionali che ho avuto
in vita mia, perché questo ha detto “mi perdoni, gentile professore che
vieni da un paese del nord per raccontarci a noi quello che dobbiamo
fare, dopo che di fatto ce lo state impedendo perché è dalla notte dei
tempi che ci colonizzate. Voi parlate tanto di democrazia, ma a me
risulta che voi la vostra moneta unica o non l'avete sottoposta al
giudizio dei cittadini o li avete fatti votare fino a che non vi hanno
detto di sì”. E lì ho capito qual era lo scopo della moneta unica. Lo
scopo della moneta unica era permettere a me, che sono nato a Firenze,
vivo a Roma, sono un europeo, parlo quattro lingue europee, amo il
mondo, amo la gente, amo l'Europa, di andare in un paese dell'Africa
subsahariana e prendere e prendere uno schiaffo in faccia, una lezione
di democrazia di questa portata da uno che, appunto, magari da giovane
avrà civilmente discusso con un kalashnikov col suo vicino di casa.
Attenzione, qui non c'è nessun disprezzo verso... Perché poi, sai,
quando uno viene messo... Io ho lavorato molto con loro e capisco e
rispetto e sono profondamente accorato per i problemi che loro hanno e
che noi non possiamo risolvere perché ce ne stiamo creando di peggiori
a casa nostra. Perché il nostro dovere sarebbe aiutare quelle
popolazioni lì anziché...
MESSORA: no, ma purtroppo quando poi l'occidente interviene, peggiora
le cose. Arriva il Fondo Monetario Internazionale, arrivano i prestiti,
arrivano gli investimenti, le case farmaceutiche. Cioè noi forse se li
lasciassimo da soli magari...
BAGNAI: è vero. E' vero. Ritiro quello che ho detto. Hai ragione.
Vedi
che in questo periodo gli economisti dicono tendenzialmente cose
insensate, bisogna rivolgersi ai blogger per avere delle...
MESSORA: no, per carità.
BAGNAI: però torniamo indietro. Allora, l'unione politica certo che è
un processo che è fortemente elitario. È un processo che viene
presentato come se fosse una soluzione ovvia e quindi doppiamente
indiscutibile, perché ovvia e perché necessaria, e non è né l'uno né
l'altro. Intanto ragioniamo sul discorso che ci viene fatto. Il
discorso che ci viene fatto è: noi abbiamo fatto l'unione monetaria
sapendo che vi avrebbe messo in crisi, che ci sarebbe stata una crisi,
solo perché però sapevamo che spinti da questa crisi avreste voluto
fare la cosa giusta che era più Europa. Questo è il discorso che un
collega mi fece due anni fa ed è quello dal quale è partita la mia
attività di divulgazione. Perché io mi sono detto: ma questo è
fascismo, questo è un paternalismo, posto tra l'altro a difesa di una
scelta che è chiaramente classista. Perché l'euro ha aumentato la
disuguaglianza dei redditi, lo dice la Banca d'Italia, l'euro ha
depresso i salari reali dell'Italia, lo dicono le tasche di ognuno di
quelli che ci sta vedendo in questo momento, quindi è una scelta di
classe contro i salariati, con la scusa che però... Ma scusate, allora
se tu dici... No, scusate, questo non esiste da nessuna parte. Loro ti
dicono “no, tu manchi di visione, perché l'Europa...” Allora,
ragioniamo sul “manchi di visione” e poi ragioniamo sul fatto che
l'Unione Europea ci rende più competitivi. Intanto la sterile, arida,
limitata tecnica economica propone un percorso che non mi sembra così
meschino e così privo di visione. Quello che dice la teoria delle aree
valutarie ottimali è che prima si integrano i sistemi educativi, i
mercati del lavoro, i sistemi previdenziali. Ma se io me ne vado in
Francia, dove prima o poi dovrò andare, dopo che mi sono distrutto la
carriera, io non so cosa succede alla mia pensione, per esempio. Cioè,
che ne so se... Non ci voglio neanche pensare. Voglio pensare che vivrò
in eterno e che non avrò mai bisogno di curarmi da vecchio. D'accordo?
Perché se no sei morto. Va bene, lasciamo perdere questo. Allora, tutto
questo non esiste. Ma di base poi c'è anche un altro problema, se vuoi,
che è ancora più radicale: la moneta unica è utile solo se è dannosa. E
questo la gente non lo capisce ma è così. Questo è il vero paradosso.
Perché? Te lo dico subito perché. Perché, vedi, immaginiamo che la
famosa convergenza, comunque definita, ci fosse stata. Noi perché
facciamo la moneta unica? Molto semplice. Per venire incontro
all'elettore mediano che non sa fare le moltiplicazioni. Si chiamano
costi di transazione. Cioè: che bello, vado in Francia e capisco subito
e un caffè costa quanto in Italia. Il risultato è stato che adesso in
Italia un caffè costa quanto in Francia, peraltro. Ottimo risultato. Il
risultato è stato che il turista mentalmente svantaggiato non deve più
fare la moltiplicazione per il numero di franchi corrispondenti a una
lira o viceversa. Ho capito, caro turista mentalmente svantaggiato. Noi
siamo tutti vicini a te e tu sicuramente hai votato per questa bella
cosa che ti ha reso più facile viaggiare. Però, attenzione, il
vantaggio per l'economia europea nel complesso di questo risparmio di
costi di transazione, mettendoci quelli del turismo e quelli del
commercio, che ovviamente sono più rilevanti, era stato quantificato
allo 0,8% del PIL da uno studio della Commissione Europea, cioè da uno
studio che era in conflitto di interessi, da uno studio che aveva tutto
l'interesse di gonfiare i vantaggi. Tant'è vero che Barry Eichengreen
si metteva le mani nei capelli. Nel Journal of Economic Literature
diceva “ragazzi, ma di che stiamo a parlare? Ma voi vi mettete in un
casino simile per guadagnare lo 0,8% del PIL?”. E vedi quanto ne
abbiamo perso poi di PIL. Allora, vedi, questi sono i costi di
transazione. Ma i costi di transazione da cosa derivano? Dalle
oscillazioni del cambio. Certo, perfetto. Allora se i paesi sono
allineati, il cambio non oscilla e quindi non ci sono grossi costi di
transazione. Quand'è che il risparmio di costi di transazione diventa
importante? Quando i paesi hanno economie o talmente diverse
o talmente divergenti che il cambio oscilla molto e se ne va proprio
per i fatti suoi. Ma in quella circostanza, precisamente, rinunciare
all'elemento di flessibilità del cambio è dannoso. Capisci? Cioè i
costi di transazione e quindi il beneficio che ottieni passando alla
moneta unica, sono importanti nel momento in cui il danno che la moneta
unica fa, togliendo di flessibilità, è importante. La moneta unica è
utile solo se è dannosa. Capito il concetto? È un paradosso, questo è
un vero paradosso, non come quello dei colleghi che vogliono farsi
belli con le studentesse della prima fila e pronunciano delle frasi
vuote di senso, artatamente paradossali: “la strada sbagliata ci porta
nel posto giusto”, “siamo austeri”. Questo è il problema. Allora,
questa è la visione. La visione è: non facciamo le cose come vanno
fatte, facciamole al contrario. La retorica: il pennello Cinghiale,
“per dipingere una grande parete, ci vuole un pennello grande”. Allora
io a questi Soloni che ci stanno appoggiando questa ennesima sola,
vorrei chiedere di spiegarmi come mai il grande successo economico del
XVI secolo è stato il Portogallo e come mai il grande successo
economico del XVII è stata l'Olanda. Io un'idea ce l'avrei, perché in
Olanda si insegnava musica pubblicamente nelle scuole, quindi secondo
me quello era un segno di grande civiltà. In realtà cosa ci dice
questo? Che la scala di un paese – quindi mettiamoci insieme perché
siamo grandi, la Cina è grande, gli Stati Uniti sono grandi – ha
un'importanza relativa per quel che attiene il successo economico di un
paese. Non solo, ma rimane il solito discorso che se si volesse
cooperare su progetti per i quali forse le economie di scala possono
avere un significato, progetti di grande ricerca, non so. Certo, un
acceleratore di particelle il Portogallo non se lo può costruire. Noi
già stiamo cooperando a livello europeo su progetti di ricerca. E come
lo facciamo? Con tanti bei trattati finalizzati che possono costituire
un sistema flessibile di cooperazione, come ha affermato tanto bene
Bruno Frey, docente all'Università di San Gallo e ho anche ripreso e
tradotto il suo articolo da Voxeu.org nel mio blog. Non c'è
nessunissimo motivo di imporre la cappa di piombo di un'unità di
qualsiasi tipo, che poi significa solo anschluss, annessione, questa
unità. Diciamocelo. Non c'è nessun bisogno. Si può cooperare a livello
economico, a livello di politiche di ricerca, a livello di politiche di
sviluppo, mantenendo le proprie specificità, con un insieme di trattati
flessibili. Peraltro Frey fa un discorso molto molto intelligente.
