Comunicato di pubblica resistenza al DDL intercettazioni

Gentile Onorevole Presidente del Consiglio dei Ministri Silvio Berlusconi, in questi giorni, in queste ore, il Parlamento della Repubblica Italiana è impegnato in una corsa contro il tempo per una più che rapida approvazione del disegno di legge firmato dall'Onorevole Ministro della Giustizia Angelino Alfano e noto come "ddl intercettazioni".

Il provvedimento rappresenta una delle più drastiche limitazioni al potere d'indagine che compete ai magistrati inquirenti del nostro paese e, al contempo, la più dura, feroce e devastante limitazione al diritto costituzionale di informazione; il diritto di farla e il diritto di riceverla.

Il progetto di legge, per mezzo dei suoi punti fondanti, impedisce il racconto giornalistico su fatti giudiziari di pubblico dominio e privi di segreto, stabilisce pene detentive e pecuniarie pesantissime verso chiunque osi divulgare verità giudiziarie, introduce nuovi obblighi di rettifica per i blog minandone la sopravvivenza, trasforma in crimine il diritto dei cittadini vittime di crimini di raccogliere prove audio e video a dimostrazione del reato e stabilisce odiose discriminazioni tra forme di giornalismo, all'interno di una drammatica limitazione del diritto ad effettuare inchieste giornalistiche.

Il diritto all'informazione nelle sue forme più elementari, il principio di legalità e la ricerca della giustizia vengono totalmente smantellati da tale provvedimento.

Pertanto questo sito internet dichiara sin da adesso che, per imprescindibili motivi etici e in ragione della difesa del diritto alla libertà di parola e di stampa, solennemente sancito dalla Costituzione italiana e dalle leggi vigenti, in caso di approvazione in via definitiva e di conversione in legge, non potrà attenersi in alcun modo alle norme che compongono il disegno di legge sulle intercettazioni.

Questo sito si dichiara altresì .. per imprescindibili motivi sia etici che politici .. deberlusconizzato .. demontizzato .. degrillizzato

mercoledì 31 ottobre 2012

SECONDA GIORNATA DEL GUERRILLA GARDENING ITALIANO


- SECONDA GIORNATA DEL GUERRILLA GARDENING ITALIANO -

4 NOVEMBRE 2012

Il 4 novembre 2011 si è celebrata la prima GIORNATA DEL GUERRILLA GARDENING ITALIANO durante la quale tutti i gruppi di Guerrilla Gardening di Italia hanno svolto un intervento verde di lotta al degrado nella propria città.

I Giardinieri Guerriglieri in Italia sono tantissimi e continuano a nascere gruppi in tutte le regioni, città e quartieri; ogni gruppo ha combattuto diverse battaglie, cercando di riconquistare spazi di verde in città. Ovunque si sente parlare di nuovi giardini condivisi, di aiuole profumate, di orti urbani e di fantasiose lotte al degrado. La rivolta del verde sta dilagando con radici sempre più fitte e forti.

La data (ironica e provocatoria) è stata scelta per un motivo ben preciso: anche noi, come i militari nel giorno della "Festa dell’Unità nazionale e delle Forze Armate", vogliamo mostrare le nostre "armi" (gli attacchi con le zappe, i rastrelli, le bombe di semi), nella speranza di dare un segnale molto forte che riporti l’attenzione al verde urbano e allo stesso tempo rilanciare il significato di Unità Nazionale" visto che i gruppi di Guerrilla Gardening si snodano dal nord al sud.
CONTRO TUTTE LE GUERRE NEL MONDO,
L’UNICA GUERRA POSSIBILE È QUELLA AL DEGRADO!

Anche quest’anno siamo pronti a festeggiare la nostra guerrilla in tutta Italia, con il nostro entusiamo!

Vorremo anche proporre a tutti i gruppi che parteciperanno e che festeggeranno con noi questa giornata di piantare più alberi possibile in modo da lasciare un segno più vistoso, prezioso e duraturo negli anni.

Per chi non avrà la possibilità di mettere a dimora un albero non importa, l’importante è lasciare un segno di speranza, di colore, di profumo, di bellezza.

I guerriglieri verdi che aderiscono all’iniziativa si ritrovano su Facebook nel gruppo Guerrilla Gardening Italia, aperto a chiunque voglia partecipare. Su Facebook e sui rispettivi siti/blog di ogni gruppo vengono postati tutti gli aggiornamenti sull’iniziativa.

