Tratto da
“Rinascita” 29 settembre 2012 -
Intervista a Yves
Bataille, geopolitico franco-serbo e attivista nazionaleuropeo impegnato
contro l’occupazione atlantica dell’Europa fa il punto sulle strategie
di dominio atlantiche oggi in Europa, dopo l’aggressione del 1999 a
Belgrado
D: Yves Bataille,
sono trascorsi oramai 13 anni dalla fine della guerra d’aggressione
della Nato alla Repubblica Serba. Il 24 marzo 1999 fu ordinato
d’iniziare i bombardamenti, un momento importante e tragico perché era
la prima volta dalla fine del Secondo Conflitto Mondiale che la guerra
si riaffacciava nel cuore dell’Europa, questa volta mascherata da “volto
umanitario” dalle Potenze Occidentali. Ci vuole illustrare le cause che
portarono allora all’aggressione di uno Stato sovrano da parte della più
forte alleanza militare d’oggi?
R: Sì, era la prima volta dalla seconda guerra mondiale che un paese europeo veniva bombardato da un esercito di una coalizione. Naturalmente le ragioni di questo attacco erano false. Dopo aver aiutato le forze separatiste in Krajina e della Bosnia, l’Occidente con la scusa di evitare una “catastrofe umanitaria” in Kosovo è intervenuto. I 78 giorni di bombardamenti sono la prosecuzione dell’ aggressione iniziato nel 1991. Come primo passo, i paesi dell’Organizzazione del Trattato Nord Atlantico (Nato) hanno stretto la Jugoslavia e in un secondo tempo si sono portati via il suo cuore, ovvero la Serbia che è la componente principale e la sua armatura centrale.
Le vere ragioni dell’attacco sono numerose. Dopo il crollo dell’Unione Sovietica e la riunificazione della Germania, è stato necessario rimuovere il modello originale di Jugoslavia, che aveva due caratteristiche: autonomia e neutralità. La Jugoslavia era “tra Oriente e Occidente”. Come “Est” non esiste più perché è stata invasa dall’Ovest. Gli Anglo-Sassoni hanno voluto introdurre il loro “libero mercato”. La Nato ha voluto estendere ulteriormente il suo controllo al territorio lasciato libero da parte dell’Unione Sovietica nei paesi ex Patto di Varsavia. Co-fondatore del Movimento dei Paesi Non Allineati, la Jugoslavia doveva non solo scomparire, ma servire come banco di prova per le future guerre.
Nel 1990 una relazione della Cia prevedeva il crollo della Federazione. Nel novembre dello stesso anno, il Congresso degli Stati Uniti aboliva i prestiti alla Jugoslavia fino a che le elezioni si sarebbero svolte separatamente in ogni repubblica. Ciò ha contribuito a peggiorare i già difficili antagonismi socio-economici ed etnici che stavano riemergendo. Nel 1986, il Memorandum dell’Accademia Serba delle Scienze e delle Arti (Sanu) richiamava l’attenzione sulle difficoltà dei serbi della Repubblica di Serbia a vivere nella Federazione. Falsamente presentato dalla stampa occidentale come un manifesto del nazionalismo serbo, è servito ad inventare l’esistenza di un piano serbo per “conquistare la Jugoslavia.” I n realtà coloro che volevano conquistare la Jugoslavia erano gli occidentali.
Per i centri
finanziari di Washington, Londra, Bruxelles e Berlino, il presidente
serbo Slobodan Milošević era un “dittatore” che si era opposto alla
riforma del Fondo monetario internazionale (FMI) e della Banca mondiale,
impedendo il cosiddetto libero scambio (“libero mercato”). Nel suo
grande discorso a Gazimestan sulla scena della battaglia di Kosovo Polje
nel 1989, davanti a un milione di persone, era stato presentato dagli
occidentali come il punto di partenza di un viaggio verso una Grande
Serbia, un pericolo per le altre repubbliche. Il moto rotatorio
instaurato a Belgrado dopo la morte del maresciallo Tito, doveva essere
utile nelle mani dei sostenitori delle varie repubbliche che
rappresentavano la Serbia come il pericolo. La verità è che i serbi sono
una memoria vivente e hanno una capacità militare riconosciuta, un vero
ostacolo alla formazione di un nuovo “Drang nach Osten” Marcia ad Est.
