Comunicato di pubblica resistenza al DDL intercettazioni

Gentile Onorevole Presidente del Consiglio dei Ministri Silvio Berlusconi, in questi giorni, in queste ore, il Parlamento della Repubblica Italiana è impegnato in una corsa contro il tempo per una più che rapida approvazione del disegno di legge firmato dall'Onorevole Ministro della Giustizia Angelino Alfano e noto come "ddl intercettazioni".

Il provvedimento rappresenta una delle più drastiche limitazioni al potere d'indagine che compete ai magistrati inquirenti del nostro paese e, al contempo, la più dura, feroce e devastante limitazione al diritto costituzionale di informazione; il diritto di farla e il diritto di riceverla.

Il progetto di legge, per mezzo dei suoi punti fondanti, impedisce il racconto giornalistico su fatti giudiziari di pubblico dominio e privi di segreto, stabilisce pene detentive e pecuniarie pesantissime verso chiunque osi divulgare verità giudiziarie, introduce nuovi obblighi di rettifica per i blog minandone la sopravvivenza, trasforma in crimine il diritto dei cittadini vittime di crimini di raccogliere prove audio e video a dimostrazione del reato e stabilisce odiose discriminazioni tra forme di giornalismo, all'interno di una drammatica limitazione del diritto ad effettuare inchieste giornalistiche.

Il diritto all'informazione nelle sue forme più elementari, il principio di legalità e la ricerca della giustizia vengono totalmente smantellati da tale provvedimento.

Pertanto questo sito internet dichiara sin da adesso che, per imprescindibili motivi etici e in ragione della difesa del diritto alla libertà di parola e di stampa, solennemente sancito dalla Costituzione italiana e dalle leggi vigenti, in caso di approvazione in via definitiva e di conversione in legge, non potrà attenersi in alcun modo alle norme che compongono il disegno di legge sulle intercettazioni.

Questo sito si dichiara altresì .. per imprescindibili motivi sia etici che politici .. deberlusconizzato .. demontizzato .. degrillizzato

sabato 24 novembre 2012

Gaza non crede alla fine del blocco

venerdì 23 novembre 2012 07:53
 
Anche se un po' tutti inneggiano al presidente egiziano Morsi, mediatore del cessate il fuoco con Israele, pochi credono che stia per terminare l'isolamento di Gaza
 
 di Michele Giorgio

Rafah (Gaza), 23 novembre 2012, Nena News - Solo una bomba ad alto potenziale poteva aprire un cratere così profondo. Un jet israeliano l'ha sganciata l'altra sera, poco prima dell'inizio del cessate il fuoco con Hamas.

Giù in basso si intravede ciò che resta dell'ingresso di un tunnel sotterraneo che arriva dall'altra parte del confine, in Egitto.
Il figlio di Abu Raed, uno dei 18 «gestori» della galleria, si affanna a capire se è andato tutto perduto. 
«Papà, niente da fare. E' crollato tutto».  Abu Raed scuote la testa. 

«Sapete quanto è costato quel tunnel?  Ben 200mila dollari tirati fuori da 50 famiglie palestinesi.  Adesso come mangeremo?». 

A Gaza si celebrava ieri la «vittoria» su Israele, ma qui sulla frontiera tra Gaza ed Egitto, a poche centinaia di metri dal posto di blocco della polizia di Hamas che da accesso al terminal di Rafah, sono in molti a piangere. 

I raid aerei hanno ripetutamente preso di mira i tunnel usati dai palestinesi per i traffici clandestini, gettando nella disperazione centinaia di famiglie di Rafah che vivono del contrabbando con l'Egitto.

Per Israele da queste gallerie sotterranee entrano le armi, missili compresi, per i gruppi militanti palestinesi, a cominciare dalle Brigate Ezzedin al Qassam che nei giorni scorsi hanno lanciato razzi M 75 e Fajr 5 che hanno lambito Tel Aviv e Gerusalemme. 

In realtà gran parte dei tunnel servono a far entrare a Gaza merci di ogni tipo, quanto serve per aggirare, almeno in parte, il blocco israeliano e tenere la Striscia in linea di galleggiamento

«Non cambierà nulla - ci dice Abu Raed - le gallerie non chiuderanno mai, perchè gli egiziani non apriranno mai Rafah al passaggio delle merci». 
Poi aggiunge «La nostra attività è solo commerciale», riferendosi all'accusa di Israele.  Che da questo tunnel non passino armi è possibile, perchè intorno non ci sono agenti della sicurezza di Hamas, che abitualmente presidiano le gallerie «militari», come le chiamano da queste parti.