Serbia e Kosovo, una relazione pericolosa

scontri interni e dispute tra UE, USA e Russia

Il 19 ottobre i leader di Serbia e Kosovo si sono incontrati per la prima volta dall'indipendenza di quest'ultimo Stato.  Il vertice, presieduto dal Commissario dell'Unione Europea per gli Affari Esteri Catherine Ashton, mira soprattutto a risolvere le tensioni etniche e a spianare la strada all'ingresso dei due Paesi nell'UE.  Nel caso del Kosovo Bruxelles caldeggia un'adesione accelerata, mentre con la Serbia frena, proprio perché non vede una soluzione alle controversie con lo Stato resosi indipendente nel 2008.

L'incontro non è piaciuto ai nazionalisti kosovari, che a Pristina si sono scontrati con la polizia.  In Kosovo sono frequenti le vendette contro la minoranza serba.  Ashton ha dichiarato che i leader dei due Paesi sono al lavoro per "normalizzare" le loro relazioni, ma per molti albanesi "la normalizzazione è indesiderabile perché la Serbia non è un Paese normale". Belgrado infatti ha una posizione negazionista rispetto ai crimini commessi durante le guerre nei Balcani.

Sui negoziati pesano anche gli interessi di tre grandi poli della politica internazionale:  la stessa UE, gli Stati Uniti e la Russia.  Gli USA sono da sempre grandi sostenitori dell'indipendenza kosovara.  L'Unione Europea ha posizioni più sfumate perché Paesi membri come la Spagna rifiutano ancora di riconoscere il nuovo Stato a maggioranza albanese.  I russi sono antichi alleati della Serbia e intendono contrapporsi all'influenza americana in questa regione.

L'adesione all'Unione Europea permetterebbe a Serbia e Kosovo di non dover più rivedere i confini, che secondo la giornalista Azra Nuhefendic sono l'aspetto più importante della controversia sull'indipendenza del Kosovo.  Religione e nazionalità secondo la reporter sarebbero solo dei pretesti per ridisegnare le frontiere.  Una sistemazione una volta per tutti della questione a livello europeo bloccherebbe anche la "balcanizzazione" di Stati quali la Bosnia e altre ex repubbliche della dissolta Jugoslavia, tutte comprendenti al loro interno minoranze serbe e di altre etnie.

la guerra fratricida della ex-Jugoslavia

La Jugoslavia federale era costituita da sei repubbliche (Serbia, Croazia, Slovenia, Bosnia-Erzegovina, Montenegro, Macedonia) e due regioni autonome unite alla Serbia (Kosovo e Vojvodina).  Con la morte di Tito, nel 1980, scoppiano le tensioni politiche che sono all'origine della guerra civile tra le varie repubbliche che componevano lo Stato federale.  Nel periodo che va dal 1990 al 1999, con un precedente nel 1989, quando la Serbia si oppone all'autonomia del Kosovo, le parti in guerra utilizzano a più riprese la pulizia etnica per prevalere. I dati sull'entità dello sterminio sono ancora provvisori: la continua scoperta di fosse comuni ne rende incerta la valutazione. In Bosnia, secondo un censimento compiuto dalle Nazioni Unite, fino al 1994 si registrano: 187 fosse comuni, contenenti, ciascuna, dai 3000 ai 5000 cadaveri; 962 campi di prigionia, per un totale di circa mezzo milione di detenuti; 50.000 casi di tortura; 3000 stupri.  Alla fine della guerra interetnica, nel 1995, si contarono 250.000 civili uccisi, tra i quali 16.000 bambini, e oltre 3.000.000 di profughi.  Nel Kosovo, nel 1998, i serbi uccisero 1645 civili, 270.000 albanesi (152 bambini e 78 donne); i profughi furono più di 250.000. Questi dati sono stati forniti dall'Alto Commissariato Onu per i rifugiati.  La responsabilità primaria è da attribuirsi ai serbi, che hanno dato inizio al conflitto, preparato da lungo tempo; ma responsabili sono anche i croati e i musulmani, che a loro volta hanno praticato l'epurazione etnica nei confronti degli altri gruppi.

