di Gianni Lannes
Benvenuti nella centrale
atomica di Sessa Aurunca in provincia di Caserta, a cavallo
tra Lazio e Campania, in un ansa dell’omonimo fiume in riva al Mar
Tirreno. Uno dei cinque impianti nello Stivale (compreso quello
militare di San Piero a Grado in Toscana), collocato in un’area
alluvionale particolarmente sismica - ai piedi del vulcano di
Roccamonfina - tra Roma e Napoli, ad un alito dal Circeo e da Gaeta.
Il 17 marzo dell’anno scorso il fiume Garigliano
ancora una volta ha invaso l’impianto nucleare. Diciotto mesi fa
l’indomito corso d’acqua ha rotto nuovamente gli argini, allagando la
pianura - coltivata a
vigneti e frutteti - che lo accompagna al mare. Come da
prassi, a distanza di tempo per le conseguenze non sono state
adottate contromisure dalle autorità sanitarie, statali e regionali.
Dopo soli 14 anni di funzionamento - i primi 3 dei quali addirittura
abusivi - rispetto ai 40 previsti, la centrale nucleare ha smesso di
produrre energia nel 1978. Il I 9 luglio 1981, Enel ha chiuso
l’impianto. L’11 marzo 1982 la centrale è stata disattivata. Da
allora ha iniziato a manifestarsi un progressivo incremento di cancro
e mutagenesi nella popolazione residente, compresi gli animali e le
piante. Oggi, a 30 anni dalla chiusura non è stata ancora
smantellata dalla Sogin. In compenso il golfo di Gaeta
è gravemente inquinato dalle scorie nucleari. E spicca perfino il
plutonio nei sedimenti marini. Ma questo è un segreto di Stato
(anche se non apposto formalmente): la gente non deve sapere nulla
dei segni indelebili che deteriorano la vita. Un esperimento per il
governo Usa, un affare di mazzette per i governanti italioti.
Attualmente ci si ammala e si muore nell'indifferenza generale delle
istituzioni.
Malformazioni - Vi
dice niente una lucertola a due teste? Esatto: una lucertola con due
teste. L'hanno immortalata gli abitanti del piccolo borgo del
casertano di Tora e Piccilli, nel cuore del Parco Regionale del
vulcano di Roccamonfina, mentre attraversava la piazza principale. Il
ritrovamento ha destato molta preoccupazione ed è tornato ad
accendere i riflettori sui danni derivanti dall'inquinamento prodotto
dalla centrale elettronucleare di Garigliano, a Sessa Aurunca. Nel
corso degli anni, infatti, nella zona sono nati animali,
soprattutto vitelli e agnelli, con due teste o con altre gravi
malformazioni, dall'ermafroditismo all'anchilosi, come aveva
incessantemente denunciato negli anni '80 l'avvocato Marcantonio
Tibaldi. «Ciò cui abbiamo assistito in questi anni è
spaventoso - spiegava l'avvocato in un articolo apparso sul numero 6
di Modus Vivendi - La mortalità per leucemia e per cancro è
aumentata in modo esponenziale in tutte e tre le regioni esposte alle
radiazioni della centrale del Garigliano: in provincia di Latina, nel
basso Lazio e in Abruzzo». Nel 1981 fu condotta un’indagine di
tipo statistico, dal professor Alfredo Petteruti, poi
pubblicata nel libro La mostruosità nucleare: indagine sulla
centrale del Garigliano (La Poligrafica, Gaeta, 1981). Si
trattava di una campionatura statistica tra mucche frisone nel
periodo 1979-1980. I risultati furono terrificanti. L’indagine
rilevò che “il numero delle nascite con mostruosità nelle zone A
e B, prossime alla centrale era 33 e 9 volte maggiore rispetto alla
zona c. In termini percentuali significa raggiungere il 3200 per
cento in più”. Un’indagine dell’Enea del 1980 rilevò una
contaminazione radioattiva non solo nella zona in prossimità della
centrale, ma anche in una vasta porzione di mare. Fu scoperto che il
cobalto 60 e il cesio 137, rispetto agli anni ’70 avevano
raddoppiato i valori. Naturalmente prima dell’incidente di
Chernobyl del 26 aprile 1986. Le autorità, tuttavia, si girarono dall’altra
parte. E chiusero gli occhi anche quando fu verificato, sempre
dall’avvocato Tibaldi, che dal 1972 fino al 1978 l’incidenza di
tumori e leucemie nell’area del Garigliano - che comprende il Basso
Lazio come le province di Frosinone e Latina e 1700 chilometri
quadrati di costa balneabile risalendo dal Volturno al Circeo - era
del “44 per cento contro una media nazionale del 7 per cento”.