Abu Raed indirettamente rispondere all'interrogativo che si pongono un po' tutti i palestinesi della Striscia: 

  • l'accordo di tregua tra Israele e Hamas porterà ad un cambiamento radicale della condizione di Gaza? 
  • Riapriranno i valichi di frontiera con Israele e con l'Egitto? 

Pochi credono che Israele allenterà il blocco attuato dal 2007.
E non molta fiducia viene riposta anche nelle «nuove» autorità egiziane che più volte hanno promesso «cambiamenti radicali» verso i «fratelli palestinesi», per poi fare marcia indietro.

Ieri le bandiere verdi di Hamas, nere del Jihad e anche quelle gialle dei rivali di Fatah, venivano portate in giro in segno di trionfo dalla schiera di improbabili moticiclisti che affollano le strade di Gaza, per rimarcare «la vittoria della resistenza» sulle potenti forze armate di Israele, sancita dalla «giornata di festa» proclamata dal governo di Ismail Haniyeh.

Oltre alla retorica di guerra e alla fine dei bombardamenti aerei,
i palestinesi di Gaza hanno capito piuttosto in fretta che l'intesa raggiunta al Cairo che tanto ha impegnato il presidente Morsy non è destinata a trasformare radicalmente la condizione del milione e settecentomila abitanti della Striscia sotto assedio da cinque anni.

D'altronde su questo l'accordo di cessate il fuoco è molto vago.
I suoi punti principali stabiliscono:  Israele deve fermare tutti gli attacchi alla terra, il mare e il cielo di Gaza;  Tutte le fazioni palestinesi devono fermare gli attacchi dalla Striscia verso Israele, compresi il lancio di missili e attacchi al confine;  Apertura dei valichi e facilitazione del movimento delle persone e del trasferimento di beni, riduzione delle restrizioni al movimento dei residenti e attacchi ai residenti nelle aree di confine.

Gli ultimi due punti sono i più importanti per i civili di Gaza ma vanno verificati sul terreno.  Mentre ieri il premier di Hamas Haniyeh invitata (di fatto intimava) a tutte le fazioni armate palestinesi di non aprire il fuoco contro Israele e di rispettare la tregua, il governo Netanyahu non ha tardato a lasciar trapelare che l'allentamento di certe misure è possibile - oggi, ad esempio, i pescatori palestinesi andranno oltre il limite delle 3 miglia marittime imposte per anni dalla Marina israeliana, sulla base di assicurazioni ricevute ieri da Tel Aviv - ma l'assedio rimane.

A cominciare dalla gestione dei valichi e dal blocco navale di Gaza, che resterà inaccessibile del mare.  Allo stesso tempo è improbabile che il Cairo consenta l'ingresso di merci a Gaza attraverso il terminal di Rafah, stracciando gli accordi che ha sottoscritto nel 2005 con Israele, Stati Uniti ed Europa.  Il traffico commerciale continuerà per il valico israeliano di Kerem Shalom.

«Il cessate il fuoco da solo non è sufficiente» ha avvertito Martin Hartberg, portavoce di Oxfam, importante Ong internazionale con molti progetti nei Territori occupati palestinesi. 

«Da cinque anni Gaza è soggetta a un blocco paralizzante che ha limitato le importazioni e le esportazioni e ha distrutto la sua economia.

Da quando il blocco di Gaza è iniziato, un terzo delle imprese di Gaza hanno chiuso e l'80 per cento della popolazione ha ora bisogno di aiuto per farcela», ha proseguito Hartberg, esortando la comunità internazionale «ad essere coraggiosa» perchè «se il blocco di Gaza continuerà e i palestinesi di Gaza e della Cisgiordania rimarranno separati e sarà impossibile raggiungere una soluzione» del conflitto.

Proprio da Ramallah, in Cisgiordania, il presidente dell'Anp e leader di al Fatah, Abu Mazen, ha fatto le congratulazioni al premier di Hamas Haniyeh per la sua "vittoria" su Israele.  Abu Mazen nei giorni scorsi ha riaffermato la volontà di presentare alle Nazioni Unite, il 29 novembre, la richiesta di adesione dello Stato di Palestina, a dispetto dell'opposizione di Israele e degli Stati Uniti.


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