Pur essendo un
esercito in gran parte obsoleto, l’Armata Popolare Jugoslava (Jna) era
una forza in grado di svolgere una resistenza nazionale sviluppato sulla
base della “Dottrina della Difesa Popolare”. La gran parte dei soldati
di leva erano serbi dal momento che rappresentavano la maggioranza della
popolazione della Federazione. L’esercito jugoslavo però doveva essere
descritto come un esercito di conquista, il popolo serbo e i suoi capi
criminalizzati e collettivamente demonizzati. Tutte le tecniche di
propaganda dei media sono stati usate per questo scopo aizzando contro
la Serbia i gruppi etnici delle componenti periferiche della Federazione
jugoslava.
Gli Ustascia, la Divisione Handschar, Balli Kombëtar, sono stati presentati come sue “vittime”. Ma in Krajina, Bosnia o in Kosovo, decine di migliaia di morti e la pulizia etnica di centinaia di migliaia di serbi ha distrutto questa favola. La guerra in Jugoslavia è stata una guerra di distruzione della Jugoslavia, una guerra di aggressione contro la Serbia e la guerra contro l’Europa geopolitica.
D: La Nato ha
sempre giustificato il suo intervento per fermare i massacri etnici a
danno della popolazione kossovara a causa delle Forze Armate di
Belgrado, un’ingerenza umanitaria che si è ripetuta recentemente con la
Libia di Gheddafi, dove il Kosovo per la tradizione serba è la culla
della propria storia centenaria. Si volle a tutti costi creare un Kosovo
“indipendente” sulla base, si è sempre sostenuto, degli accordi di
Rambouillet, in conformità al Diritto Internazionale e alla Carta delle
Nazioni Unite, ecc. ecc. Qual è la sua opinione al riguardo? Vogliamo
parlare della pulizia etnica operata nei confronti sei serbi del Kosovo?
R: La denuncia di un massacro è una ricetta che si è dimostrata vincente. Nel loro libro “War and Anti-War“ (“Guerra e Contro Guerra, sopravvivere al XXI secolo“), di Alvin e Heidi Toffler, essi evidenziano che è un requisito indispensabile per l’avvio di qualsiasi guerra. Questo permette di ottenere il sostegno del pubblico e fornisce una motivazione per le spedizioni militari. Questa idea non era nuova, ma è diventata sempre più importante con lo sviluppo dei mezzi di comunicazione e di influenza moderna.
La guerra contro i
serbi è da prendere come esempio, perché anticipava i successivi
attacchi di Paesi della Nato nei confronti degli Stati indipendenti e
sovrani. La Jugoslavia ha sempre portato come modello questo massacro,
che poi è stato attuato in Libia per la guerra contro Gheddafi, e ora lo
si sta utilizzando contro la Siria. Gli attacchi a Sarajevo, il
“massacro” di Srebrenica in Bosnia e il Racak in Kosovo hanno preceduto
di poco le nuove azioni della “comunità internazionale”, giustificando
così gli incontri drammatici delle Nazioni Unite, le sanzioni, gli
embarghi, i bombardamenti, e il rinvio alla Corte Penale Internazionale
– Icc. Reale o percepito, l’attacco o la strage pubblicizzata serve
sempre a scatenare i mezzi di comunicazione, passando poi alle
testimonianze di Ong ad hoc e mobilitare gli ‘opinion leader’.