Pensa il caso della Turchia. Ce la vogliamo? Non ce la vogliamo? Adesso
la Turchia è fuori. Io non sono del tutto convinto che tirarsela dentro
sarebbe un bene, perché ha debiti fin sopra agli occhi. Ma lasciamo
perdere questo. Qualcuno dice “sì, però è importante dal punto di vista
geopolitico”. Bene o male non mi interessa. Ma adesso noi la Turchia
non possiamo integrarla. Perché? Perché non hanno i diritti umani o
perché non sono... Diciamo che questo approccio totalitarista, per cui
o si è totalmente e integralmente lì, stessa moneta, stessa... o si è
fuori, non funziona. Se avessimo un approccio flessibile potremmo fare
un trattato economico con la Turchia, quindi integrarla in un pezzo di
costruzione europea ma non negli altri e aspettare che spontaneamente,
diciamo... Torno anche all'episodio precedente di cui parlavi. Loro
sapevamo che noi non avevamo le carte in regola? Ma certo, è ovvio. Ma
questa è la prova provata del fatto che loro avevano bisogno di un
mercato di sbocco. Kohl sapeva che aveva bisogno di un mercato di
sbocco, secondo me. Che poi questo sia un complotto, alla fine, quando
siamo arrivati alla fine degli anni '90, insomma, noi avevamo ancora un
debito che era sopra il 100% del PIL, ma pure il Belgio ce l'aveva. Gli
unici poveracci – a me stanno simpaticissimi e gli voglio molto bene e
sono stato molto bene a casa loro, quindi non se la prendano – gli
unici fessi che ci hanno creduto nei parametri di Maastricht sono stati
gli Irlandesi. Sono gli unici che sono riusciti a riportare con grandi
sacrifici il loro debito sotto... Ma gli altri paesi periferici stavano
ognuno per i fatti loro e sono stati fatti entrare. Perché? Perché se
sei cattivo ti ammettono nel club? Ma perché ti vogliono sfruttare! E
noi sulla base di queste premesse e di questo percorso storico adesso
crediamo che l'unione politica risolverebbe i nostri problemi? Ma
stiamo scherzando? È evidente che in questo momento si combatte una
battaglia con la forza della disperazione da parte di quelli che sono
attualmente i probabili vincitori, ma che capiscono che la gente sta
capendo. Quindi si alza la posta sempre di più: unione fiscale, unione
politica, con slogan retorici totalmente privi di qualsiasi significato
economico, totalmente privi di qualsiasi sostenibilità politica.
Intendiamoci, il rischio è enorme, perché se si facesse un'unione
politica tipo Stati Uniti d'Europa, allora dobbiamo accedere alla
realtà dei fatti che gli Stati Uniti stanno insieme perché se c'è uno
shock in uno Stato il bilancio federale ha le risorse per, e poi riesce
a compensare questo shock, in misura pari a circa un terzo. Cioè ogni
dollaro di reddito che perde il cittadino della Lousiana – tanto per
fare l'esempio che faceva Rampini, se non vado errato, ieri o ieri
l'altro sul suo organo di informazione, chiamiamolo così – ogni dollaro
che quello perde viene compensato o con minori tasse o con maggiori
sussidi da 30 centesimi che il bilancio federale gli eroga. Facciamo
questa cosa in Europa.
MESSORA: una sorta di trasferimenti?
BAGNAI: certo, la famosa unione di trasferimento implicita, che è
quella che la Germania esattamente non vuole. Allora noi stiamo
pensando che... però questa è l'unica cosa che può tenere insieme
un'unione monetaria, dove si creano degli squilibri di competitività e
compensare con domanda pubblica, e quindi con trasferimenti fiscali, il
calo della domanda estera da uno Stato all'altro. D'accordo? Questo la
Germania non lo vuole. Non lo vuole. Perché è ovvio, una classe
politica che ha fatto la propria fortuna nel dire ai propri elettori
“quanto siete bravi, quanto siete belli. Se ci sono problemi la colpa è
di quelli lì perché sono pigri” e tu ti aspetti che adesso,
improvvisamente cambi accento e dice “beh, effettivamente però per
tirar su la baracca dobbiamo cooperare”? Infatti la cosa come viene
posta? Viene posta in questo modo: prima fate i famosi compiti a casa,
cioè la famosa austerità, e poi forse noi in cambio vi daremo un po' di
trasferimenti, vi faremo stare un pochino meglio, che se vuoi è il
famoso sonetto del Belli “dammela e poi ti sposo” o se vuoi un
riferimento letterario un pochino più aulico è Guido da Montefeltro
“lunga promessa con l'attender corto ti farà triunfar ne l'alto seggio”
o, se vuoi un riferimento scientifico, si chiama time consistency
(coerenza temporale), cioè si fa una promessa e poi non la si mantiene.
È chiaro il concetto? Noi ci stiamo mettendo in una trappola. Siamo già
nella tonnara, la soluzione non è andarsene, è andare nella camera
della morte. Questo ci stanno dicendo i Soloni, ma siccome lo dicono i
soloni, è una sola e questo la gente lo deve capire, lo deve sapere.
MESSORA: se uscissimo dall'euro che cosa succederebbe?
BAGNAI: la catastrofe ovviamente. Arriverebbero le locuste e
arriverebbe anche l'angelo della morte che sterminerebbe il primogenito
di ogni famiglia, a meno che uno non si tenga un agnello e quando passa
Van Rompuy non faccia un segno sullo stipite della porta.
MESSORA: colgo un filo di ironia.
