scontri interni e dispute tra UE, USA e Russia
Il 19 ottobre i leader di Serbia e Kosovo si sono incontrati per la prima volta dall'indipendenza di quest'ultimo Stato. Il vertice, presieduto dal Commissario dell'Unione Europea per gli Affari Esteri Catherine Ashton, mira soprattutto a risolvere le tensioni etniche e a spianare la strada all'ingresso dei due Paesi nell'UE. Nel caso del Kosovo Bruxelles caldeggia un'adesione accelerata, mentre con la Serbia frena, proprio perché non vede una soluzione alle controversie con lo Stato resosi indipendente nel 2008.L'incontro non è piaciuto ai nazionalisti kosovari, che a Pristina si sono scontrati con la polizia. In Kosovo sono frequenti le vendette contro la minoranza serba. Ashton ha dichiarato che i leader dei due Paesi sono al lavoro per "normalizzare" le loro relazioni, ma per molti albanesi "la normalizzazione è indesiderabile perché la Serbia non è un Paese normale". Belgrado infatti ha una posizione negazionista rispetto ai crimini commessi durante le guerre nei Balcani.
Sui negoziati pesano anche gli interessi di tre grandi poli della politica internazionale: la stessa UE, gli Stati Uniti e la Russia. Gli USA sono da sempre grandi sostenitori dell'indipendenza kosovara. L'Unione Europea ha posizioni più sfumate perché Paesi membri come la Spagna rifiutano ancora di riconoscere il nuovo Stato a maggioranza albanese. I russi sono antichi alleati della Serbia e intendono contrapporsi all'influenza americana in questa regione.
L'adesione all'Unione Europea permetterebbe a Serbia e Kosovo di non dover più rivedere i confini, che secondo la giornalista Azra Nuhefendic sono l'aspetto più importante della controversia sull'indipendenza del Kosovo. Religione e nazionalità secondo la reporter sarebbero solo dei pretesti per ridisegnare le frontiere. Una sistemazione una volta per tutti della questione a livello europeo bloccherebbe anche la "balcanizzazione" di Stati quali la Bosnia e altre ex repubbliche della dissolta Jugoslavia, tutte comprendenti al loro interno minoranze serbe e di altre etnie.
la guerra fratricida della ex-Jugoslavia
Il Tribunale per i crimini di guerra nella ex-Jugoslavia, con sede all'Aja, istituito nel 1993, ha sino ad oggi incriminato 91 persone, tra le quali Radovan Karadzic, presidente della repubblica serbo-bosniaca dal 1992, Ratko Mladic, suo generale e Slobodan Milosevic, presidente delle repubblica serba dal 1992. A partire dal 1990-1991, con la dichiarazione di indipendenza da parte delle repubbliche di Slovenia e Croazia, si spezza la fragile convivenza di popolazioni appartenenti a diversi ceppi etnici (serbo, albanese, croato, ungherese, rom ), con storie e religioni diverse (cristiani, cattolici e ortodossi; musulmani; ebrei ). L'occasione storica è propizia per la realizzazione della grande Serbia. Già nel 1937 gli estremisti nazionalisti serbi avevano preparato un programma genocidario per il Kosovo, con l'obiettivo di ripulire la Serbia degli elementi stranieri, deportando la popolazione kosovara verso l'Albania e la Turchia. Nel corso della seconda guerra mondiale, peraltro, gli ustascia ("insorti", movimento fascista fondato nel 1928 da Ante Pavelic, con lo scopo di combattere per l'indipendenza della Croazia) usano in Croazia il metodo della pulizia etnica nei confronti dei Serbi, compiendo un vero e proprio massacro genocidario (300.000 vittime serbe). Su queste vicende storiche si costituisce la certezza serba di rappresentare il "bene", mentre i croati vengono giudicati "il popolo che ha il genocidio nel sangue".
Il movente principale va ricercato nel nazionalismo esasperato, coltivato non solo dai serbi, ma da tutte le parti in causa, che si configura qui come una contrapposizione di tipo etnico- religioso. A questo va aggiunta una rivolta delle campagne contro le città e dei sobborghi periferici contro il centro, secondo una ideologia che vedeva le città come luoghi di perdizione e la campagna come autentica e originaria fonte della nazione. L'architetto serbo Bogdanovic parla di "urbicidio", inteso come "opposizione manifesta e violenta ai più alti valori della civiltà".
La pulizia etnica, ovvero il tentativo di rendere una data area etnicamente omogenea, usando la forza e l'intimidazione per allontanare da essa persone di un altro gruppo etnico o religioso, caratterizza il decennio 1990-1999, nel corso del quale sia i serbi sia i croati tentano di istituire territori etnicamente omogenei attraverso una guerra totale che coinvolge i civili, rinchiudendoli in lager, e che usa, oltre all'eliminazione fisica e all'espulsione dei membri di altre etnie, anche lo stupro etnico. Il periodo può essere diviso in tre fasi: dal giugno al dicembre del 1991 con gli scontri che accompagnano le dichiarazioni di indipendenza di Slovenia e Croazia dal febbraio del 1992 al dicembre dal 1995, fase legata alla dichiarazione di indipendenza della Bosnia-Erzegovina, che si conclude con gli accordi di Dayton, che definiscono i territori delle tre etnie: musulmana, serba, croata dal 1998 al 1999, in cui si vede il tentativo da parte del Kososvo di ottenere l'indipendenza e quindi la nazione serba fermata dall'intervento Nato.
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