Il Tribunale per i crimini di guerra nella ex-Jugoslavia, con sede all'Aja, istituito nel 1993, ha sino ad oggi incriminato 91 persone, tra le quali Radovan Karadzic, presidente della repubblica serbo-bosniaca dal 1992, Ratko Mladic, suo generale e Slobodan Milosevic, presidente delle repubblica serba dal 1992.  A partire dal 1990-1991, con la dichiarazione di indipendenza da parte delle repubbliche di Slovenia e Croazia, si spezza la fragile convivenza di popolazioni appartenenti a diversi ceppi etnici (serbo, albanese, croato, ungherese, rom ), con storie e religioni diverse (cristiani, cattolici e ortodossi; musulmani; ebrei ).  L'occasione storica è propizia per la realizzazione della grande Serbia.  Già nel 1937 gli estremisti nazionalisti serbi avevano preparato un programma genocidario per il Kosovo, con l'obiettivo di ripulire la Serbia degli elementi stranieri, deportando la popolazione kosovara verso l'Albania e la Turchia.  Nel corso della seconda guerra mondiale, peraltro, gli ustascia ("insorti", movimento fascista fondato nel 1928 da Ante Pavelic, con lo scopo di combattere per l'indipendenza della Croazia) usano in Croazia il metodo della pulizia etnica nei confronti dei Serbi, compiendo un vero e proprio massacro genocidario (300.000 vittime serbe).  Su queste vicende storiche si costituisce la certezza serba di rappresentare il "bene", mentre i croati vengono giudicati "il popolo che ha il genocidio nel sangue".

Il movente principale va ricercato nel nazionalismo esasperato, coltivato non solo dai serbi, ma da tutte le parti in causa, che si configura qui come una contrapposizione di tipo etnico- religioso.  A questo va aggiunta una rivolta delle campagne contro le città e dei sobborghi periferici contro il centro, secondo una ideologia che vedeva le città come luoghi di perdizione e la campagna come autentica e originaria fonte della nazione.  L'architetto serbo Bogdanovic parla di "urbicidio", inteso come "opposizione manifesta e violenta ai più alti valori della civiltà". 


La pulizia etnica, ovvero il tentativo di rendere una data area etnicamente omogenea, usando la forza e l'intimidazione per allontanare da essa persone di un altro gruppo etnico o religioso, caratterizza il decennio 1990-1999, nel corso del quale sia i serbi sia i croati tentano di istituire territori etnicamente omogenei attraverso una guerra totale che coinvolge i civili, rinchiudendoli in lager, e che usa, oltre all'eliminazione fisica e all'espulsione dei membri di altre etnie, anche lo stupro etnico.  Il periodo può essere diviso in tre fasi: dal giugno al dicembre del 1991 con gli scontri che accompagnano le dichiarazioni di indipendenza di Slovenia e Croazia dal febbraio del 1992 al dicembre dal 1995, fase legata alla dichiarazione di indipendenza della Bosnia-Erzegovina, che si conclude con gli accordi di Dayton, che definiscono i territori delle tre etnie:  musulmana, serba, croata dal 1998 al 1999, in cui si vede il tentativo da parte del Kososvo di ottenere l'indipendenza e quindi la nazione serba fermata dall'intervento Nato. 



Stragi Guatemala Contro la popolazione Maya

Come nel resto dell'America Latina, il modello economico-sociale prevalente in Guatemala dopo la conquista dell'indipendenza dalla Spagna nel 1821, fu quello del dominio della minoranza bianca, ricca e privilegiata, sulla maggioranza della popolazione autoctona o meticcia costretta alla povertà e priva di diritti. Nel 1954 un golpe militare pose fine a un tentativo di riforma agraria che rischiava di compromettere i tradizionali equilibri economici e di potere. Seguirono anni di potreste popolari, sia democratiche che di guerriglia. Fra il 1960 e il 1996 imperversò una guerra civile nel corso della quale si scontrarono gli interessi delle classi agiate urbane discendenti dai colonizzatori e quelli dei ceti più poveri e dei campesiños di etnia maya sparsi nei villaggi delle zone rurali del Paese.