BAGNAI: sì, un filo di ironia sconsolata, perché ormai non si può
contrastare il flusso di disinformazione perenne. Quindi, diciamolo
anche noi: sarebbe una catastrofe. No, non usciamo dall'euro,
suicidiamoci. Allora, cosa succederebbe? Ovviamente dirlo è difficile,
è estremamente impegnativo e per uno come me significa prendersi una
grossa responsabilità. Però siamo qui e prendiamocela. Allora, noi
abbiamo dei precedenti storici. Intanto sappiamo che tutti gli organi
di informazione ci stanno mentendo su quello che è successo l'ultima
volta che abbiamo svalutato. L'ultima volta che abbiamo svalutato, poi
che abbiamo svalutato cosa? Che abbiamo svalutato la nostra valuta
nazionale. Perché, apro e chiudo una parentesi, tu ti ricordi com'è
andato l'euro dal '99 al 2001?
MESSORA: no.
BAGNAI: ha fatto un tonfo di quasi il 30%. Ora, attenzione signori, ti
parlo della prima cosa della quale si parla laddove noi uscissimo
dall'euro: ah, ma svaluteremmo! Certo, ne abbiamo bisogno dopo
vent'anni di rigidità, e sarebbe una catastrofe perché l'inflazione
schizzerebbe a livelli inauditi. Perché? Perché noi dipendiamo dalle
materie prime estere, in particolare dal petrolio e quindi questo
comporterebbe un aggravio di costi per tutte le attività produttive ma
anche per te che a casa tua, voglio dire, riscaldi col gas che comunque
ha il prezzo agganciato a quello del petrolio. Ah, sì? Va beh! Quindi
delle due l'una: o nel '92... io non me lo ricordo perché ero impegnato
in altre cose, l'Italia era disseminata di pozzi di petrolio oppure in
questa storia c'è qualcosa che non va. Perché va ricordato che
contrariamente a quello che scrivono organi di informazione come il
Corriere della Sera, Repubblica, io lì l'ho letto ma sicuramente anche
altri saranno allineati su questa linea, quando nel '92 noi svalutammo
del 20%, grossomodo, su base annua – poi bisogna vedere qual è il
riferimento, se consideri la svalutazione rispetto al marco, se
consideri quella rispetto all'ecu, che era il nostro riferimento del
sistema monetario europeo, comunque una forchetta tra il 20 e il 30 –
l'inflazione l'anno dopo scese, scese dal 5 al 4%. Quindi chi oggi dice
che se svalutassimo del 20% l'inflazione aumenterebbe di 20 punti è un
criminale. Sì, perché secondo me in democrazia il bene più prezioso è
l'informazione. Allora se tu violenti la corretta informazione in
questo modo, commetti un crimine molto pericoloso. Questo va detto, io
lo dico proprio senza nessuna... me ne assumo la responsabilità ed
invito, esorto chiunque ad andare sul sito del Fondo... Certo, bisogna
sapere un po' l'inglese ragazzi, però cercate di capirlo, voi siete in
una colonia e siete colonizzati, se non imparate la lingua dei
colonizzatori – io ad ogni buon conto mi sono studiato anche il tedesco
ma per altri motivi, motivi sentimentali, ma adesso mi torna utile – se
non imparate la lingua dei colonizzatori non ne uscite vivi da questa
trappola. Andate sul sito del Fondo Monetario Internazionale, se mi
scrivete sul blog vi do il link, l'ho dato miliardi di volte, e vi
andate a vedere cosa successe all'inflazione italiana tra il '92 e il
'93 e vedrete che è scesa. Attenzione, quando noi siamo entrati
nell'euro, l'euro fece uno scivolone di un 25-30%, il che significa che
i dollari ci costavano di più. Ci siamo su questo? Il famoso euro che
ci ha dato stabilità ha esordito con una svalutazione mostruosa. Bene.
Ma ti risulta a te che il costo della benzina sia aumentato in misura
proporzionale? Tra il '99 e il 2001 l'inflazione italiana in effetti è
aumentata. Di quanto? Di 0,6 punti, cosa che può essere tanto stata
determinata da quello, quindi da un'inflazione dal lato della domanda,
quanto dall'arrivo di capitali esteri... perdonami, l'inflazione dal
lato dell'offerta. Si chiama inflazione dal lato dell'offerta perché il
petrolio, essendo una materia prima, viene impiegato per produrre beni,
quindi la chiamiamo inflazione dal lato dell'offerta in economia.
...quanto da un'inflazione dal lato delle domanda – era quella a cui
stavo pensando – determinata dall'afflusso di capitali esteri e dal
fatto che le famiglie hanno cominciato ad indebitarsi, perché è
successo anche in Italia. In Italia il debito delle famiglie, nella
meravigliosa età dell'euro, è passato dal 35 al 70% del loro reddito
disponibile.
MESSORA: perché è arrivato il modello dagli USA con le credit revolving card, eccetera?
BAGNAI: esatto.
MESSORA: il debito facile cioè. Si è trasferito il debito pubblico sui debiti familiare.
BAGNAI: esatto. È quello che Riccardo Bellofiore, con un'espressione
che ogni tanto suscita sconcerto ma che io trovo molto appropriata – e
colgo l'occasione per ringraziarlo per averla coniata – chiama il
keynesismo privatizzato. Cioè, c'è bisogno di una fonte di domanda
nell'economia, lo Stato o fa le guerre o altro non può fare, perché se
costruisce ospedali, università, strade, c'è subito qualche
repubblicano o qualche libertario in giro per il mondo che dice “no,
Stato brutto, cattivo, ti stai allargando”. Allora come si fa?
Semplice: al posto della domanda pubblica si mette la domanda privata.
Come? Facendo indebitare le famiglie. Alla fine per un po' ci
guadagnano tutti. Il problema è che alla fine però c'è il tonfo. Quindi
la situazione è sostanzialmente questa. Sappiamo che il legame tra
svalutazione e inflazione è un legame estremamente tenue. Studi
internazionali, per esempio faccio riferimento a quelli citati nel
manuale di Giancarlo Gandolfo, che è un manuale edito di
Springer-Verlag, adottato nelle università di mezzo mondo, quindi non
sto parlando ancora una volta del ciclostilato del gruppo del
Leoncavallo, sto parlando di scienza, dicono che il coefficiente di
trasferimento di una svalutazione sull'inflazione è 0,1-0,2. Se noi
svalutassimo di un 20-30%, massimo l'inflazione passerebbe da 2 a 4, da
3 a 5, da 3 a 6. Noi abbiamo vissuto benissimo con un'inflazione al 6%,
è una realtà gestibile. Certo, bisognerebbe a questo punto, è chiaro,
prendere della cautele per evitare che rimangano fregati i soliti noti.
La gente si stupisce quando gli dico che in Belgio c'è la scala mobile,
però c'è. Ne vogliamo parlare? Quindi, voglio dire, meccanismi di
indicizzazione e di contrattazione efficienti possono, se lo vogliamo,
tutelare il potere di acquisto delle famiglie, e non sarebbe questo
bagno di sangue, in ogni caso, quello. Certo, la questione è di
un'enorme complessità per quel che attiene la regolazione dei rapporti
di debito e di credito internazionali. Lì sì che ci sono delle
difficoltà, delle difficoltà che scaturiscono, come sempre, da un fatto
politico, cioè dal fatto che chi ci ha guadagnato non vuole cooperare a
risolvere il problema. Su questi aspetti stiamo tutti studiando per
cercare di capire che cosa succederà, ma il vero problema che hanno gli
economisti davanti in questo momento nello studiare questa situazione è
che non si riesce a capire quale potrebbe essere il disegno politico o
la forza politica o, come dire, sì, quella forza politica in grado di
guidare questo tipo di processo, perché in Italia attualmente non c'è.