Quando si studia la cronologia degli eventi che vediamo, la questione del Kosovo è stata sull’agenda degli Stati Uniti fin dall’inizio della guerra, ma è stata tenuta in riserva. Nel 1992, il Congresso degli Stati Uniti ha preso una posizione per la minoranza albanese e ha annunciato l’intervento di Washington nella regione autonoma. Dopo il conflitto di Krajina e della Bosnia, il ministro degli Esteri tedesco, Klaus Kinkel, atlantista, ha annunciato pubblicamente che la questione del Kosovo non sarebbe rimasta un affare interno della Serbia.
Sappiamo che il
risultato è stato la creazione di un movimento di mercenari reclutati
localmente e all’estero e l’organizzazione di una conferenza
internazionale in un Paese con l’obiettivo di imporre un diktat. Il
Consigliere Speciale dei separatisti della delegazione albanese a
Rambouillet non era altro che Morton Abramowitz, l’uomo che nel
Dipartimento di Stato si occupava di operazioni segrete durante la
guerra in Afghanistan, avendo a suo tempo fornito i famosi missili
terra-aria Stinger ai mujahidin legati a Bin Laden. Quella guerra venne
definita da Zbigniew Brzezinski come una guerra per smantellare l’Unione
Sovietica, e i volontari islamici che credono nel Jihad sono la punta di
diamante di tutte le guerre americane con il supporto delle monarchie
arabe.
La messa in scena
del cosiddetto “massacro di Racak” (15 gennaio 1999) dove avevamo solo
raccolto i corpi sparsi di membri dell’Uck, poi rivestiti facendo
credere in un massacro di poveri contadini albanesi, è stata utilizzata
per dare il via libera al bombardamento della Nato. Un ruolo in tutta
questa messa in scena lo hanno avuto gli “Osservatori” dell’
Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (Osce) e il
loro capo, l’americano William Walker, già della Scuola delle Americhe
(Soa) e implicato negli squadroni della morte in El Salvador, il quale
ha seguito personalmente la messa in scena. Successivamente sono seguiti
quasi tre mesi di bombardamenti indiscriminati, l’ingresso delle forze
Nato in Kosovo e la pulizia etnica dei serbi. Le “catastrofi umanitarie”
albanesi erano solo una farsa.
D: La Nato
condusse allora una campagna militare essenzialmente aerea - Operazione
Allied Force – durata 77 giorni e terminata il 10 giugno 1999, arrivando
a 38 mila missioni in totale, in questo non facendo alcuna differenza
tra obiettivi militari e civili, una copia di quello già visto sulla
Germania durante la II Guerra Mondiale, usare il terrore delle bombe per
cercare di piegare un popolo.
In che misura questo riuscì in Serbia?
R: La differenza con i bombardamenti sulla Germania è stata l’evoluzione della tecnologia. Nelle operazioni in corso non sono più i bombardamenti a tappeto, ma gli ‘attacchi chirurgici‘. Bombe e missili hanno una maggiore precisione e grande capacità di distruzione. Un missile è sufficiente per far saltare un grande edificio. Ho vissuto i bombardamenti della Nato. La reazione del popolo serbo è stata esemplare. Dopo il primo momento di incertezza, i serbi si comportava come se nulla fosse accaduto. Il ricorso ai rifugi è diminuito nel corso del tempo e la gente ha cominciato a ballare e cantare sotto le bombe. L’Esercito e la Milizia hanno usato una tattica che si è rivelata molto efficace per evitare di essere colpiti, hanno evacuato le caserme e sono stati suddivisi in piccole unità ad alta mobilità, per cui i bombardamenti hanno avuto poco effetto. Nonostante non fosse modernissima, la Difesa Antiaerea (Pvo) aveva costretto gli aerei nemici a non volare al di sotto dei 5000 metri. I radar montati su vecchi camion sovietici dopo aver agganciato gli aerei della Nato e consentito alla contraerea di aprire il fuoco, in tre minuti potevano cambiare la loro posizione per evitare di essere distrutti dai missili antiradar. Ci sono state poche vittime e gli accordi militari dopo Kumanovo (9 giugno 1999) l’Armata serba del Kosovo si ritirò in buon ordine, con quasi tutto il materiale, al contrario dei civili che hanno dovuto pagare un prezzo molto alto. Si parla di almeno 3.500 morti e non 500 come sostenuto da “Amnesty International”. ‘ Solo?”, affermano alcuni, come i soliti sostenitori della “guerra umanitaria” che a loro dire è una guerra pulita (?) che salva le persone. Missili e bombe a guida laser sono certamente molto accurati, ma non sempre funzionano bene e sono a volte deviati dal loro percorso. Si deve aggiungere che questo dato non tiene conto delle migliaia di altre vittime degli effetti dei bombardamenti (o decine di migliaia di serbi uccisi prima e/o dopo il bombardamento da parte della forze Nato in Krajina, Bosnia e in Kosovo).