L'apice della violenza fu raggiunto fra il 1978 e il 1983. In quell'arco di tempo l'esercito sterminò intere comunità maya nei villaggi più remoti e più poveri della regione centro-occidentale. La stragrande maggioranza delle vittime apparteneva al popolo Maya e abitava nella regione Ixil/Ixcàn, nel dipartimento del Quiché, dove fu eseguito il 90% delle stragi. I luoghi che, fra gli altri, rimangono tristemente famosi sono: Barillas e Nentón (nel dipartimento di Huehuetenango), Plan de Sánchez (Baja Verapaz), San Francisco Javier, Vibitz e Chicamán (dipartimento del Quiché). Nel 1994, sotto la pressione internazionale e col patrocinio dell'ONU, le parti in lotta si incontrarono a Oslo per concordare una cessazione delle ostilità. In quell'occasione nacque una Commissione per il Chiarimento Storico (CEH), con il mandato di ricostruire l'andamento degli eventi nel corso di quegli anni e di promuovere la riconciliazione sulla base della verità storica.  
Dopo un'indagine durata cinque anni, condotta con la cooperazione dei testimoni e col sostegno finanziario delle più importanti istituzioni internazionali, la CEH ha appurato che le stragi colpirono solo marginalmente obiettivi militari e si connotarono nella grandissima maggioranza dei casi, al contrario, come crimini contro l'umanità, nella fattispecie contro la popolazione Maya. La CEH ha stabilito in 626 gli episodi di massacri di civili inermi da parte delle forze governative. Il numero complessivo delle vittime è di circa 200.000, di cui 132.000 solo nel corso dell'operazione "terra bruciata" sotto i governi di Lucas Garcia e di Efrain Rios Montt, fra la fine degli anni Settanta e l'inizio degli anni Ottanta. A questi morti si deve aggiungere un milione e mezzo di sfollati causati dalla guerra, 150.000 rifugiati in Messico, 50.000 scomparsi. Il documento della CEH afferma che la responsabilità dei crimini è da attribuire allo Stato nel 93% dei casi, alla guerriglia nel 3% e ad altri soggetti nel rimanente 4%.


Sotto il profilo politico, la CEH ha accertato che la responsabilità diretta dei massacri va in primo luogo attribuita ai due capi di governo che si sono succeduti al potere fra il 1978 e il 1983: Romeo Lucas Garcìa e Efrain Rios Montt. L'esecuzione materiale delle stragi fu condotta sotto la supervisione del generale Hector Gramajo, coordinatore e supervisore dei comandanti militari delle operazioni per la zona occidentale (Alta e Baja Verapaces, El Quiché, Huehuetenango e Chimaltenango). Una menzione particolare merita il coinvolgimento di civili fra gli esecutori dei massacri, pianificato dai vertici politici e militari. Nei primi anni '80 fu ideato un piano militare (Plan Victoria) che istituiva un corpo paramilitare, a cui venne dato il nome di Pattuglie di Autodifesa Civile (PAC) col compito di affiancare l'esercito nell'azione repressiva. Molti civili furono reclutati, spesso con la forza, in queste PAC. Rios Montt perfezionò e intensificò l'uso delle PAC. Lo scopo era di fornire manovalanza all'esercito per il "lavoro sporco", con il duplice risultato di rendere più efficace la repressione e di dirottare su responsabili diversi dai militari eventuali accuse di crimini di guerra. Sebbene le PAC si siano rese responsabili di atrocità innumerevoli, studi dell'Università di Yale hanno dimostrato che, su ogni cento massacri compiuti nei primi anni '80, ottantasette sono da attribuire ai militari che agivano in base a un preciso disegno. Nel documento prodotto dalla CEH si parla di una strategia dello Stato mirata a eliminare la guerriglia e i suoi fiancheggiatori facendo terra bruciata in tutti i luoghi in cui avrebbe potuto attecchire. È accertata l'esistenza di documenti relativi alle campagne militari denominate Campaña Victoria 1982, Operativo Sofía del 15 luglio '82, Operación Ixil, Civilian Affairs del Plan Firmeza 1983.


Lo scopo era di eliminare persone o gruppi di civili indifesi per provocare il terrore come strumento di controllo sociale. In un'intervista il Generale Hector Gramajo, vicecapo dello staff di Rios Montt's, affermò "orgogliosamente" che "una delle prime cose che abbiamo fatto è stato di stendere un documento per la campagna con allegati e appendici. Era un lavoro completo pianificato fino all'ultimo dettaglio." Meno di un mese dopo il colpo di Stato di Rios Montt, nell'aprile del 1982, il Plan Victoria fu firmato dalla Giunta e messo ufficialmente in atto dieci giorni più tardi. Il segreto di Stato copre i documenti citati e si sono rivelati vani i tentativi delle organizzazioni per la difesa dei diritti civili, di costringere il governo a rendere pubblico il loro contenuto, classificato al livello più alto di segretezza e per questo inaccessibile per almeno 30 anni rinnovabili.