Io ho invitato all'ultimo convegno che ho organizzato a Pescara, dove
anzi, grazie a Dio, e ringrazio molto tutti, sono in un dipartimento
che mi consente di organizzare eventi di livello internazionale con una
buona produttività, ho conosciuto un economista che volevo conoscere,
che ho invitato, Roberto Frankel, che è stato in Argentina il
consigliere del governo nella fase nella quale l'Argentina si è tirata
fuori dal macello nel quale stava. Lui mi descriveva molto bene qual
era lo stato dell'arte un mese, due mesi prima della crisi. Lui era
totalmente isolato, soprattutto da parte degli economisti – chiamiamoli
così – di sinistra, perché era l'unico che diceva che comunque si
sarebbero dovuti sganciare dal dollaro, e non c'è nulla di più a destra
di un economista di sinistra in una crisi gestita dalla destra. Questo
è un fatto. Perché per chi dice la verità purtroppo non c'è posto né
prima né dopo, perché purtroppo la verità è un vizio seriale, cioè se
tu l'hai detta prima la puoi dire anche dopo. Purtroppo ha questa
caratteristica spiacevole che non fa mai particolarmente comodo al
potere, come non fa mai particolarmente comodo al potere la cultura.
Questo lo sappiamo. D'altra parte, come dire, il progetto europeo in
Italia si è appoggiato o è stato concomitante, è stato correlato, come
diremmo noi economisti, a una distruzione del sistema universitario di
proporzioni cosmiche, è inutile che ci giriamo intorno. Va bene, non
parliamo di questo. Lui diceva “qualche politico mi chiamava e io gli
dicevo 'senti, sì, che dobbiamo fare? Che succederà?', io te lo posso
dire, ma bisogna che noi ci sediamo a un tavolo e che mi dite voi, come
politici, che cosa potete fare”. E quello che lui dice è che lo snodo
della situazione si è avuto quando i politici hanno deciso di fare il
corralito. Cos'è il corralito? Il corral è il recinto. Il corralito è
stato il procedimento con il quale loro hanno deciso che i prelievi dai
conti correnti bancari venivano limitati. Perché lo hanno fatto? Per
evitare un bank run e una fuga di capitali all'estero, che era già in
corso.
MESSORA: hanno impedito ai piccoli risparmiatori, in realtà, di prelevare.
BAGNAI: ma questo abbiamo anche bisogno di dirlo? Certo, la stalla si
chiude tipicamente quando i buoi sono scappati, però nella stalla c'era
ancora abbastanza fieno, insomma, e diciamo mettere quel recinto era
una misura indispensabile per evitare che succedesse un'autentica
catastrofe. Una volta presa quella decisione è chiaro che si sono
potute prendere le altre, quindi sganciarsi e quindi tutto il resto. In
questo momento uno con chi va a parlare in Italia per dirgli “cosa
facciamo per uscire dalla trappola?”? Tu con chi andresti a parlare? Va
beh, parliamo di altro allora. C'è il sole, è estate, andiamo al mare.
Capisci? Il problema è un pochino questo. Sono state fatte decine di
proposte articolate, più o meno sensate, su scenari di uscita
consensuale o non consensuale di un paese, e comunque è evidente,
perché era stato prima da studiosi come Martin Feldstein, dopo da
studiosi meno noti ma altrettanto sensati, che qui bisogna pensare
comunque a dei trattati che siano più flessibili e non più rigidi, in
cui delle regole di uscita devono essere in qualche modo previste.
MESSORA: pensa che stiamo per siglare... Scusa se rido, perché tu dici
delle cose ragionevoli e a me viene in mente poi l'irragionevolezza
sempre che aumenta in maniera costante e a cui andiamo incontro.
BAGNAI: come gli afflussi di capitale.
MESSORA: stiamo per firmare uno di questi trattati, che incidentalmente
si chiama MES o ESM in inglese, che addirittura non solo non prevede
regole di uscita, ma prevede che se tu lo sigli come governo, lo
ratifichi, i governi futuri non potranno deratificarlo, cioè non
potranno più uscire, anche se cambi governo. Quindi
l'autodeterminazione di un popolo sparisce completamente.
BAGNAI: sì, ma vedi, se io adesso mi trasformo per un attimo da
economista ortodosso a economista di sinistra, anche della sinistra di
sinistra, però la sinistra di sinistra perbene e decotta, tipo quella
del Manifesto, quella di Sbilanciamoci, ti dirò “nazionalista!
Nazionalista vetero-ottocentesco!” C'è stato un periodo in cui chi era
di sinistra leggeva solo Marx e questo periodo per fortuna è finito,
consegnandoci un periodo in cui chi è di sinistra non ha letto neanche
Marx. Perché io non l'ho letto, perché non sono un marxista, perché
sono...
MESSORA: se il nuovo che avanza è Renzi per la sinistra, non se ha letto Marx, forse ad Arcore.
BAGNAI: adesso ti faccio una... “Tu ce l'hai coi giovani!”.
Quello è il
rinnovamento, amico mio. Il rinnovamento nel nostro paese e te lo
cucchi. Io mi sono anche piacevolmente intrattenuto in uno studio
televisivo con un altro esponente di questo rinnovamento, insomma.