Va ricordato l’uso
di proiettili all’uranio impoverito e l’inquinamento derivante dalla
distruzione (volontaria) d’impianti petrolchimici, i cui veleni si sono
riversati nell’atmosfera. Esiste una correlazione tra i luoghi più
bombardati e i tumori.
Specialisti
dell’Accademia Militare di Medicina (Vma), mi hanno riferito dell’uso in
cinque diverse località del paese di armi batteriologiche, ma
l’Ambasciata degli Stati Uniti ha chiesto al governo serbo di
distruggere questo file… Le perdite della Nato sono difficili da
stabilire, anche se la Nato ha detto che non ne ha avute, ma vi sono
state. Decine di armamenti (elicotteri, aerei e Uav) sono stati
distrutti e le forze speciali inglesi e americane che appoggiavano le
milizie del “Kosovo-Liberation Army” hanno perso numerosi uomini.
Operazioni dell’aviazione serba hanno distrutto decine di aerei a terra
degli americani a Tuzla (Bosnia) e Tirana (Albania).
D: In un lucido
saggio, dal titolo “La Giustizia dei Vincitori”, Danilo Zolo analizza il
vero volto delle “Humanitarian Intervention”, che sono presenti nei
documenti preparati dalle massime autorità statunitensi, sia politiche
sia militari a partire dal 1980. Proprio George Bush nel 1990, in un suo
discorso nel Colorado, parlò delle linee guida di un programma di
pacificazione del mondo denominato “New World Order”; successivamente
tale progetto venne perfezionato con la direttiva “National Security
Strategy of the United States“ e ulteriormente sviluppato nel “Defence
Planning Guidance”. La stessa Nato doveva trasformarsi da sistema
integrato difensivo contro il Patto di Varsavia in braccio armato per i
nuovi interventi, come fu presentata al Vertice di Roma del 1991 la “New
strategic concept”. Dott. Batj lei che ne pensa, anche alla luce di
quanto sta accadendo in Siria in questi giorni?
R: Io dico: E’ il partito che controlla la pistola. L’esercito è solo l’esecutore. Per imporre il “nuovo ordine mondiale” è stata elaborata una dottrina. Questa è la “Casa del Nuovo Ordine Mondiale.” “R2P” Responsibility to Protect è un’iniziativa delle Nazioni Unite (istituita nel 2005 si basa sull’idea che la sovranità non è un diritto, ma una responsabilità e si sviluppa nella prevenzione di genocidi, crimini contro l’umanità, crimini di guerra ed etnici), in realtà è solo una maschera che rende l’aggressore virtuoso, il trucco delle Nazioni Unite imposto dagli Anglo-Sassoni e dalla struttura globalista di Morton Abramowitz, ex ambasciatore degli Stati Uniti in Turchia, fondatore di International Crisis Group (Icg).