Nel clima di aspra contesa ideologica aperto dalla guerra fredda, l'obiettivo di ergere una diga contro il temuto dilagare del comunismo fu messo al di sopra di ogni considerazione umanitaria. I ceti privilegiati erano terrorizzati dall'idea che la rivendicazione di riforme sociali si risolvesse in un attentato al diritto di proprietà. Fu questo il movente dell'elaborazione della "dottrina della sicurezza nazionale", che fornì legittimazione alla violenza indiscriminata dello Stato contro chiunque rivendicasse una maggiore giustizia sociale. Tale dottrina consentì allo Stato di classificare come "oggettivamente comunista" chiunque fosse schierato sul fronte opposto e di renderlo passibile di annientamento. Qualunque forma di opposizione venne individuata come terreno di coltura del "nemico interno". Lo stesso impegno di molti sacerdoti per la difesa dei diritti dei più deboli venne considerato eversivo. Le campagne militari che si risolsero nello sterminio delle comunità Maya stanziate nelle zone rurali furono intraprese in nome della suddetta "dottrina". Erano frequenti i casi di militari alla ricerca di guerriglieri in Paesi precedentemente individuati come covi insurrezionali che, non trovando maschi adulti, rivolgevano la loro violenza contro gli abitanti inermi dei villaggi. Si hanno testimonianze di "esecuzioni" di donne, bambini e anziani, avvenute nel corso di campagne militari condotte indiscriminatamente contro interi paesi.


Le modalità di tali assassini vanno dallo sventramento alla decapitazione e al sotterramento delle vittime ancora vive in fosse comuni. Le donne, prima di essere uccise, venivano quasi sempre stuprate, spesso davanti agli occhi dei figli. Dopo di che, si faceva terra bruciata di quanto rimaneva. Le "operazioni di terra bruciata" nei confronti dei Maya comprendevano la completa distruzione delle loro comunità, case, risorse, mezzi di sussistenza, uso dei loro simboli culturali, istituzioni sociali, economiche e politiche, valori e pratiche culturali e religiose. Ai massacri di massa si accompagnava l'eliminazione di singoli oppositori mediante il sequestro e la tortura che si concludeva con la morte. Questa seconda modalità di assassinio era riservata ai capi sindacali, agli studenti, ai giornalisti democratici e agli intellettuali in genere.


