Comunicato di pubblica resistenza al DDL intercettazioni

Gentile Onorevole Presidente del Consiglio dei Ministri Silvio Berlusconi, in questi giorni, in queste ore, il Parlamento della Repubblica Italiana è impegnato in una corsa contro il tempo per una più che rapida approvazione del disegno di legge firmato dall'Onorevole Ministro della Giustizia Angelino Alfano e noto come "ddl intercettazioni".

Il provvedimento rappresenta una delle più drastiche limitazioni al potere d'indagine che compete ai magistrati inquirenti del nostro paese e, al contempo, la più dura, feroce e devastante limitazione al diritto costituzionale di informazione; il diritto di farla e il diritto di riceverla.

Il progetto di legge, per mezzo dei suoi punti fondanti, impedisce il racconto giornalistico su fatti giudiziari di pubblico dominio e privi di segreto, stabilisce pene detentive e pecuniarie pesantissime verso chiunque osi divulgare verità giudiziarie, introduce nuovi obblighi di rettifica per i blog minandone la sopravvivenza, trasforma in crimine il diritto dei cittadini vittime di crimini di raccogliere prove audio e video a dimostrazione del reato e stabilisce odiose discriminazioni tra forme di giornalismo, all'interno di una drammatica limitazione del diritto ad effettuare inchieste giornalistiche.

Il diritto all'informazione nelle sue forme più elementari, il principio di legalità e la ricerca della giustizia vengono totalmente smantellati da tale provvedimento.

Pertanto questo sito internet dichiara sin da adesso che, per imprescindibili motivi etici e in ragione della difesa del diritto alla libertà di parola e di stampa, solennemente sancito dalla Costituzione italiana e dalle leggi vigenti, in caso di approvazione in via definitiva e di conversione in legge, non potrà attenersi in alcun modo alle norme che compongono il disegno di legge sulle intercettazioni.

Questo sito si dichiara altresì .. per imprescindibili motivi sia etici che politici .. deberlusconizzato .. demontizzato .. degrillizzato

martedì 30 marzo 2010


www.dirittiglobali.it - NEWS (Ambiente, territorio e beni comuni) 06 - 03 – 2010

Fonte: il manifesto

LAZIO Il problema dei rifiuti tossici diffusi in tutta la regione: 

verso il disastro ambientale

Dall'acqua all'arsenico dei Castelli al lindano ciociaro nel latte materno
di Andrea Palladino