Si possono così
presentare come aggressione “umanitaria” dello Zio Sam le spedizioni
militari della sua fanteria coloniale. R2P è stata la bandiera agitata
contro la Jugoslavia sotto il nome di “giusto” o “dovere di intervenire“
da Bernard Kouchner, il primo rappresentante delle Nazioni Unite come
forza di occupazione. Inoltre, non è un caso che la compagna di
Kouchner, Christine Ockrent, fosse la rappresentante della Francia per
l’ICG o se Martti Ahtisaari, l’editore della separazione del Kosovo,
apparteneva anche lui a questa struttura. Personaggi chiave del
dispositivo collegato a “Human Rights Watch” (Hrw) e all’”International
Crisis Group” (Icg), Gareth Evans (ex ministro degli Esteri
australiano), Lee Hamilton (ex Alto Commissario per i diritti umani alle
Nazioni Unite), David Hamburg (della Fondazione Carnegie), James Traub
(del Council on Foreign Relations). Tutti appartengono al Global Centre
for the Responsability to Protect. Questo chiamiamolo pure club
anglosassone, al servizio del Anglosfera imperialista che ha imposto R2P
presso le Nazioni Unite. Tutte queste persone difendono il cosiddetto
“diritto internazionale”, che è una loro interpretazione del diritto e
si applica solo in certi luoghi e non in altri. Dopo tre mesi di
bombardamenti i serbi avevano accettato la risoluzione 1244 dell’ONU che
prevedeva che il Kosovo rimanesse alla Serbia attraverso un “ampia
autonomia”. La “comunità internazionale” con Morton Abramowitz ha
violato tali accordi con la concessione dell’indipendenza all’entità
shiptar (albanesi).
Spinto da una
mentalità messianica, questo piccolo gruppo causa le guerre e la
distruzione degli Stati indipendenti e sovrani, per imporre quello che
loro chiamava la “governance globale”. Nel 1992, il diplomatico
americano Strobe Talbott ha riassunto l’idea: “la sovranità nazionale è
al termine, erosa pezzo per pezzo, in modo più efficace del vecchio
attacco frontale” [...] “la nazionalità sarà obsoleta e tutti gli Stati
riconosceranno un’unica autorità globale”.
Il termine “cittadino del
mondo assumerà poi il suo vero significato.”
Ecco le guerre del quarto
di secolo per soddisfare questa “agenda”.
D: Uno sguardo
alla Serbia di oggi del neopresidente Tomislav Nikolić, che è subentrato
a Boris Tadić. Come giudica il mandato di Tadic e invece quali
prospettive si possono aprire per Belgrado con Nikolić, sarà anche lui
un fautore dell’integrazione europea ? E nei riguardi del problema
Kosovo che farà il nuovo esecutivo e qual è il sentire del popolo serbo
nei riguardi dell’Ue?
R: La posizione del nuovo presidente serbo è quello di una linea tra due linee. Sì all’integrazione europea e un buon accordo di cooperazione con la Russia. Questa posizione è vista con antipatia dagli ambienti atlantici che temono un riavvicinamento con Mosca. Con l’ex presidente Tadić, Washington e Bruxelles erano sicuri di inserire in un modo o in un altro ambito la Serbia nella sfera “euro-atlantica”. Facendo agire in sinergia questi due centri con la speranza poi di arrivare al riconoscimento dell’”indipendenza” del Kosovo.
Se ci fosse un
avvicinamento tra Belgrado e Mosca tutto ciò diverrebbe molto più
difficile. Indice di questo nervosismo è stato il violento attacco a
mezzo stampa di un certo Michael Morgan dal titolo: “Serbia, lo Stato
fantoccio russo nei Balcani”, un articolo pubblicato dalla struttura
separatista Slobodna Vojvodina. Dalla scissione del Partito radicale
serbo (Srs), il Partito Progressista Serbo (Sns) ha beneficiato di
risorse molto ingenti per la campagna elettorale, almeno pari a quelle
del Partito Democratico (Ds) di Boris Tadić.
E’ stata
abbastanza sorprendente questa affermazione, dato che la sua nascita era
recente. Si dice nei media che la Russia ha partecipato al finanziamento
di questa campagna. Vero o falso, gli occidentali non possono lamentarsi
perché hanno finanziato il Partito Democratico e una miriade di
organizzazioni non governative che hanno a suo tempo fatto l’opposizione
a Milosevic. La “Fondazione Soros”, il “National Endowment for
Democracy” e l’ “Usaid” hanno creato una rete di associazioni e Ong che
ricevono ingenti finanziamenti.