Gli "invisibili" e la rinascita etica della Russia

 
       Intervista a Ol'ga Sedakov

Le dimostrazioni dell’inverno – primavera 2011- 2012 a Mosca sono state un fenomeno tanto seguito quanto inaspettato. Spesso i vertici politici le hanno paragonate al Carnevale nel tentativo di screditarle agli occhi dell’opinione pubblica. Ol’ga Sedakova, poetessa russa, ha scardinato questa concezione e spiegato come le proteste siano in realtà l’esatto opposto del Carnevale classico: i partecipanti, infatti, non indossano una maschera per assumere un’altra identità, ma sfilano a viso scoperto riaffermando la propria individualità. 
Tutto questo, secondo la Sedakova, è sintomo di una rinascita etica della Russia. L’individualismo estremo, reazione al trauma del collettivismo sovietico in cui ognuno perdeva il proprio volto, lascia spazio a nuove forme di partecipazione alla vita pubblica del Paese. È per questo stata possibile una rinnovata presenza alle celebrazioni del 30 ottobre, giornata della mempra delle vittime delle repressioni politiche. Abbiamo incontrato Ol’ga Sedakova al Convegno Est – ovest:
la crisi come prova e provocazione al bivio tra negazione e riscoperta dell’Io, organizzato da Russia Cristiana lo scorso 19 ottobre, e parlato con lei della situazione attuale in Russia, delle nuove forme di protesta, del ruolo degli “invisibili” e anche del caso Pussy Riot… 
  • Sappiamo che dopo le elezioni in Russia sono state prese misure restrittive contro i manifestanti e le associazioni russe e straniere. La nuova legge sui media limiterà ulteriormente la libertà di stampa. Come si vive nella Russia di Putin oggi? Quale clima si respira?
Il clima oggi è molto pesante. Nonostante i provvedimenti tocchino solamente alcune persone e alcune istituzioni, e quindi non si possa parlare di una vera e propria repressione, la situazione è molto pericolosa. E questo è solo l’inizio. Il nuovo corso infatti è stato tracciato in maniera chiara fin dal giorno in cui il corteo del rieletto leader russo è giunto al Cremlino attraversando una Mosca surrealmente vuota, tra cordoni di polizia che hanno fatto sgomberare tutto e tutti.
Nessuno all’inizio ha preso sul serio questo momento, perché guardando fuori dalle finestre tutti vedevano le manifestazioni, e la città blindata che mostrava la televisione sembrava irreale.
La realtà oggi è però costituita dagli assurdi provvedimenti adottati da Putin. È stata approvata una legge che vieta i rumori notturni, i rumori forti e i lamenti ad alta voce. Sono addirittura arrivati a proibire lo spostamento dei mobili negli appartamenti durante la notte. È questo il mondo in cui viviamo oggi, ogni giorno c’è una legge di questo tipo. Tutti ridono di queste norme paradossali, ma non c’è da aspettarsi nulla di buono da questa situazione.
  • Nonostante tutto, i manifestanti sono scesi in strada a Mosca. Lei dice che queste persone non vengono dalla politica e sono invece vicine all’associazionismo. Ci aiuti a capire, chi sono "gli invisibili" di cui lei parla? Perché sono scesi in piazza?
È molto difficile comprendere ciò che io intendo per “gli invisibili”. Molte di queste persone sono entrate in contatto con me personalmente perché amano le mie poesie e mi scrivono perché le hanno lette. Grazie a questi contatti ho scoperto che in diverse zone della provincia russa vengono organizzati gruppi di assistenza, come ad esempio per l’aiuto ai figli dei disabili. Molto spesso sono state create iniziative autonome e volontarie, non legate alla Chiesa o ad altri enti. Per questo mi sembra di poter chiamare “invisibili” queste persone, per la loro operosità silenziosa. A questo proposito ricordo un gruppo di intellettuali radunati in un programma televisivo per discutere della condizione del Paese, ancora prima che iniziassero le manifestazioni. Tutti usavano espressioni come “totale depressione” o “decadenza della morale”, e solo io presi posizione rivelando la presenza di associazioni spontanee di persone in tutta la Russia. Nessuno degli altri partecipanti sapeva di questi gruppi, a eccezione di un tedesco, il rappresentante della Fondazione Heinrich Boll, che era al corrente di queste iniziative poiché molti di quei volontari avevano già contattato anche lui. Incontri personali quindi, per poter scorgere gli “invisibili”. Con il passare del tempo questi individui hanno incontrato gli ostacoli posti dallo Stato sulla loro strada, e ciò li ha portati a manifestare per le vie di Mosca. Sono queste le persone che mi inducono a parlare di una "rinascita etica" della Russia.
  • È possibile che questa rinascita etica porti a un’azione politica in grado di cambiare la situazione? C’è un’alternativa a Putin?
I manifestanti che hanno sfilato a Mosca non hanno una rappresentanza politica, non sono spinti da un partito o da un leader. Gli uomini politici che hanno preso parte alle proteste non sono adatti al movimento stesso, perché sono persone “vecchie”, del passato, del vecchio modo di fare politica. La nuova politica tuttavia non ha mostrato figure che possano costituire una credibile alternativa al corso attuale. Sta però cambiando qualcosa. Poiché si è capito che a livello nazionale non si può fare nulla, stanno iniziando a crescere nuovi politici a livello locale, in vista delle prossime elezioni regionali.
  • In questo contesto, qual è il ruolo della Chiesa Ortodossa?
Date le caratteristiche dei movimenti dimostrativi, era lecito aspettarsi l’appoggio della Chiesa ortodossa. La realtà ha deluso molto. La Chiesa ha iniziato a presentarsi come difensore del regime, dimostrando di non essere un interlocutore possibile per coloro che vogliono manifestare. Tuttavia questo è vero solo per gli alti rappresentanti ufficiali, in quanto sono molte le persone che, pur appartenendo alla Chiesa, partecipano al movimento e ne condividono le istanze.
  • In Italia si è parlato molto del caso Pussy Riot. Cosa ne pensa?
Non condivido la modalità della protesta, perché la considero un passo indietro rispetto al movimento dei nastrini bianchi. Mentre in quelle manifestazioni persone comuni sfilavano a viso scoperto, le Pussy Riot hanno ripreso le maschere, si sono coperte il volto e hanno fatto riapparire le consuete provocazioni scandalistiche. Nonostante questa mia perplessità, dopo il loro arresto ho firmato una lettera al Patriarca insieme ad altre persone che si considerano ortodosse. Con questo gesto volevamo mandare un messaggio chiaro: “a noi non piace l’atto delle Pussy Riot, ma la Chiesa dovrebbe chiedere la loro grazia”. Un rappresentante ha risposto per dirci che il nostro era un atto arrogante, che avevamo osato troppo citando il Vangelo poiché non dovevamo certo essere noi a ricordare il Vangelo al Patriarca.
  • Anche alla luce di queste riflessioni, chi sono i Giusti secondo lei?
Partendo dagli esempi di Sacharov e Solzenicyn, il Giusto oggi diventa un individuo che assume una posizione che è anche politica. Malgrado la sua volontà, il Giusto è costretto a diventare tale quando si trova in un regime antiumano. Purtroppo il nostro governo appare proprio come un regime antiumano, e i Giusti oggi sono le persone comuni che scendono in piazza in difesa dell’umanità della politica.

