ATTENZIONE, AVVISI PER TUTTA LA CITTADINANZA:
29-30 settembre, DISCAMPING AL VILLAGGIO ARDEATINO, via Ardeatina km 24,500. Per info clicca qui.
(Fonte articolo, clicca qui)
Errare humanum est, perseverare autem diabolicum.
E qualcosa di
diabolico certamente c’è in tutta la vicenda che riguarda i rifiuti
soprattutto quando la monnezza resta un «affare» per i «soliti», quelli
che hanno devastato il territorio campano ma che come per un
sortilegio, riescono sempre a farla franca in barba ad anni di
inchieste, proteste, promesse, impegni, rabbia e dolore.
Dolore si,
come quello tatuato sulla faccia dei tanti abitanti di Pianura le cui
famiglie sono state sterminata dal cancro e che vivono a pochi passi
dalla discarica di Contrada Pisani, la collina dei veleni d’Italia.
Nella videoinchiesta mostriamo dei documenti dai quali risulta che la
pubblica amministrazione e in particolare la Provincia di Napoli
guidata da Luigi Cesaro, ha continuato ad affidare la gestione dei
rifiuti agli stessi gruppi imprenditoriali che avevano contribuito ad
avvelenare Pianura.
Come? La Sapna, società soggetta al coordinamento e
al controllo dell’amministrazione provinciale di Napoli e tenuta alla
gestione del ciclo integrato dei rifiuti ha affidato una serie di
servizi per lo smaltimento dell’immondizia alla Cosmer con contratti
milionari. Cosa è la Cosmer? Basta fare una visura camerale o
semplicemente collegarsi al suo sito internet per scoprire che i soci
sono Salvatore, Giorgio, Luigi e Palma Di Francia. Gli stessi Di
Francia che per vent’anni hanno gestito la discarica di Pianura con la
Di. Fra. Bi. e successivamente con la Elekrica.
Non solo ma nella loro
società entra per fusione anche la Imas, una società che ha tra i
proprietari la famiglia Gaeta, anche lei presente nel gruppo che con i
Di Francia gestì la discarica di Pianura. «E’ assurdo che ci si
continui ad affidare a soggetti che per vent’anni hanno pensato solo i
loro interessi e hanno avvelenato la nostra terra facendole inghiottire
rifiuti tossici dalle industrie del nord Italia che per risparmiare
smaltivano illecitamente quì i loro liquami»– sbotta Giovanni
Copertino, legale dell’associazione ambientalista Oceanus e di molti
cittadini di Pianura, che assiste gratuitamente nel processo per
disastro ambientale ed epidemia colposa in cui sono costituiti parte
civile.
Inoltre la Di.Fra.Bi e la Elektrica, sono società colpite da
interdittive antimafia perché a rischio di infiltrazioni camorristiche.
Provvedimenti disposti dal gruppo interforze antimafia della Prefettura
con ricorsi a volte contrari altre volte favorevoli di Tar e Consiglio
di Stato. Società che quindi non potrebbero e non dovrebbero avere a
che fare con la pubblica amministrazione, soprattutto nel settore dei
rifiuti. Quanto meno per una questione di opportunità visto che i loro
soci hanno contribuito a scrivere una delle pagine più nere della
storia napoletana degli ultimi anni avvelenando o lasciando avvelenare
dalle industrie del nord Italia la collina di Contrada Pisani dove ora,
ogni giorno, si piangono morti per cancro e linfomi. Il direttore
tecnico della Sapna Giovanni Perillo però, ci spiega che non esistono
questioni di opportunità: «Noi applichiamo le norme, se la prefettura
ci segnala titolari di ditte con requisiti di non onorabilità allora
provvediamo ad escluderle altrimenti abbiamo il dovere di tutelare
anche i nostri contraenti». Da una perizia disposta dalla procura di
Napoli risulta che la Cosmer è stata addirittura preferita ad altre
ditte che, nella manifestazione di interesse, avevano fatto offerte più
vantaggiose.