Nella composizione
del nuovo governo vi è stata la nomina di un ultra-liberale caduto in
disgrazia sotto Tadić, Mladjan Dinkic, al Ministero dell’economia e un
riallineamento dei socialisti al nuovo regime – che “socialisti non
sono” come mi ha detto a Belgrado l’ex ministro francese della Difesa
Chevènement – e si pone quindi la questione del compromesso e/o del
calcolo. A parte il fatto che molti settori dell’opposizione nazionale
ritengono che i capi del nuovo regime, Nikolić e Vucic, hanno tradito
Vojislav Seselj, il leader radicale imprigionato a L’Aia, per creare con
l’appoggio americano-occidentale un partito sul modello di “Alleanza
Nazionale” in Italia. Abbiamo così a che fare con dei nazionalisti
moderati ansiosi di risparmiare l’Occidente, una mossa destinata a
proteggere il nemico e dare tempo, o facendo il doppio gioco. Il futuro
lo dirà…
D: La Russia
considerata potenzialmente la nazione più vicina alla Repubblica Serba
che ruolo ha giocato fino ad oggi?
Il ritorno di Vladimir Putin com’è
visto a Belgrado?
R: L’Occidente ha sfruttato la momentanea scomparsa della Russia dalla scena, per attaccare la Serbia con gli effetti che conosciamo. La successione di Vladimir Putin ha avuto luogo quando il gioco per la Jugoslavia era già iniziato e la disgregazione territoriale della Serbia in fase di attuazione. In Bosnia e Kosovo i volontari russi hanno combattuto con i serbi durante la guerra, ma erano iniziative individuali o di gruppi. Il ritorno di Putin al potere è stato ben visto a Belgrado, dove molti intravedono una futura alleanza con la Russia per assicurare l’indipendenza e la sicurezza nazionale. La forza dei filo-russi è dimostrata dal gran numero di associazioni serbo-russe. La cooperazione tecnica militare era già stata sviluppata sotto il precedente regime e i russi l’hanno allargata nell’ambito di una base per le emergenze di protezione civile vicino a Nis, base facilmente convertibile in militare dicono gli analisti occidentali. Quest’ultima non è lontana dal campo base statunitense Bondsteel in Kosovo.
La Serbia è
diventata anche un importante collegamento – di ben 450 km – per la
geopolitica del gas russo alla rete South Stream. È stato costruito a
Banatski Dvor, in Vojvodina, un grande serbatoio in grado di contenere
300 milioni m3 di gas, che può fornirlo ai paesi dell’Europa occidentale
per un certo periodo: la Serbia ne controllerà il rubinetto. Sembra che
ci sarà un’intensificazione della cooperazione tra i due paesi, e alcuni
addirittura parlano di una possibile integrazione della Serbia
nell’Unione Eurasiatica di Vladimir Putin.
D: Qual è
l’attuale situazione dal punto di vista geopolitico dei Balcani, dopo lo
smembramento della Jugoslavia?
R: Il campo di battaglia di ieri della Jugoslavia è ora uno spazio frammentato territorialmente. Sei entità teoriche giocano la commedia dell’indipendenza. Nella ex repubbliche di Jugoslavia gli “Stati” hanno perso il controllo delle loro risorse, e l’agricoltura e i settori industriali sono stati venduti a un prezzo ridicolo agli interessi stranieri grazie alle privatizzazioni. Le banche jugoslave sono stati comperate da banche estere, alcune acque minerali della Serbia e le piante di tabacco sono in mano alla “Coca Cola” e alla “British American Tobacco”. La Dalmazia ha perso alcune delle sue isole vendute al miglior offerente. Costruita dal consorzio americano-turco Bechtel-Enka, l’autostrada Zagabria Adriatico è costata tre volte di più rispetto alla stima iniziale. Come già avvenuto nella Repubblica Ceca e in Polonia, i tedeschi hanno comprato le società dei grandi mezzi di comunicazione. Il resto è sotto il controllo degli americani, mentre i francesi controllano l’industria del cemento con Lafarge. Gli Stati Uniti inoltre controllano l’acciaio serbo e i vari supermercati sono di proprietà straniera. La Navigazione sul Danubio si è ridotta notevolmente, e la Slovenia e la Croazia non hanno più l’autosufficienza alimentare e devono importare il cibo da Germania e Austria. Il Montenegro, dove c’è il filo-occidentale Milo Djukanovic, è diventato la ventesima fortuna nel mondo, quasi tutto è stato venduto all’estero.