Nei comuni di Formia, Minturno, Sessa Aurunca, San Cosma e Damiano,
Roccamonfina e Castelforte ci furono novanta casi di neonati
malformati tra il 1971 e il 1980. Solo nel 1984 l’Usl Latina 6 di
Formia ne registrava il 19,57 per cento. Agli ospedali di Minturno e
Gaeta furono numerosi quelli di encefalici, e si verificò anche un
caso di ciclopismo. A tutt’oggi non è mai stata realizzata
un’indagine epidemiologica. Chissà perché.
Dismissione al
rallentatore - Dal 1999 questa scoria gigantesca è gestita dalla
Sogin (azienda tricolore ) che ha il compito ben remunerato con
denaro pubblico di bonificare. Il cosiddetto “decommissioning”,
però procede a rilento. Almeno ufficialmente i materiali da mettere
in sicurezza sono circa 2.600 metri cubi raccolti in quasi 3.500
fusti, oltre a 1200 metri cubi di rifiuti a bassa radioattività,
chiusi in buste di plastica e sepolti attorno alla centrale (dati
Sogin anno 2008). Nel 2006 si decide di costruire un deposito,
chiamato D1, per accogliere le scorie. La decisione ha saltato ogni
controllo da parte delle amministrazioni locali, grazie ai poteri
straordinari concessi da Berlusconi al capo della Sogin. Il generale
Carlo Jean (affiliato Aspen) durante il suo pontificato in questa
società ne ha combinate di tutti i colori ed impunemente. Certo che mettere le
scorie in un posto a rischio sismico e di inondazioni non denota un
particolare acume. Nel D1 tuttavia andranno i rifiuti di media
attività (1100 metri cubi); altri 600 in un edificio recuperato
sempre nell’area della centrale. Restano 2100 metri cubi: dove
verranno piazzati? Probabilmente nel deposito di Avogadro, presso il
centro di Saluggia in Piemonte dove nel passato nucleare italiano
venivano riprocessate le barre esauste fino al 1984. Ma tutte le
scorie - assicurano a Sogin - andranno poi a finire nel deposito
nazionale che ne accoglierà 80 mila metri cubi: ma dove e come
questo deposito sarà realizzato non si sa, semplicemente perché
nessuno sa come farlo. E così i tempi si allungano e la data di fine
lavori prevista per il 2016 è già stata spostata da Sogin al 2022.
Il mantenimento di questa società che ha fatto pochissimo per non
dire nulla fino al 2008, grazie ad una gestione poco chiara, costa
tanti soldoni. Solo per Sessa Aurunca sono stati spesi finora 450
milioni di euro. Li abbiamo pagati tutti noi, grazie a quella voce,
A2, che trovate nella bolletta elettrica. Con essa finanziamo gli
sperperi della Sogin, i petrolieri e gli inceneritori (A 3).
La Sogin dichiara: "Nel 2010 è stato
pubblicato il decreto di compatibilità ambientale per il rilascio
incondizionato del sito. La valutazione di impatto ambientale
prevede che le attività di smantellamento non riguardino gli edifici
reattore e turbina, progettati dall’architetto Riccardo Morandi,
dichiarati patrimonio architettonico del nostro Paese come stabilito
dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali".