Questi non hanno letto neanche Marx perché... Neanche io l'ho letto, ma
io non faccio il sinistro, io faccio l'ortodosso per lavoro. Ma
qualcuno che lo ha letto mi ha detto che Marx era abbastanza convinto
che la lotta del proletariato fosse in primo luogo lotta contro le
borghesie nazionali. Questi invece di che cosa favoleggiano? Di che
cosa blaterano? Di che cosa starnazzano? A seconda dei propri... Di
questo meraviglioso sindacato europeo, cioè ci dovremmo tutti iscrivere
all' Ig Metall noi, nel momento in cui l'Ig Metall in Germania sta
perdendo, ovviamente, iscritti perché c'è una certa desindacalizzazione
in un paese nel quale i salari reali stanno scendendo e in un paese nel
quale il precariato impazza, checché ne pensino i nostri sinistri di
sinistra. Questi hanno totalmente perso qualsiasi parametro. La
sovranità nazionale un suo significato ce l'ha, perché la nazione oggi
è lo spazio nel quale i cittadini possono esercitare un controllo
democratico sulle istituzioni. La parola “internazionale”, che è un
aggettivo, si traduce in un sostantivo che è “capitalismo”. Prima che
si coordinino, come dico io scherzando sul blog, l'algonchino, il
samoiedo e l'ottentotto e tutti insieme, chi con le penne in capo, chi
col casco di banane, vadano a bussare alla porta del capitalismo e
dirgli “senti, facciamo un po' i conti”, nel frattempo noi saremo tutti
morti. Noi dobbiamo preoccuparci di preservare degli spazi di
democrazia nazionale, non cedendo in primo luogo la nostra sovranità. È
un suicidio questo. È una cosa che non porta da nessuna parte. Nessuno
lo ha detto che grande è bello. Le potenze imperiali fanno la fine
delle potenze imperiali: cadono. La Germania sta cercando di realizzare
questo sogno più o meno da sempre, prendendo o dando mazzate sui denti,
prima ai romani, poi via via, poi il Drang nach Osten, però
periodicamente deve rientrare nei propri confini, dove sta tanto bene,
è una forza importate della civiltà europea, ha dato uno sviluppo alla
nostra cultura, alla nostra musica, alla nostra filosofia, al nostro
pensiero scientifico. Gauss era tedesco. Vogliamo parlare di un autore
che per me è importante perché occupandomi di calcolo delle
probabilità, così, a tempo perso, mi servo ancora... Questa è la
civiltà. Stavamo ognuno a casa nostra, viaggiavamo, perché il progetto
Erasmus si chiama Erasmus perché Erasmo da Rotterdam viaggiava. E
chissà come gli riconoscevano i crediti quando passava da un'università
all'altra. Io per riconoscere i crediti di uno studente belga ci metto
il doppio del tempo che per ammettere nel mio corso di laurea uno
studente marocchino. Ma lo sapete questo? Questa è l'integrazione che
stiamo realizzando. Va bene, non voglio scadere nell'aneddotico. La
sovranità nazionale non un retaggio ottocentesco, cari amici che
pensate di essere di sinistra. La sovranità nazionale significa
riconoscere che noi abbiamo possibilità di confrontarci in termini
democratici con istituzioni, e abbiamo un controllo molto labile, come
la storia italiana dimostra, ma comunque un minimo ce l'abbiamo, con le
istituzioni nazionali. Noi stiamo parlando di fare integrazione
fiscale, cioè una cosa che le potenze che hanno privatizzato i profitti
non vogliono fare, e se anche volessero farla richiederebbe il
trasferimento di ingenti somme a un bilancio federale, il quale
dovrebbe poi agire da buon padre di famiglia facendo gli interessi dei
più deboli e in pratica significherebbe, se lo si volesse fare, dare
più soldi a persone che noi controlliamo ancora di meno, e tutto questo
sulla base del presupposto che noi non ci possiamo governare da soli
perché da noi c'è la corruzione (con quattro “Z”). Ma la corruzione c'è
anche a Bruxelles. In quei palazzi sappiamo che sono ospitate lobbies
con tanto di uffici, perché anche normale, voglio dire. Non
nascondiamoci dietro un dito, non stracciamoci le vesti.
MESSORA: Alberto, cosa ne pensi delle valute complementari come lo
SCEC? Possono contribuire ad aiutare l'economia locale oppure no?
BAGNAI: quando sono arrivato in Francia quest'anno, proprio esattamente
la prima notte il telegiornale ha fatto un servizio di 15 minuti sul
Chiemgauer che è una moneta locale della Baviera, spiegando come
funzionava, come non funzionava, che tipo di beneficio aveva. Di tutto
questo argomento in Italia non si sente minimamente parlare, mentre
sembra che in paesi europei, in Germania ce ne sono una quindicina, una
ventina di queste monete qui. Io sono per la flessibilità e quindi
questo significa che, secondo me, uno strumento che in qualche modo può
aumentare la liquidità di un sistema produttivo locale, tra l'altro
incoraggiando cose che secondo me andrebbero incoraggiate, come la
filiera corta per ovvi motivi, dato il significato locale che la valuta
assume, eccetera, io non avrei nulla in contrario. Però attenzione, si
può immaginare un'architettura monetaria europea su tre strati, come
per esempio mi sembra che proponga Luca Fantacci, che ho conosciuto
incidentalmente in una trasmissione televisiva e che secondo me fa
delle proposte molto interessanti.
MESSORA: la moneta di Nantes?
BAGNAI: sì, quest'ultima cosa non ho avuto proprio il tempo materiale
di leggerla, ma lui in trasmissione ha fatto una riflessione molto
intelligente, secondo me. Non c'è neanche bisogno di distruggere
l'euro, non è che vogliamo ghigliottinarlo, l'euro può restare come
moneta per la regolazione degli scambi tra le banche centrali,
esattamente come poteva essere per certi versi l'Ecu nel sistema
monetario europeo, e poi si può ripristinare un sistema di cambi
flessibili tra le valute nazionali e, perché no, prevedere anche che
esistano delle valute locali. Per esempio Roberto Frankel ci diceva una
cosa molto interessante, che questo tipo di valute ha avuto un ruolo
molto importante nel processo di uscita dall'Argentina dalla crisi,
perché in un momento nel quale evidentemente, per ovvi motivi, vedi il
corralito, la liquidità era venuta a cadere, le valute locali hanno
preso il loro posto e tra l'altro sperimentando dei tassi di inflazione
praticamente minimi, perché comunque la gente aveva fiducia in
quell'esperimento e l'ha dimostrata e questo ha contribuito a salvare
nel processo di transizione. Adesso credo che questa esperienza si sia
esaurita, tra l'altro mi sono dimenticato di chiederglielo, perché
abbiamo parlato di talmente tante cose. La lezione che viene dalla
teoria delle aree valutarie ottimali è che la moneta deve essere
dimensionata sul mercato del lavoro, perché se la moneta non è
dimensionata sul mercato del lavoro, gli shock anziché tradursi in una
svalutazione esterna della moneta, si traducono in una svalutazione
interna del salario. Ora che io sappia l'Italia ha il suo mercato del
lavoro con le sue tipologie di contratti, la Francia ha il suo mercato
del lavoro con le sue tipologie di contratti, lo stesso per l'Austria,
la Germania, la Svizzera che non fa parte dell'Eurozona ma te la metto
tanto per farti capire che comunque stiamo parlando... E allora? Allora
bisogna tornare comunque in questa architettura monetaria, che può
anche essere multilivello, può anche avere tre livelli, una moneta per
le banche centrali, ci deve essere comunque uno strato che sia
dimensionato sui mercati del lavoro che sono ancora nazionali. Quando
poi avremo il mercato del lavoro europeo, che significa che tutti
parleremo, non so, 17, 27, 47 lingue o comunque significa che perlomeno
se versiamo i contributi in un paese e poi ce ne andiamo a lavorare in
un altro, sappiamo che pensione ci dà quell'altro, significa che se
prendiamo una laurea in un paese sappiamo che ci viene riconosciuta in
un altro, cosa che adesso non so, sì, in teoria forse è già così, ma in
pratica ho i miei dubbi, sappiamo che se abbiamo un certo tipo di
contratto lo troviamo anche in un altro paese. Quindi muoversi è facile
perché sai quello che trovi, sai quello che lasci. Io adesso se lascio
l'università italiana, poniamo, non so cosa trovo in quella francese,
devo studiare un anno per capirlo.
MESSORA: se restiamo nello scenario dell'uscita dall'euro, significa ritornare alla sovranità monetaria.
BAGNAI: sì.
MESSORA: sovranità monetaria gestita dalla banca nazionale, dalla Banca
d'Italia, o gestita dalla politica tramite nazionalizzazione della
banca centrale? Entrambe le soluzioni hanno per alcuni dei lati critici
oppure dei vantaggi.