ROMA
Ci sono parole che sono divenute insopportabili. Ad esempio emergenza. O quelle che arrivano subito dopo: commissario straordinario. E sempre più spesso, quando l'emergenza è ambientale, ne scatta un'altra, deroga. Parole per nascondere, per rimandare le soluzioni, per mantenere quella sorta di licenza d'uccidere che in Italia distrugge ambiente e popolazioni.
Ieri la sentenza della Corte di giustizia europea ha fatto chiarezza. Ha usato i nomi veri delle cose, ha chiamato inceneritori gli inceneritori, e rifiuti la monnezza. Ha spiegato come di veleni si può morire e quanto valgono le «emergenze» e le «deroghe» italiane di fronte all'acquis communautaire, ovvero la civiltà giuridica europea: meno di zero. E se la sentenza riguardava la Campania, il resto d'Italia non può gioire. E' il caso del Lazio, dove i disastri ambientali, la cattiva gestione dei rifiuti, i veleni nell'aria, nella terra e nell'acqua mettono a rischio una situazione già insostenibile. Il cattivo ambiente, i veleni, gli inceneritori, l'acqua contaminata, l'aria avvelenata da turbogas e centrali al carbone sono i temi veri, quotidiani e di lotta nelle cinque province laziali. Tante vertenze locali, che oggi a Roma uniscono le forze, si mostrano, si contano, senza liste elettorali, né candidati.
L'acqua dei veleni
A sud di Roma c'è un'emergenza idrica che coinvolge mezzo milione di persone: tanto arsenico e poca acqua. Il Bertolaso di turno di chiama Massimo Sessa, ex assessore della giunta di centrodestra della provincia di Roma guidata da Silvano Moffa fino al 2004: ingegnere, membro del Consiglio superiore dei lavori pubblici. E' oggi il commissario straordinario, nominato da Berlusconi nel 2004, per far fronte all'emergenza idrica dei Castelli romani.
Non esiste un sito dell'ufficio commissariale ed è difficile capire cosa abbia fatto, quanto speso, quali i risultati raggiunti. In realtà il suo compito è semplice: velocizzare gli appalti, saltando a pie' pari buona parte delle normative. Si chiama deroga, ovvero l'arma nucleare utilizzata in Italia per affrontare le emergenze. Serve costruire un nuovo pozzo in un parco naturale - quello dei Castelli romani - in una zona dove si stanno abbassando le falde acquifere? Basta una firma e Acea può scavare.
La deroga, a volte, possiede anche poteri magici. Ad esempio può trasformare l'acqua non potabile in un liquido quasi oligominerale. Secondo le norme dell'organizzazione mondiale della sanità, dell'Unione europea e del nostro paese l'acqua per uso umano non può contenere più di dieci microgrammi per litro di arsenico. Nella zona dei Castelli romani - come in gran parte del Lazio - da anni questo limite è superato di slancio. Ed ecco che scatta la soluzione magica: la Regione Lazio ha chiesto ed ottenuto una deroga, alzando di cinque volte il limite. Il senso è: un po' d'arsenico per qualche anno non farà mica male. La firma questa volta l'ha messa Piero Marrazzo, in silenzio, senza fare troppo rumore.
A pieni polmoni
L'ormai ex governatore del Lazio ha messo anche qualche altra firma silenziosa. E' il caso dell'inceneritore di Albano Laziale, alle porte di Roma, che con le due linee progettate dal consorzio Coema - Manlio Cerroni, Acea e Ama - autorizzato dal presidente della giunta regionale del Lazio nottetempo, in pieno agosto. C'era una valutazione d'impatto ambientale negativa, proprio a causa dell'emergenza idrica della zona. C'era una popolazione contraria all'idea di vivere sotto l'incubo delle diossine e delle polveri sottili. E c'erano tanti, tantissimi dati e studi che dimostrano come quell'impianto è inutile. O meglio, utile solo a chi lo costruisce e a chi lo gestirà, grazie a centinaia di milioni di euro pubblici che verranno dalla norma del Cip 6.
Oggi contro la costruzione degli inceneritori ad Albano sono stati presentati diversi ricorsi al Tar, basati proprio sulla procedura di autorizzazione decisamente bizzarra. La decisione verrà dopo le elezioni, ma è già chiaro che la questione è politica. Ricordate l'amabile conversazione di Mario Di Carlo - l'assessore che prese la delega dei rifiuti dopo la fine del commissariamento gestito da Piero Marrazzo - eterni amico dell'avvocato Manlio Cerroni, il re del business dei rifiuti nel Lazio? «A tutti e due ci piace andare a mangiare la coda alla vaccinara, capito? Nel mondo che vive lui, co chi c...o ce va, co' Caltagirone a mangiare la coda alla vaccinara?», raccontava Di Carlo in un fuori onda su Report, ricordando le sue cene con Manlio Cerroni. E di certo - tra una coda alla vaccinara e una trippa - avrà avuto il tempo di parlare delle tonnellate di combustibile da rifiuti da mandare nei forni ad Albano. Si chiama Cdr tecnicamente, e a volte può essere una grande truffa.
«Butta dentro, brucia tutto»
Il 5 marzo dello scorso anno a Colleferro i carabinieri del Noe - su delega della Procura di Velletri - hanno scoperto un'enorme truffa, legata al Cdr. Nella città della provincia di Roma, al confine con il territorio di Frosinone, gli inceneritori sono in funzione da diversi anni. Dovrebbero bruciare il combustibile da rifiuti, producendo energia che una legge tutta italiana definisce «pulita», degna quindi di ricevere incentivi, equivalenti al 7% delle bollette. Secondo i Noe, però, negli inceneritori di Colleferro finiva di tutto. Il Cdr - fornito in buona parte dai due impianti romani dell'Ama - sarebbe stato alterato. Nell'inchiesta, appena conclusa dai magistrati di Velletri, appaiono chiare anche le conseguenze dell'attività dei due inceneritori: il sistema di controllo delle emissioni - secondo i Noe - non funzionavano, o meglio, i dati venivano aggiustati dai tecnici informatici quando qualche valore superava i limiti di legge. Deroghe fatte in casa, con qualche clic.
Le donne non allattano più
Da Colleferro parte il fiume Sacco, il corso d'acqua che poi confluisce nel Liri, in piena Ciociaria. L'intera valle, da una ventina d'anni, è contaminata dai resti del Ddt. Si chiama Beta esaclorocicloesano, industrialmente conosciuto come lindano. Era prodotto a meno di un chilometro dai due inceneritori e i resti sono stati per anni sotterrati in fusti, che alla fine hanno ceduto, riversandosi nella fognatura e nel fiume Sacco.
Sulle sponde del fiume c'era una delle zone di allevamento più ricche del Lazio. Vacche da latte, bufale, pecore per la produzione di caciotte e pecorini, formaggi tipici della Ciociaria. Migliaia di animali contaminati dai resti del Ddt, sono stati abbattuti. E quando la Asl di Frosinone è andata a controllare la presenza del lindano nel sangue delle famiglie di allevatori si è scoperta una «Seveso» nascosta: i valori del beta esaciclocloroesano raggiungono oggi anche dieci volte la concentrazione di sicurezza. Le donne di questa parte della Ciociaria non potranno più allattare i figli, visto che questo componente del Ddt si trasmette attraverso il latte materno. L'unica condanna arrivata ha colpito solo una piccola parte dei responsabili delle industrie chimiche di Colleferro, che ordinarono l'interramento criminale del lindano. La pena? Quattro mesi di reclusione.

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