Incidenti e
disinformazione - Il mostro è una palla bianca unica al mondo
da 160 megawat di potenza elettrica. È un reattore che la General
Electric ha venduto all’Italia nei primi anni ‘60, ma che poi non
ha avuto il coraggio di replicare negli Usa.
Il progetto infatti viene
finanziato dalla Banca Mondiale (allora BIRS: banca per
la ricostruzione e lo sviluppo) con 40 milioni di dollari. Siamo nel
1959. Questi soldi sono un prestito erogato alla Cassa del
Mezzogiorno, una specie di antro senza fondo dentro il quale è
stata inghiottita una quantità spaventosa di denaro pubblico, del
quale solo una infinitesima parte è stato speso per le popolazioni
del Sud mentre la maggior parte è finito nel calderone di una
corruzione dilagante a favore dei governanti, mai volutamente arrestata.
I lavori partono nel 1959
con la previsione di terminare tre anni più tardi, ma le continue
piene del Garigliano li rallentano e si arriva alla prima produzione
di energia solo nel 1964. L’autorizzazione a funzionare, cioè la
“licenza di esercizio” fu data nel 1967. Per tre anni abbiamo
avuto nel paese una centrale nucleare clandestina. Da un punto di
vista tecnico e produttivo questo impianto è stato un totale
fallimento. In quindici anni ha prodotto appena lo 0,3 per cento del
fabbisogno nazionale e, cosa assai più grave, ha subito una serie di
incidenti ben documentati.
Nel 1970 si rischia il
"botto". Accade quello che è avvenuto l’anno scorso a
Fukushima. A causa delle piene e quindi delle inondazioni del fiume
Garigliano i motori elettrici che regolano il sistema di
raffreddamento si spengono: quello principale e anche quello
secondario. Anche il terzo impianto, di riserva, non parte. Il
rischio di una fusione delle barre viene scongiurato per puro caso
perché si riesce all’ultimo momento a recuperare energia dalle
linee esterne.
Nei successivi otto anni
ci sono altri quattro incidenti importanti. In due di questi (1972 e
1976) dalla centrale fuoriescono sostanze radioattive che si
mescolano all’aria, all’acqua e alla terra. Poi nel 1978 un altro
guasto e la chiusura. Bene così? Neppure per sogno: un reattore non
si spegne come un’automobile. Ci vogliono decenni perché smetta di
pulsare, perché le barre possano essere trattate. Le scorie
radioattive sono sempre là e un aumento di temperatura può
provocare guasti inimmaginabili. Per questo il sistema di
raffreddamento dell’impianto dev’essere sempre attivo e ben
controllato. Così altri incidenti si verificano nel 1979 . Nel
novembre 1980 il Garigliano esonda ancora e invade i locali della
centrale. La drammaticità dell’incidente è nel telegramma che
arriva al sindaco di Castelforte, comune confinante col sito. Lo
spedisce l’ingegner Sennis del Cnen, la vecchia sigla dell’Enea.
Lo avverte che l’acqua che è entrata nella centrale è anche
uscita tornando nel fiume, solo che si è portata dietro una quantità
imprecisata di materiali radioattivi. Soprattutto Cesio 137,
radioattivo con una emivita di 30 anni. Ergo: ci vogliono 300 anni
per tornare in condizioni “normali”.
Sono fatti gravissimi
perché influiscono sulla vita delle persone: le sostanze radioattive
entrano nel ciclo alimentare. Le specie viventi che pascolano nei
campi circostanti (la zona è quella della mozzarella di bufala) o
che nuotano nel fiume e nel mare (alla foce del Garigliano) sono in pericolo. Scatta
un’inchiesta giudiziaria locale e si individua il responsabile. E’ un
ingegnere, direttore della centrale, Tommaso Vitiello, che ha
usato i serbatoi senza alcun collaudo. Viene ritenuto colpevole, ma
la pena è prescritta per amnistia.
