Il 14
novembre ci consegna un dato importante, da analizzare con attenzione
perché ci parla di quella che è oggi l’Italia del conflitto, e il 16 novembre,
tra due giorni, di nuovo il meridione sarà attraversato dalla
mobilitazione contro la crisi. C’è infatti una totale separazione tra
sindacato e pratica effettiva dello sciopero. Chiunque lavori nei
settori dove la Cgil è presente sa quanto i funzionari sindacali siano
stati attenti a minimizzare la portata di questa giornata tra i
lavoratori, e i risultati, in molti casi – quanto ad astensione
effettiva dal lavoro e numeri degli spezzoni sindacali – si sono visti.
L’Italia non si è fermata come la Spagna, ed è stato necessario il
protagonismo dei giovani studenti e precari (che in molti casi tutele
sindacali non ne hanno) per portare la giornata a un’altezza europea.
Il
sindacato ha passato anni e anni a sabotare con metodo la pratica dello
sciopero come strumento di riappropriazione, rifiuto e lotta, imponendo
a ripetizione scioperi di due, quattro o addirittura di un’ora, e
quindi depotenziando un simile strumento di rottura sociale fino a
renderlo mero strumento di “rappresentanza” statistica attorno a una
vertenza, e per questa via assimilandolo a ciò che dello sciopero è
l’esatto contrario, ossia il voto. Gli scioperi rituali degli ultimi
anni sono stati forme malintese di espressione disciplinata del
dissenso verso le politiche governative, sempre in vista di un tavolo a
cui i sindacati avrebbero dovuto sedersi , e non certo più forti per
aver portato in piazza qualche migliaio di lavoratori e qualche
pensionato affezionato, ma per il fatto di partecipare a riunioni tra
pari, cioè tra membri indispensabili della casta. Già, perché la casta
ha disperato bisogno del sindacato concertativo di stato, e soprattutto
di una finzione di sciopero, affinché le masse atomizzate possano
ingannarsi (in modo del tutto analogo a quanto accade con il voto,
appunto) circa il loro peso nei processi politici.
A
questa tendenza si oppone concretamente, e di fatto, la composizione
sociale studentesca e precaria che non ha semplicemente partecipato
allo sciopero del #14N, né l’ha propriamente egemonizzato, ma lo ha
letteralmente costituito, è stata lo sciopero, in tutto e per tutto.
Non soltanto per aver saputo esprimersi in cifre con quattro zeri in
tutte le principali città, ma per aver saputo sottrarre al controllo
dell’apparato dominante significativi segmenti delle aree urbane per
molte ore, e le loro appendici parassitarie del mondo istituzionale,
con riappropriazioni collettive a azioni dirette.
A
Roma, anzitutto – città dove per tantissimi anni, lo sappiamo bene,
sfidare la Questura è stato un tabù – gli studenti hanno imposto le
loro scelte di piazza con determinazione, come già era accaduto il 5
ottobre. S ul piano concreto si sono viste decine di migliaia di giovani
manifestare e poi resistere alle cariche sul Lungotevere, ma anche sul
piano simbolico – che è un piano del reale – le pratiche del conflitto
hanno prodotto degli effetti, e il nome di Roma è subito rimbalzato
all’estero con forza, sui media internazionali, assieme a quello di
Milano, dove gli studenti hanno sanzionato banche e università private,
e hanno sfidato i divieti della polizia a Porta Genova.
Anche
a Torino lo sciopero sociale ha totalmente surclassato il corteo della
Cgil, numericamente minoritario rispetto a quello studentesco e
precario. L’astensione dalla scuola e dal lavoro è stata occasione per
attraversare la città in lungo e in largo per occupare e danneggiare
sedi di apparati finanziari e di istituzioni politiche, sedi distaccate
di ministeri, fino alla riappropriazione di un ulteriore spazio
abitativo per gli studenti universitari e i borsisti, la Verdi 3.0. La
polizia si è mostrata del tutto incapace di gestire la situazione,
generalizzata tra Torino e la valle, dove il movimento No Tav si sta
opponendo alle trivellazioni di Susa e ha occupato autostrada e statali
la scorsa notte, e si sta scontrando con la polizia in questo momento
(sera del 14).
A Napoli, città
reduce da una giornata di rabbia contro i ministri del governo Monti, è
stata occupata la stazione, come a Palermo; a Bologna, a Genova, a
Catania, a Pisa, a Modena, a Bergamo la pratica dello sciopero
metropolitano ha paralizzato gli spostamenti e imposto centralità alla
rabbia sociale contro la crisi, riuscendo a trasformare un simulacro
vuoto – lo sciopero composto e politicamente militarizzato della Cgil –
in un dispositivo di accensione degli animi, di riappropriazione degli
spazi, di attacco contro i palazzi del potere (anche quando il
sindacato è il potere, come a Bologna dove è stata occupata la Cisl),
di resistenza contro i suoi apparati repressivi. Apparati violenti, ma
in palese crisi operativa in molte circostanze: se a Torino la sede
della provincia è stata invasa e saccheggiata da centinaia di persone
senza che le forze dell’ordine riuscissero a manifestarsi, dopo esser
state costrette alla ritirata già in due occasioni, i reparti celere a
Brescia e Roma si sono abbandonati alle consuete provocazioni, dalle
cariche a freddo alle violenze gratuite sui fermati.
Il
dato fondamentale del #14N italiano è insomma il seguente: dopo anni di
passività assoluta e di imbrigliamento politico delle forze sociali,
qualcosa si sta muovendo. In una sola giornata abbiamo dato l’assalto
alle nostre città ognuno con i propri mezzi, nei limiti delle
possibilità offerte dai contesti, ma l’abbiamo fatto con dei risultati.
Ciò è stato possibile perché sapevamo di essere tanti e in tanti luoghi
contemporaneamente, e tutti sapevamo che l’Italia giovane e precaria,
ovunque sia, lotta, non passeggia; sapevamo e sappiamo che in Italia
l’aria sta cambiando molto, troppo lentamente… ma sta cambiando.
E
tutti insieme abbiamo azzerato le disoneste messinscene delle
burocrazie sindacali con la nostra sola presenza nelle piazze, e
conquistato la scena politica ben al di là e oltre il dato spettacolare
che interessa a giornali e tv.
Una situazione trionfale?
No: un
minuscolo passo avanti nella trasformazione che dobbiamo compiere,
utile proprio perché ce ne aspettano mille altri.
Redazione Infoaut
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