BAGNAI: qui dobbiamo tornare sempre al solito punto metodologico che
non esiste la pallottola d'argento. Certo che ogni soluzione ha i lati
critici. D'altra parte, augurando a ognuno di noi la salute, che è la
cosa più importante, e noi siamo già in un'età che ci consente di
apprezzare queste parole, capiterà a qualcuno di prendere di una
medicina, quindi se ha la pazienza di leggersi il foglietto, vedrà che
ogni medicina ha tante controindicazioni. È un fatto della vita. È un
fatto della vita che gli economisti chiamano nel modo seguente, non ci
sono free lunch, non si sono pasti gratis, nulla è solo buono. Apro e
chiudo una parente, se mi perdo mi riporti tu sul pezzo, però è una
parentesi divertente. Ti avevo detto della credibilità, “dovete essere
più credibili”, la credibilità veniva proposta negli anni '90 come una
panacea per i nostri mali. Certo. Ma se tu sei credibile che cosa
succede? Succede che i mercati finanziari hanno fiducia in te e quindi
ti danno un fracco di soldi. Cioè, la credibilità, che è qualche cosa
che ti permette, per esempio, di fare delle politiche deflazionistiche
credibili, è anche qualche cosa che ti permette di indebitarti anche,
in realtà, oltre le tue reali necessità. Quindi, come dire, nulla è
gratis. Anche la credibilità si paga. E paesi come la Grecia o come il
Portogallo, come la Spagna e per certi versi anche come l'Italia, che
l'hanno acquisita aderendo all'euro, adesso stanno pagando il conto in
termini di difficoltà di sostenere il debito estero che hanno contratto
e che non avrebbero contratto se fossero state percepite come meno
credibili. È banale, è semplice. “Bagnai, sei troppo semplice”,
“Bagnai, sei troppo complicato”. Siccome mi criticano tutti, come
diceva Andreotti, ho la certezza di dire delle cose giuste. Torniamo
sul pezzo. La sovranità monetaria uno se la riprende per usarla. Questa
idea che lo scopo della Banca Centrale sia fare lo sgambetto al
Ministero del Tesoro è un'idea totalmente delirante. Cosa voglio dire
con questa frase? Usciamo di metafora. A partire dal '79 in Italia, ma
dal '74 o '73, non ricordo, in Francia con la legge Giscard, a partire
da, in Europa, per motivi che cominciano ad essere chiari a tutti
adesso, si è affermata l'idea che la Banca Centrale dovesse agire in
modo scoordinato o se vuoi indipendente dalla politica fiscale, dal
Ministero del Tesoro. In Italia lo abbiamo chiamato “divorzio tra
Tesoro e Banca d'Italia”. Per tutti gli anni '80, '90, '010, a chi mi
parlava di Banca Centrale indipendente io chiedevo sempre “da chi?”.
Nessuno mi ha mai risposto. L'indipendenza, come la dipendenza, è
sempre da qualcuno o da qualcosa. Mi viene in mente la domanda del tuo
lettore che voleva sapere cosa ne penso della liberalizzazione delle
droghe leggere. Ne penso quello che ne pensa Milton Friedman, andate a
documentarvi e non mi fate esprimere in un paese cattolico su temi che
potrebbero rivolgersi contro di me. Allora, questa idea della Banca
Centrale indipendente è una boiata pazzesca, perché va contro tutto
quello che noi studiamo nei nostri libri di scuola, dove abbiamo un bel
modello keynesiano che chiamiamo affettuosamente IS-LM - questo per chi
lo sa e chi non lo sa non ha bisogno di entrare in dettagli – dove ci
sono due cose: c'è la politica fiscale e la politica monetaria che se
sono coordinate, ovviamente realizzano degli obiettivi più ambiziosi e
con meno costi per la collettività che se sono scoordinate. Che cosa ha
significato per noi avere una sovranità monetaria limitata? Noi la
sovranità monetaria limitata ce l'abbiamo appunto dal divorzio,
dall'inizio degli anni '80. Ha significato una cosa molto semplice, che
siccome nel frattempo eravamo entrati in degli accordi di cambio, i
nostri tassi di interesse sono schizzati verso l'alto e lì è sorto il
processo di accumulazione del debito pubblico, perché il debito
pubblico è diventato un debito che lo Stato contraeva per pagare gli
interessi sul debito che contraeva per pagare interessi sul debito che
contraeva per pagare... Con il divorzio tra Tesoro e Banca d'Italia in
realtà si è innescato un meccanismo di un certo tipo, che era il
meccanismo... Dunque, quand'è che erano sposati Tesoro e Banca
d'Italia? Erano sposati quando la Banca d'Italia era quello che oggi si
chiama, molto impropriamente, il prestatore di ultima istanza, molto
impropriamente perché quella è una funzione che la Banca Centrale
esercita rispetto al settore bancario. In realtà era l'acquirente
residuale dei titoli di Stato sul mercato primario. Che vuol dire? Che
lo Stato aveva da coprire un fabbisogno da 100, d'accordo, all'ora
stampava 100 di titoli e diceva “il tasso è il 3%”. A quel tasso il
mercato poteva comprarne 30, 70, il resto se lo prendeva la Banca
d'Italia, che di fatto non pagava interessi, nel senso che il Governo
pagava gli interessi ma poi la Banca d'Italia li retrocedeva. Di fatto
quello era un debito a interesse zero che corrispondeva a una creazione
di moneta, attraverso il cosiddetto canale di creazione di moneta del
Tesoro, perché erano titoli del Tesoro che collocati presso la Banca
d'Italia, venivano pagati dalla Banca d'Italia, tra virgolette,
stampando moneta e corrispondeva la cosiddetta monetizzazione del
deficit, quella cosa che “aiuto! Crea inflazione! Crea inflazione!” Ma
negli anni '70 c'è l'inflazione perché non c'era stato il divorzio. Ma
signori, negli anni '70 il prezzo del petrolio prima è quadruplicato,
nel '73, e poi è raddoppiato. Ora che in quelle circostanze ci possa
essere un po' di inflazione, ma io lo darei anche abbastanza per
pacifico e assodato, è abbastanza fisiologico. Non credo che questo
dipendesse dal fatto che la Banca Centrale stampava moneta. Attenzione,
che sia la moneta a causare i prezzi è una lunghissima storia e nessuno
ha detto la parola fine su questo per un motivo molto semplice, perché
se i prezzi aumentano per uno shock esogeno, tipo il prezzo del
petrolio quadruplica, la Banca Centrale in qualche modo è costretta a
ratificare questo shock stampando moneta, perché altrimenti l'economia
collassa, non ci sono più i soldi per pagare i beni. Quindi non si sa
troppo bene se siano veramente i prezzi a causare la moneta o la moneta
a causare i prezzi. Nessuno risolverà mai questo problema e quello che
sappiamo però...
MESSORA: poi c'è chi dice che in un'economia sofferente, come per
esempio è la nostra, dove c'è molta disoccupazione, stampare moneta non
comporta inflazione semplicemente perché non c'è lavoro e questa moneta
non finisce poi nelle tasche delle persone.