Si tratta di fatti
gravissimi eppure nessuno ne parla. Chi apre bocca narra storie
allucinanti. Racconta di colleghi morti di cancro a causa delle
radiazioni. Rivela di esperimenti fatti nella centrale. Come quello
di rivestire di plutonio le barre di uranio per aumentare il
rendimento dell’impianto.
E poi c’era la
questione del reattore, costruito dalla General Electric. I tecnici
dell’azienda, davanti al Congresso americano nel 1975, dichiarano
che quella macchina è pericolosa e offre scarse garanzie di sicurezza.
Per questo ne era stata abbandonata la produzione, per i troppi
rischi e di conseguenza i troppi incidenti. Ma in Italia nessuno
tiene conto di queste informazioni e anzi fa ben di peggio. Dal
momento che fino ad allora la resa in termini di energia prodotta era
stata bassa, fanno di tutto per aumentarla. Dal 1976 al 1978 il
reattore funziona a pieno regime che è come guidare un’auto con
l’acceleratore sempre premuto al massimo. E, senza avvertire
nessuno, si decide di aggiungere il plutonio come materiale di
fissione.
Non servono incidenti per
avere elementi radioattivi che possono provocare gravi danni alla
salute degli abitanti della zona. Le sostanze che fuoriescono
nell’aria sono trizio, carbonio 14, cesio 137, cesio 134, cobalto
60 e iodio 131. E sono sostanze che bene non fanno: il trizio si
sostituisce all’idrogeno dell’acqua; il cesio si concentra nei
muscoli; lo stronzio si sostituisce al calcio nelle ossa e nel
midollo; il cobalto tende ad accumularsi nell’intestino e lo iodio
nella tiroide. E la loro attività danneggia le cellule, modifica il
DNA procurando danni irreversibili e portando alla morte.
Carte roventi -
C’è un documento del Comitato nazionale per l'energia nucleare (prot. n. 24771-p. 5 del 4.11.77) in cui
si parla delle barre di plutonio e si scopre così che il vizietto è
vecchio perché tentativi erano stati fatti già nel ‘68, nel ‘70
e nel ‘75. E il numero di queste barre non era così piccolo: 72 su
208, ossia il 35 per cento.
In tutto 1164 parole
ufficiali per un disastro annunciato 32 anni fa. «Nei giorni
precedenti presso la centrale elettronucleare del Garigliano a
seguito abbondanti piogge il livello di falda acquifera della zona si
era notevolmente alzato. In conseguenza si erano avute infiltrazioni
di acqua in un sotterraneo di un edificio di centrale contenente le
vasche che ospitano i contenitori di stoccaggio delle resine
provenienti dal sistema di purificazione delle acque del reattore
della centrale. Tali infiltrazioni di acqua avevano riportato in
soluzione la contaminazione radioattiva esistente sulla superficie
interna delle vasche. Al cessare del maltempo e con il conseguente
abbassamento della falda acqua infiltratasi nella vasca è defluita
verso falda e probabilmente in parte verso il fiume trascinando con
sé parte della contaminazione». Questo telegramma giunse al
Comune di Castelforte il 19 novembre 1980 e per la prima volta
rendeva noto un incidente avvenuto all’impianto. «Essenzialmente
Cesio 137» afferma il telex del Cnen, ma nei giorni
successivi si è riscontrata la presenza di almeno altre due
sostanze: il Cesio 134 ed il Cobalto 60. Seguono le solite
rassicurazioni per mantenere buona la popolazione, Ma qualche giorno
dopo si registrano degli episodi significativi: la morte di 25 bufale