martedì 30 ottobre 2012

“Progetto Riciclo” a Genzano di Roma, incontro con Ezio Orzes

(Fonte articolo, Controluce, clicca qui)
 

La gravità dell’emergenza rifiuti a Roma non trova eguali in nessun’altra grande capitale europea. È un dato di fatto. Roma caput ‘monnezza’ è il titolo che oggi ci presenta al mondo.  Non ci sono più scappatoie. Malagrotta ha finito i suoi giorni e si aspettano ora le pesantissime conseguenze di una gestione criminale durata svariati decenni.  Con la compiacenza di tutta la Regione Lazio e non solo.  Contro il ‘sistema Cerroni’, fortilizio apparentemente inespugnabile, un pugno di ragazzi che da cinque anni lottano a suon di ricorsi contro il colosso/molosso attirandosi inizialmente poche simpatie e tante recriminazioni.  Ma hanno tenuto duro, forti delle loro convinzioni che si sono poi dimostrate ragioni appurate, e hanno raccolto attorno a loro tanta parte di popolazione interessata al problema e non più passiva di fronte a violazioni evidenti.  E adesso il Parlamento europeo punta i fari sulla gestione rifiuti a Roma e nel Lazio, sollecitata da petizioni della popolazione locale riunita in Comitati che tutti insieme formano il Coordinamento No Inc.  A spingere tutto il movimento di protesta e le tantissime iniziative portate avanti negli anni, un servizio serrato d’informazione anche attraverso siti nati appositamente per seguire la questione e ragguagliare la cittadinanza.  Fra questi il sito ‘Differenzia-ti’, di grandissimo supporto al No Inc e a tutte quelle realtà più drammaticamente colpite da ogni forma di inquinamento.  ‘Informati e non delegare’ il principio ispiratore del sito, messo in atto alla grande con il ‘Progetto Riciclo’ organizzato in collaborazione con il comune di Genzano e che prevede un ciclo di incontri con i più qualificati esponenti della lotta contro discariche e inceneritori e dell’inquinamento in generale.  È stato così possibile nella prima assemblea pubblica di sabato 27 ottobre ascoltare dalla viva voce di Ezio Orzes, assessore all’Ambiente di Ponte nelle Alpi (provincia di Belluno) l’esperienza incredibile ma vera e documentata, di come si possa in ben altro modo condurre la gestione dei rifiuti.  L’incontro, partecipatissimo, è avvenuto nell’aula consiliare del Comune di Genzano di Roma alla presenza del sindaco Flavio Gabbarini e fra relazioni e dibattito si è protratto per circa tre ore, ma ci sarebbe voluta una tre giorni.  Ne riportiamo qui una piccola cronaca.  Saluto del sindaco che illustra le motivazioni dell’assemblea.  In sintesi:  avere sotto mano l’esperienza di comuni virtuosi e sensibilizzare la cittadinanza, in vista della partenza per la raccolta differenziata.  “Qui ai Castelli Romani non abbiamo tanti esempi salvo Ariccia.  Occorre cambiare politica per cambiare sviluppo, altrimenti avremo l’ampliamento della discarica e l’inceneritore di Albano.  Il porta a porta ha subito ritardi anche di ordine legislativo, c’è voluto un anno per ottenere 15 pareri (12 esterni) e ora siamo in fase di gara, speriamo a fine anno di individuare la ditta”. Introduce le finalità del convegno e l’ospite di questo primo incontro, Luca Tittoni fra gli ideatori dell’iniziativa:  “Il progetto nasce dall’idea di portare nel territorio dei Castelli Romani alcune tra le eccellenze italiane in fatto di raccolta differenziata porta a porta, riciclo e riduzione del monte rifiuti, per una visione d’insieme che abbracci anche gli aspetti sanitari che questo comprensorio vive e rischia di subire a causa dello smaltimento dei rifiuti”.
E parte il racconto di Orzes, supportato da proiezioni eloquenti. E così si viene a saper che tutto parte per una divergenza d’idee in seno all’amministrazione, e gli oppositori si buttano a capofitto in una avventura che vedrà in pochi anni il comune di Ponte salire in testa alla classifica dei comuni più ricicloni d’Italia e restare fino ad oggi imbattuto. E come hanno fatto?  Questione di responsabilità, spiega Orzes:  ‘Responsabilità è pensare lontano. Riuscire a immaginare la propria città e il proprio territorio fra dieci/venti anni è il respiro lungo che deve avere ogni amministrazione. Una capacità che cittadini e istituzioni sembrano aver perduto”. E già questo basterebbe a buttare nello sconforto il pubblico castellano e non solo, ma ora viene il peggio. Orzes, pacatamente e implacabilmente illustra la fame di rifiuti dell’inceneritore, che avrà bisogno di un flusso continuo di raccolta indifferenziata.  Moderno mostro che non si nutre di vergini ma di scarti, che poi risputerà avvelenando uomini e Ambiente. E perché può accadere questo?  “Se non si torna a poter immaginare la propria vita con la prospettiva della continuità vince la politica del ‘prendi i soldi e scappa’”. Esattamente quello che si sta verificando in tutto il Paese, una sorta di peste che pare abbia colpito in blocco i rappresentanti delle nostre istituzioni, assolutamente irresponsabili.  ‘Volontà di cambiare’ alla base di un salvataggio in extremis. ‘Offrire servizi di qualità ai cittadini senza lucrare’ la formula magica. Ma davvero si può? E dati alla mano Orzes dimostra come dal 2006 al 2011 la differenziata a Ponte sia passata dal 22.4% al 92% con abbattimento del costo di smaltimento e incremento dell’occupazione.  Perché quello che a Ponte si risparmia viene investito in posti di lavoro, e questo significa denaro. E l’esperienza prosegue con sempre nuovi e più arditi obiettivi, perché questo tipo di cultura è diventato patrimonio del luogo e si sta allargando in tutta la regione Veneto e oltre. Viene da pensare che nell’attuale forma di conduzione istituzionale parassitaria si stia insinuando una sorta di antagonista naturale, bello armato di conoscenza e volontà, che possa contrastare efficacemente l’opera di distruzione in atto. ‘Nuova vita’ in vista, con il mercato che si sta attrezzando per produrre solo materie riciclabili, pensate per il recupero totale. E allora addio al ‘sistema Cerroni’ e confraternita, si ricomincia da zero per arrivare ad una ‘economia responsabile’.  Partono le domande e di bello c’è che tutte trovano risposta, salvo ripiombare nella situazione locale, fatta per ora solo di parole, per quanto belle.  “A noi cosa manca per imitare il modello dei comuni virtuosi?” chiede un cittadino e Gabbarini risponde:  “Il problema dei Castelli Romani è politico come in gran parte dell’Italia;  instabilità amministrativa, la classe dirigente è quella che abbiamo, noi facciamo mea culpa ma non abbiamo visto attenzione dalla Regione Lazio”. E avanti nel dibattito, a proposito della partenza della raccolta differenziata, Gabbarini conferma:  “Se non ci saranno ricorsi (alla gara di appalto, ndr) entro il 31 dicembre si firma il contratto con la ditta e poi si dovrebbe partire in tarda primavera, per realizzare nell’arco del 2013 i primi step nelle zone di campagna”. Condizionale d’obbligo, e speranza pure. 