BAGNAI: allora, da ortodosso ti devo dire che i prezzi seguono la legge
della domanda e dell'offerta. Nel momento in cui in questo momento lo
Stato decidesse di finanziare, anche stampando moneta - che cosa? - il
mantenimento di quei posti di lavoro che vuole tagliare o l'erogazione
di quei servizi pubblici che sta già tagliando, questo che cosa
significherebbe? Significherebbe distribuire reddito e quindi creare
domanda, in una situazione nella quale però c'è eccesso di offerta. Le
risorse sono disoccupate, ci sono i disoccupati in giro e ci sono
stabilimenti che chiudono. In queste circostanze abbiamo tanta offerta
e poca domanda. Se lo Stato aggiunge la sua domanda, finanziandola
stampando moneta, come dovrebbe fare nell'ambito della sua sovranità, è
ovvio che non ci sarebbe una ventata inflazionistica. È altrettanto
ovvio che questi processi vanno gestiti e che naturalmente... Però,
allora, vogliamo affrontare un problema alla volta? Vogliamo morire
oggi perché se no tra quattro anni avremo inflazione? A me questo
sembra assurdo. È assurdo e temo che sia in cattiva fede. Ci sono delle
circostanze ormai nelle quali sei costretto a pensare che chi ti sta
davanti sia in cattiva fede, perché almeno pensi di avere di fronte una
persona razionale. Ci sono persone, interlocutori, delle quali tu oggi
non puoi fare a meno di pensare che se sono in buonafede sono
totalmente imbecilli. Io ho fiducia nell'uomo, non voglio pensare di
avere di fronte un totale coglione quando parlo con qualcuno.
Perdonami, questa tagliala se vuoi, ma purtroppo la realtà è così. Cioè
ormai abbiamo stravolto il senso della nostra esistenza, delle parole.
Chiamiamo “unione” darci le mazzate sui denti. È anche questo
stravolgimento di senso che poi alimenta il nostro autolesionismo.
Prima dicevo le nostre prospettive si stanno chiudendo, ma tu pensa a
una persona che perde il lavoro, che magari ha la nostra età, quando
trovarne un altro è piuttosto difficile, tu ci sei riuscito, te lo sei
inventato, ma non tutti sono così creativi.
MESSORA: tra l'altro devo dire grazie ai giornali che non danno le notizie, perché se le dessero io sarei disoccupato.
BAGNAI: esatto. Tu hai occupato uno spazio. Esisteva una domanda e la domanda crea l'offerta, non è il contrario.
MESSORA: un altro esempio di quelli che dipendono da coloro che criticano poi, in fondo.
BAGNAI: certo. Però io credo che ormai certi italiani preferiscano
sentirsi dire che sono improduttivi, corrotti e ladri, e che quindi sia
colpa loro quello che sta succedendo, e che i tedeschi siano
produttivi, incorrotti e generosi, perché questo almeno stabilisce un
senso, si crea una favola nella quale ci sono dei buoni e dei cattivi;
tu stai dalla parte del cattivo, ma almeno stai in una favola, non stai
nel delirio. Quello che stiamo vivendo è un delirio di irrazionalità.
Ma non lo dico solo io, lo dice anche Gustavo Piga, per esempio, che
mille volte ha sottolineato l'irrazionalità totale delle politiche che
vengono imposte da questi governi ai popoli europei. Allora pensare “io
sono cattivo, loro sono bravi” ristabilisce un senso, un senso
distorto. Quando parli con le persone – io ci vado, perché c'è anche
questa cosa “Bagnai, tu stai nella torre d'avorio. Magari lo diranno
anche a te – la prima cosa che dicono è “noi pensavamo che fosse colpa
nostra”. Io sono stato a parlare a degli imprenditori a Chieti, nel
corso di una scuola di formazione sull'apertura ai mercati esteri, e
sono uscito quasi con le lacrime agli occhi, perché alla fine avevo di
fronte delle persone che in modo artigianale, se vuoi casuale, con
molta tenacia, con molto intuito, erano riusciti ad aprirsi dei
mercati, ma tipo imprenditori piccoli abruzzesi nel campo della
meccanica di precisione che vendono pezzi ai grandi cantieri navali
olandesi o tedeschi, stiamo parlando di questo, quindi loro lo sanno
che noi siamo produttivi, che hanno finanziato l'aggiornamento
tecnologico delle loro aziende, riuscendo a non licenziare i
lavoratori. Questi piccoli imprenditori abruzzesi, alla fine uno si è
alzato e ha detto “ma scusate, noi siamo qui, riusciamo a vendere
all'estero, abbiamo mantenuto l'occupazione, abbiamo aziende che tutto
sommato in questa crisi sopravvivono, siamo delle persone normali. Ma
allora perché in questo paese le cose stanno andando così?” Cioè, la
domanda era proprio il senso di tutto questo. Qui secondo me si va al
problema dei costi della politica, perché il costo della politica non è
la corruzione, la mazzetta, certo quella costa, e il lettore degli
organi di informazione, che lasciano tanto spazio a te e a me per dire
la verità, perché subissano di menzogne i loro lettori, su quello
insistono perché è una verità evidente. Certo, c'è la corruzione, la
mazzetta! Ovviamente solo in Italia, in Germania no. Però, chissà,
forse andando a vedere... Vi voglio mettere questa pulce nell'orecchio.
MESSORA: ricordo che il Presidente della Repubblica Tedesca si è dovuto
dimettere recentemente proprio per problemi di corruzione.
BAGNAI: non ci posso credere! Mi crolla un mito. Adesso mi fai
diventare eterodosso con una notizia di questo tipo. Io che ero
ortodosso, che volevo pensare che chi risparmia è bravo e che chi
spende è cattivo, che volevo pensare che l'economia capitalistica è
basata sul credito e non sul debito, perché non capisco che se erogo un
credito qualcun altro ha un debito, perché così sono gli ortodossi. Va
bene, torniamo sul pezzo. Il vero costo della politica non è questo.
Questo è un costo, ma il vero costo sono le decisioni sbagliate, l'aver
messo un intero paese in trappola. Quando io ancora credevo nella
sinistra perbene e decotta e mi esprimevo nelle sue sedi, senza capire
che in quelle sedi il dibattito era del tutto orientato, peggio che
negli studi televisivi. Cioè, il Manifesto ha esplicitamente ammesso,
per bocca della sua direttrice, che io ho il piacere relativo di
ascoltare adesso ogni mattina a Prima Pagina, di aver tenuto un
dibattito sull'euro che era orientato a scongiurare la follia del
ritorno alle monete nazionali. Cioè non per parlarne. Quindi io lì ho
fatto...
MESSORA: hanno una tesi e devono in qualche modo sostenerla.
BAGNAI: perfetto. Allora, nel sostenere quella tesi io mi esprimevo e
mi veniva regolarmente dato del complottista perché facevo un
ragionamento che Marx avrebbe chiamato “di materialismo storico”. Cioè,
le logiche economiche nei processi storici contano. Quanto contano?
L'1%? Il 99%? Non lo so, però contano e parliamone. Un "cui prodest" - con la “P” maiuscola per ovvi motivi – in quello che è successo c'è!
MESSORA: ..."cui Prodi".
BAGNAI: certo. Infatti io, diciamo, volevo scriverlo così ma poi non
l'ho fatto. In quello che è successo, cioè in questo gioco, non la
Germania e l'Italia impersonate da due fantocci come nel teatro dei
pupi siciliani, ma alcune istanze del capitalismo tedesco, alcune
istanze del capitalismo italiano hanno tratto benefici e tutto
concorreva al bene, per loro, nel migliore dei mondi, per loro,
possibili, per loro. Il vantaggio del capitalismo del centro, ne
abbiamo parlato, è di due nature, primo investendo capitali in
periferia lucra interessi più grandi che investendoli a casa propria.