che avevano pascolato in aree sommerse dal fiume e la moria di grossi
pesci lungo il tratto di mare dove sfocia il Garigliano. Ma solo dopo
l’intervento del pretore locale si viene a sapere di altri
incidenti. Nel dicembre 1976 l’acqua del Garigliano, in fase di
piena, è penetrata nel locale sotterraneo della centrale, ove sono
stoccate le scorie radioattive e, ritirandosi, si è trascinata
dietro nel fiume, nella campagna e nel mare più di un milione di
litri d’acqua contaminata da radionuclidi presenti nel locale e
provenienti dal sistema di purificazione delle acque del rattore. Nel
novembre 1979 si verifica un incidente analogo a quello del 1976. Il
Garigliano per effetto delle piogge abbondanti straripa, invadendo
l’area della centrale che sommerge. Ma la serie di incidenti è una
litania funebre. Nel rapporto del Cnen (Disp 80 (3) Bozza) “Centrale
del Garigliano situazione 30 novembre 1980” è riportato l’elenco
dei principali inconvenienti ed incidenti verificatesi durante la
vita dell’impianto. In alcuni casi, come nel 1972 e nel 1976 ci
furono alcune esplosioni e la popolazione locale fuggì terrorizzata
e disordinatamente nelle campagne. Nel Rapporto Cnen del 1980 si fa
menzione di una catastrofe sfiorata nel 1970: «In occasione di una
mancanza totale di tensione … Per effetto di tale sequenza di
eventi si verificava sull’impianto transitorio con diminuzione di
livello dell’acqua del circuito primario … Durante il transitorio
di perdita di livello non risultavano, comunque, mai scoperti gli
elementi di combustibile». Se ciò fosse accaduto si sarebbe
verificato il più grave degli incidenti: la fusione del nocciolo.
Plutonio bellico -
Nel 1963 Giuseppe Saragat, poco prima di divenire presidente
della Repubblica, pubblica un libro intitolato Mettere ordine
nella politica nucleare. Il leader socialdemocratico
definisce il nucleare «dal punto di vista economico un
disastro». Saragat scrive: «Le centrali
nucleari italiane sono utili solo per produrre plutonio come prodotto
principale ed energia elettrica come sottoprodotto, per cui costruire
tali centrali per produrre solo energia elettrica, come si è fatto
in Italia, significa credo, comportarsi come chi costruisse una
segheria per produrre soltanto segatura».
Nonostante le discussioni
dell’epoca tendessero a negare che il plutonio prodotto dalle
centrali nucleari potesse essere riutilizzato per fini bellici, ormai
la pratica anche a livelli industriali del ritrattamento del
combustibile esaurito delle centrali nucleari ci ha dimostrato il
contrario. Fondati erano i timori di Saragat che il plutonio da noi
prodotto «acquistato - secondo lo stesso Saragat - dagli Stati Uniti
e dalla Gran Bretagna a prezzi vili, irrisori» sarebbe stato
utilizzato per costruire ordigni nucleari. Già nel 1968 sotto la
direzione di tecnici americani venivano effettuati esperimenti con
elementi transuranici, fra cui il plutonio. Tra gli scopi vi sarebbe
stato quello di misurare i livelli di radioattività nei pesci, nelle
alghe, nelle acque marine. L’effetto è stato l’inquinamento
permanente ed irreversibile di centinaia di chilometri dello
splendido golfo di Gaeta e del Circeo, e la sua gravità è tale da
essere paragonata a quella dell’incidente avvenuto nel 1966 a
Palomares, a sud est della Spagna, dove la caduta di un aereo provocò
il rilascio di materiale altamente radioattivo.