La Serba Zastava
auto è scomparsa a favore della Fiat, mentre gli amici di George Soros
con le miniere di Trpca in Kosovo hanno ingaggiato una battaglia legale
per sfruttarle. Lo spazio jugoslavo ha subito il furto e il saccheggio.
Al posto di un ex stato sovrano federale ci sono dei mini
stati–fantoccio che giocano la commedia dell’indipendenza, con la sola
eccezione della Serbia. Nonostante la rimozione di Slobodan Milošević,
nonostante il disastroso periodo di “transizione democratica” a tutti i
livelli (non dimentichiamo la consegna dei patrioti al Tribunale
dell’Aia), lo Stato serbo ha mantenuto una forte identità e una capacità
di resistenza elevati. Così non è entrato nella Nato, nonostante la
“transizione democratica”, e continua a resistere in Bosnia e in Kosovo
… E la Republika Srpska in Bosnia non sarà sepolta in un ente dominato
dai musulmani e un giorno vorrà riunirsi alla Repubblica di Serbia.
In
Kosovo nel Nord vi sono le barricate che esprimono il rifiuto serbo di
cedere al potere dei leader albanesi arrivati
con
la Nato. Questo tipo di resistenza senza leader, al di fuori e al di
sopra delle parti, è un modello nel suo genere e la barricata di
Kosovska Mitrovica – Ponte sul fiume Ibar, è sorvegliata giorno e notte
dai volontari, è un simbolo che la Nato non può accettare e l’attacca
cercando di rimuoverla.
D: Infine i
rapporti Italia Serbia, che hanno toccano il livello più basso dopo il
via libera dato dal governo D’Alema agli aerei Nato della base di Aviano
e aerei dell’AMI sono stati impegnati in operazioni belliche.
Ora al
governo c’è Monti uomo della Goldman Sachs, che ne pensa?
R: D’Alema o Monti, credo che per i serbi non faccia troppa differenza.
E’
noto in Serbia come i primi aerei Nato per i bombardamenti, esclusi i
missili da crociera sulle navi, siano partiti dall’Italia. Ma questo è
secondario, perché tutta l’Europa occidentale è considerata una base
Usa. Tuttavia, gli italiani sono visti ancora positivamente. Durante la
seconda guerra mondiale l’occupazione italiana di una parte della
Jugoslavia non ha lasciato troppi brutti ricordi. All’inizio della
guerra (il 1990), Seselj ha chiesto una “frontiera comune con l’Italia”
sul lato della Krajina Knin e la Dalmazia!
A differenza degli “alleati”,
l’Italia non ha chiuso la sua ambasciata durante i bombardamenti della
Nato.
Si è rinnovato il
legame con la Fiat a Kragujevac, mentre la Peugeot voleva subentrare
alla Zastava Fiat, ma alla fine ha vinto il gruppo di Torino.
Il
comportamento del governo francese è così vile che tutti i prodotti
francesi ne subiscono le conseguenze. Presto la Francia produrrà ed
esporterà “i diritti umani”.
Gli italiani hanno anche costruito un
grande ponte sulla Sava, affluente del Danubio a Belgrado, anche se si
parla di una tangente di grandi dimensioni sotto il precedente regime.
Nessun commento:
Posta un commento