Il credito al consumo in Grecia aveva tassi di interesse che erano tre
volte più alti, tre punti più alti di quello in Germania. Quando ti
dicono “no, ma l'euro ci ha realizzato la convergenza, i tassi...” I
tassi sul debito cosiddetto sovrano si sono tutti avvicinati, i tassi
sui debiti privati erano sventagliatissimi, quindi questo consentiva
opportunità di arbitraggio. Poi ha un altro vantaggio il capitalismo
del centro, che è che vende tanti beni e quindi lucra profitti
industriali. Il capitalismo della periferia che vantaggio ha? Ma è
molto semplice, lo abbiamo visto all'opera miliardi di volte: l'Europa
lo chiede. Il vincolo esterno permette al capitalismo della periferia
di disciplinare i propri sindacati e quindi di realizzare quella
politica di repressione dei salari reali nella quale siamo incappati
dritto per dritto nel '79 e dalla quale non stiamo uscendo, e
naturalmente, siccome ancora in tutti gli anni '80 e fino almeno al '96
la produttività italiana è cresciuta a ritmi comparabili a quella
tedesca, se la produttività cresce ma i salari no, cos'è che aumenta? I
profitti. Perché se c'è più prodotto e si paga di meno chi lo produce,
si mette di più in tasca quello che lo vende. Questo mi sembra
abbastanza evidente. Quindi diciamo, i vari capitalismi, ognuno aveva
da tirare il suo beneficio da questo gioco. Sulla deindustrializzazione
io non mi pronuncio. Adesso non so quali sono le fonti. Sicuramente
lui, essendo vicino a livelli di governo, avrà delle fonti per dire. Ma
cosa ci hanno guadagnato è semplice. Del resto tieni anche presente che
la deindustrializzazione si sposa a un processo, diciamo così, di
mercatizzazione dei mercati finanziari, alti tassi di interesse,
eccetera, di grosso spostamento della distribuzione del reddito a
favore delle rendite. La deindustrializzazione può anche essere
semplicemente che un imprenditore vende la sua azienda perché capisce
che guadagna di più investendo sui mercati finanziari. Ma tu guarda il
buon Tanzi, con la Parlamat che adesso è stata spolpata da Lactalis,
come Dagospia sapientemente ci informa. Quella è la
deindustrializzazione. Andiamo a vendere aziende che funzionano bene,
il management i soldi li usa per fare altre cose. Ma è tutto
all'interno di un sistema perverso che si è spostato nel senso di
andare a gonfiare bolle con i soldi, anziché realizzare... Prego.
MESSORA: ti ho importunato per oltre due ore. Non so quanti lettori ci
siamo tirati dietro fino adesso, ma ti faccio una domanda che dobbiamo
chiudere in sei minuti perché altrimenti finisce la cassetta.
BAGNAI: sono prolisso, perdonami.
MESSORA: la domanda è questa: tu credi che un'Italia che faccia ritorno
alla sua sovranità nazionale, cioè che esca dall'euro, recuperi la
sovranità monetaria e tutto quello che ne consegue, risulti un po',
come molti allarmano, un guscio di noce in balia delle tempeste, dei
Brics, dei paesi emergenti, della Cina, delle grosse superpotenze e
quindi non riesca più a recuperare un tenore di vita sufficiente da
garantire ai propri concittadini?
BAGNAI: io, visto che abbiamo poco tempo, ti rispondo con un'altra
domanda. Se ci fosse una tempesta, tu preferiresti essere un guscio di
noce o avere una pietra al collo? Perché di questo stiamo parlando.
Usare in modo terroristico la minaccia dei paesi emergenti è solo
un'altra sfaccettatura della disinformazione nella quale siamo
incappati.
I paesi emergenti stanno emergendo. Lo sappiamo. La Cina?
Tranne una lievissima increspatura nella sua storia, che è durata un
secolo e mezzo, da quello che sappiamo, dagli studi di economisti
illustri, ha contato, da quando c'è, per il 30% del PIL mondiale e sta
tornando ad occupare quel posto, che è il posto che le spetta di
diritto perché conta per il 30% della popolazione mondiale. Ora vado a
spanne, in realtà non è così, ma ci siamo capiti. Questo è un processo
fisiologico, noi ci dobbiamo conformare ad esso, non è particolarmente
pericoloso per noi perché può essere tanto una minaccia quanto
un'opportunità.
L'Italia non è piazzata così male sui mercati
emergenti.
Ci sono paesi, come la Francia, che stanno messi peggio di
noi su quei mercati, in alcuni settori di quei mercati, che hanno
deficit commerciali, mentre noi non ce li abbiamo. Noi abbiamo un
grosso deficit perché stiamo pagando interessi all'estero, e lo spread
non migliorerà questa situazione. Io non condivido questa valutazione
pessimistica, perché non c'è nulla nella storia dell'economia che mi
dica che i paesi piccoli necessariamente vanno a fondo. L'economia è
sempre stata grande, è sempre stata globalizzata. Se uno va a vedere
quanto viaggiavano le merci nel Medioevo capisce che non è una cosa che
abbiamo inventato oggi. I Comuni italiani sono stati, ognuno a casa
sua, un modello di sviluppo, di creazione di cultura, di sviluppo
economico. Quindi di che cosa stiamo parlando? Veramente è cambiato
tutto? Io ho dei grossi dubbi. Oggi chi ci dice che tutto è cambiato lo
fa con un intento profondamente reazionario, che è quello di cercare di
farci credere che la storia non ha lezioni da offrirci.
Invece la
storia ha lezioni da offrirci. Noi camminiamo da quattro milioni di
anni e negli ultimi 400 anni non è che siamo cambiati così radicalmente
sotto il profilo antropologico, sociale, culturale ed economico.
Andiamo a vedere chi è andato a gambe all'aria anche negli ultimi
trent'anni e perché, vedremo che ci sono paesi piccolissimi nei quali
si vive bene. Allora quando fai questo discorso ti dicono “sì, ma
l'Italia non ce la può fare perché non è né piccola né grande, è
medio”. Ho capito.
Se gli argomenti sono questi allora, però, forse è
meglio che la discussione la chiudiamo qui.
MESSORA: ringrazio Alberto Bagnai. Grazie per la tua disponibilità, grazie per la tua resistenza fisica.
BAGNAI: io sono 12 anni che lotto, perché oggi posso dirlo di fronte
una telecamera, molte volte l'ho detto a cena di fronte a piatto di
pasta, passando per un pazzo. Capisci che un'occasione per sfogarmi, se
me la dai, lo fai a tuo rischio e pericolo.
MESSORA: e grazie soprattutto anche a tutte le persone che con il loro
contributo hanno reso possibile questa intervista che va a vantaggio
della collettività.
BAGNAI: li ringrazio molto anch'io e sono stato veramente commosso nel
vedere il successo che ha avuto il finanziamento. Spero di aver
soddisfatto le vostre curiosità. Se ne avete altre che non ho
soddisfatto, venite sul mio blog o ci rivedremo con Claudio e proveremo
a soddisfarle tutte.
Trascrizione monumentale ad opera di Maria Laura Borruso
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