Chi sono i Di Francia? Sono una famiglia dell’oligopolio
che di fatto esiste nel sistema rifiuti e che gestisce il business
attraverso il possesso di quote societarie, o un sistema di scatole
cinesi nella maggior parte delle aziende che si occupano di gestione,
trasporto smaltimento e controllo dell’immondizia. Il dato emerge dalle
relazioni delle varie commissioni parlamentari sul ciclo dei rifiuti ed
in maniera frastagliata, nelle tantissime inchieste della dda di Napoli
attraverso le dichiarazioni dei nuovi «imprenditori» pentiti. In
particolare nel rapporto della commissione Scalia, molto utilizzato
(anche recentemente) per gli accertamenti antimafia, viene evidenziata
l’esistenza di una holding attiva sul territorio nazionale sul ciclo
dei rifiuti, solidi urbani e speciali, che agirebbe in regime di
monopolio. «Secondo la mia esperienza – spiega Salvatore Carli,
consulente di varie procure, autore di saggi e membro dell’autorità
anticorruzione voluta dal sindaco di Napoli Luigi De Magistris – posso
dire che molte delle ditte che operano nel conferimento, smaltimento e
trasporto dei rifiuti sono le stesse di vent’anni fa, o meglio sono le
stesse compagini societarie che però nel frattempo hanno cambiato nome
o ragione sociale o hanno lasciato spazio ai nuovi rampolli di
famiglia».
Tra le varie società in cui è possibile rintracciare questo
cognome c’è la Sistemi Ambientali di cui Giorgio Di Francia è stato
amministratore delegato. La Sistemi Ambientali Srl è la società che ha
gestito per anni e fino al 1993 la tristemente nota discarica di
Pitelli di La Spezia, protagonista di inchieste, polemiche e un
travagliato processo durato 15 anni per disastro ambientale doloso,
chiuso con una sentenza di assoluzione per tutti per insufficienza di
prove. Il pm di Asti, Luciano Tarditi, durante una audizione davanti a
una delle tante commissioni parlamentari che hanno indagato sulla morte
dei giornalisti Ilaria Alpi e Miran Hrovatin e sul traffico di rifiuti,
ipotizzò un collegamento tra la discarica di Pitelli, il traffico di
rifiuti pericolosi, le scorie belliche e la sparizione di alcune navi.
Tornando alla Cosmer, i fascicoli giudiziari ci raccontano che i Di
Francia hanno sempre avuto un rapporto fortunato con le istituzioni e
invece più di un debito con i napoletani: il commissariato per
l’emergenza rifiuti stanziò ben 2 miliardi e mezzo di vecchie lire per
bonificare e mettere in sicurezza l’area della discarica di Pianura ma
l’operazione non è mai stata effettuata. Anzi tutt’ora dalla discarica
fuoriesce biogas e percolato in quantità così elevate da determinare
esplosioni con parametri che i periti della procura definiscono «non
compatibili con la vita umana».
Ma non si tratta solo di spreco di
denaro pubblico:
al danno si aggiunge una amarissima beffa perché i
responsabili di questo scempio non possono più essere perseguiti: i
reati di truffa aggravata ai danni dallo Stato per il denaro percepito,
illecita erogazione di soldi pubblici e falso in relazione alla
chiusura della discarica e al collaudo ormai si sono prescritti. Sono
passati troppi anni (parliamo del 1995) e il pm titolare
dell’inchiesta, è stata obbligata a chiedere l’archiviazione per i tre
indagati, il direttore dei lavori e i collaudatori che hanno curato la
chiusura della discarica.
E i cittadini di Pianura non avranno mai più
giustizia. L’inchiesta è quella scaturita dall’esposto di centinaia di
cittadini residenti nell’area contaminata dai veleni scaricato per
vent’anni nella discarica di Contrada Pisani, diventata la pattumiera
illegale di molte aziende del nord, in seguito al diffondersi di
malattie oncologiche e respiratorie. Cosa è stato sversato a Pianura e
da dove provenivano i rifiuti oggi lo sappiamo. Le tabelle che
pubblichiamo nella videoinchiesta sono allegate al fascicolo della
procura di Napoli relativo alle indagini del procuratore aggiunto
Rosario Cantelmo e del pm Stefania Buda che riguarda il periodo fino al
1996 e individua le ipotesi di reato di disastro colposo ed epidemia
colposa per il presunto incremento di tumori e malformazioni negli
ultimi vent’anni nel quartiere di Pianura.