Inquinamento
irreversibile - In due relazioni ufficiali dell’Enea
(“Influenza dei fattori geomorfologici sulla distribuzione dei
radionuclidi. Un esempio: dal M. Circeo al Volturno” nonché
in “Studio preliminare dei sedimenti sulla piattaforma
costiera della zona della foce del Garigliano”) risulta che:
«le attività del Cesio 137, nei primi due centimetri dei fondali
antistanti il golfo di Gaeta, nelle aree di maggiore concentrazione,
corrispondono a 7 millicurie/kmq (259 Mbq/kmq)». In particolare
nella relazione di Brondi, Ferretti e Papucci rileviamo che
«complessivamente la zona interessata dalla contaminazione da
Cobalto 60 nei supera i 1700 kmq». Come se non bastasse, qualche
anno dopo ecco apparire fra gli addetti ai lavori i dati sulla
contaminazione da plutonio. In una ricerca effettuata per la
Cee di Delfanti e Papucci (“Il comportamento
dei transuranici nell’ambiente marino costiero”)
viene tracciata una mappa della contaminazione da plutonio nel golfo
di Gaeta da 2 a 4 volte la deposizione da fall-out. Il plutonio non
esiste in natura: è una sostanza altamente tossica dal punto di
vista chimico, è pericolosamente radiotossica e di elevata rilevanza
strategico-militare. La radioattività del plutonio si dimezza dopo
24 mila anni ed esso rimane pericoloso per oltre 400 mila anni.
Secondo l’Istituto Superiore di Sanità. “0,25 milionesimi di
grammo sono il massimo carico ammissibile di plutonio in tutta la
vita per un lavoratore professionalmente esposto”. Bastano infatti
pochi microgrammi di plutonio immersi nel condizionamento di un
grattacielo per condannare alla morte rapida tutti coloro che si
trovano al suo interno».
Sull’aumento della
radioattività nei sedimenti marini del golfo di Gaeta ha scritto il
4 agosto 1984 anche l’Istituto Superiore di Sanità: «Per
una serie di ragioni descritte in notevole dettaglio nella
letteratura tecnica, si sono prodotti fenomeni di accumulo del
Cobalto e del cesio, scaricati nel fiume Garigliano, all’interno
del golfo di Gaeta. Ciò è indubbiamente legato all’insediamento
della centrale».
La grande biologa marina Rachel Carson nel saggio
IL MARE INTORNO A NOI ha così argomentato: «La concentrazione e la
distribuzione di radioisotopi ad opera degli organismi marini può
forse avere un’importanza ancora maggiore dal punto di vista del
rischio umano (…) gli elementi radioattivi depositati nel mare non
sono più recuperabili. Gli errori che vengono compiuti ora sono
compiuti per sempre».
Quale limite? -
Attenzione, non è un limite biologico, bensì economico: 20
millisievert all’anno per i lavoratori ed 1 millisievert per la
popolazione. Gianni Mattioli, docente di Fisica alla Sapienza non ha
dubbi: «Il danno sanitario da radiazioni è un danno senza soglia.
Dosi anche infinitesimali di radioattività innescano processi di
mutagenesi e patologie tumorali tant’è che la definizione di dose
massima ammissibile fornita dalla Commissione internazionale per la
radioprotezione, invece di essere “quella particolare dose al di
sotto della quale non esiste rischio”, è invece quella dose cui
sono associati effetti somatici, tumori e leucemie, che si
considerano accettabili a fronte dei benefici economici associati a
tali attività o radiazioni». Dopo l’euforia del secondo
referendum che ha sancito un rifiuto popolare, nel Belpaese in
declino i cimiteri atomici - civili e militari - sono già stati
sepolti, ma soltanto nell’immaginario collettivo. Eppure
l’inquinamento radioattivo - mai preso in considerazione dallo
Stato italiano - rappresenta un’emergenza da non sottovalutare,
anzi prioritaria. La letteratura scientifica attesta che le centrali
nucleari, in condizione di normale funzionamento rilasciano
radioattività, la quale entra nella catena alimentare, quindi
nell’organismo umano provocando cancro e leucemia. E ciò a
prescindere dalla quantità di radionuclidi e dai limiti di soglia,
che sono nient’altro che simboli dell’equazione costi-benefici.
Insomma, poca elettricità ma a caro prezzo, in cambio di morti e mutanti.
2.10.12
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