Ha lottato con tutte le sue forze ma alla fine è morta.
Ieri, 29 dicembre 2012, la studentessa di Delhi vittima di un brutale stupro di branco che ha scosso tutta l’India e il mondo intero, è morta in un ospedale di Singapore. Aveva 23 anni, studiava fisioterapia
Damini, Nirbhaya, and Amanat sono gli pseudonimi utilizzati dai media e dal popolo per nominarla.
Damini
è il titolo di un vecchio film dove la protagonista combatte contro
famiglia e società per far ottenere giustizia ad una vittima di stupro.
Nirbhaya significa “senza paura”, “coraggiosa”.
Amanat “fiduciosa”,”
leale”, “fedele”.
Oggi questa ragazza, con la sua storia, è diventata il simbolo dell’India che non è più disposta ad accettare una quotidianità fatta di stupri e violenza sulle donne. In questi giorni, in tutte le regioni e città del paese, ci sono state continue manifestazioni, anche con scontri, in cui donne e uomini, soprattutto giovani studenti e studentesse, hanno espresso la pretesa di un cambiamento culturale, sociale, giuridico e politico, portando spesso la protesta nei luoghi simbolo delle varie istituzioni, colpevoli di essere immobili, conniventi e spesso anche autori di un passato e un presente sempre più segnato da questi episodi.
Le piazze traboccano di rabbia. Sono in tanti a chiedere la pena di morte per gli stupratori.
I politici di fronte a tutto questo rispondono in maniera goffa, cercando di rassicurare le piazze promettendo giustizia e modifiche al codice penale.
Inoltre il governo federale indiano ha avviato una massiccia campagna di arruolamento di donne nella polizia, per favorire la denuncia e perseguimento dei crimini di violenza contro le donne, e ha annunciato la costituzione di una banca dati contenente nomi, foto ed indirizzi delle persone condannate per reati sessuali. La banca dati dovrebbe essere accessibile a chiunque attraverso internet.
In tutto questo non possiamo dimenticare che solo qualche giorno fa, il 26 dicembre, la morte è toccata ad un’altra ragazza che a soli 17 anni a deciso di togliersi la vita, dopo aver subito uno stupro di gruppo il 13 novembre scorso nello stato di Punjab. La ragazza aveva denunciato gli aggressori ma a quanto pare uno dei poliziotti aveva cercato di convincerla a ritirare la denuncia e sposare uno dei suoi aggressori. Si sarebbe suicidata ingerendo del veleno.
Di fronte a tutto ciò i gruppi di donne e femministe non sono di certo rimaste con le mani in mano. Da anni esistono organizzazioni che, trovandosi di fronte alla totale mancanza di volontà da parte delle istituzioni di agire in qualsiasi modo contro la violenza sulle donne, si sono autorganizzate, con reti di solidarietà, campagne informative e lotte.
Nei giorni scorsi hanno portato in piazza una serie di richieste concrete, non negoziabili (anche per sostituire il forte grido della pena di morte), che se non verranno accolte produrranno l’effetto di continuare ad invadere il paese con le proteste e le manifestazioni.
Ora, con – e per- la morte di Damini, tutto questo è sicuramente destinato a crescere.
Oltre al dolore, ora non resta che da chiedersi se il paese riuscirà a raccogliere l’urlo di cambiamento che arriva dalle piazze e che potrebbe essere uno dei passi decisivi verso una profonda e decisiva riflessione che vada a mettere in discussione e ribaltare caste e privilegi, sia di classe che di genere.
Per tutte le Damini.
Per tutte/i.
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