Si tratta di un elenco di
aziende del nord che in maniera illecita hanno smaltito polveri di
amianto, rifiuti speciali, residui di vernici e collanti, fusti,
resine, stucchi, scorie di alluminio, fanghi di vario tipo, ceneri di
centrale elettrica. L’altro reato su cui la procura ha indagato
riguarda il disastro colposo, in relazione a un possibile inquinamento
di falde acquifere e terreni. Per verificare quest’ultimo reato sono
stati fatti prelievi delle acque sia all’interno della discarica
sequestrata che nelle aree limitrofe. In un pozzo adiacente allo
sversatoio di Contrada Pisani è risultata la presenza di solventi e
olii con codice di rischio R45, l’indicatore cioè dei livelli delle
sostanze che possono provocare il cancro. Nella discarica invece,
secondo i dati dell’Arpac, i livelli non raggiungerebbero il codice di
rischio. Sul disastro ambientale le parole più allarmanti arrivano dal
provvedimento del gip Alessandro Buccino Grimaldi che dopo aver
esaminato le analisi dei consulenti tenici rileva intanto che nella
discarica Di.Fra.Bi. sono presenti 30 milioni di metri cubi di rifiuti
inquinanti e che dal cratere Senga fino alla fascia costiera di
Pozzuoli non si evidenzia solo una criticità ma un reale rischio per i
cittadini connesso alla dispersione incontrollata del biogas e del
percolato.
Addirittura non è stato possibile prolungare alcuni rilievi
perché i parametri delle sostanze prese in esame sono risultati
disomogenei e diversamente alterati fino a mille volte superiori ai
valori limite consentiti. In alcuni la quantità di ossigeno e degli
idrocarburi è risultata non compatibile con la vita umana. «Il pericolo
accertato all’esterno della discarica integra una situazione di
disastro ambientale – si legge nel provvedimento del Gip – in quanto è
un fenomeno con una vasta ricaduta sull’ambiente naturale e non che si
configura come potenzialmente catastrofico per il numero di persone che
abitano nella zona che possono essere coinvolte, la gravità degli
effetti potenziali sulle persone, la vastità del territorio
interessato. La situazione di disastro ambientale è chiaramente stata
causata dalla non adeguata gestione della discarica Di.Fra.Bi». Sul
fronte dell’indagine “sanitaria” (epidemia colposa), il pm ha dovuto a
malincuore chiedere, ottenendola, l’archiviazione.
Nel corso delle
indagini era stato effettuato uno studio preliminare da un consulente
tecnico, specialista in epidemiologia, dal quale è emerso che i dati
disponibili raccolti (numerose cartelle cliniche di residenti ed ex
lavoratori della discarica, dati Istat, Asl e ospedalieri) non sono
sufficienti per valutare i rischi per la salute derivanti dalla
trascorsa ed attuale esposizione delle persone residenti a fattori
ambientali di rischio.
Perchè?
Semplicemente perché per ottenere delle
«prove» che reggano in un processo bisogna avere anche una serie di
dati circoscritti all’area della discarica, (dati che invece non
esistono) oltre ad una serie di casi-controllo su soggetti sani
(naturalmente ci sarebbe bisogno di volontari). Solo così potrebbe
essere dimostrato il nesso causa – effetto tra lo sversamento dei
rifiuti tossici e l’aumento dei tumori.
Inoltre in Campania non esiste
un registro tumori e chissà se mai sarà avviato: il governo proprio
alcuni giorni fa ha detto che «costa troppo» e quindi i campani non
possono permetterselo ma dopo le proteste della gente il presidente
della Regione Campania Stefano Caldoro ha annunciato che il registro si
farà.
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