Prossimi incontri a dicembre con la dr.ssa Patrizia Gentilini (ISDE Italia) e a gennaio 2013 con Alessio Ciacci, assessore all’Ambiente del Comune di Capannori.




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domenica 28 ottobre 2012

Blob del 27/10/2012

Blob del 27/10/2012

L’Ue: “Rifiuti, nessuna capitale in emergenza come Roma”

(Fonte articolo, clicca qui)
L’emergenza rifiuti di Roma ha esempi simili nel resto d’Europa?

«In altre città italiane, come Napoli, senza dubbio; 
nel resto d’Europa vi sono medesime difficoltà in Romania, Bulgaria e Grecia, ma nessuna altra grande capitale europea vive la situazione di Roma. 

Una grande Città con la storia di Roma non si può permettere di continuare con questa situazione.  Non accetteremo passivamente altre proroghe per Malagrotta».  La risposta è dell’onorevole Judith Merkies, olandese e socialista, capo della delegazione del Parlamento europeo attesa domani a Roma, che fa anche sapere:  non saremo indifferenti di fronte alla realizzazione di una nuova discarica nei pressi di Malagrotta.

Su chi dovesse guidare la commissione, che si occupa delle petizioni inviate dai cittadini (una per Malagrotta, tre per Monti dell’Ortaccio), c’è stata polemica nel Parlamento europeo, ma ciò che conta è che ancora una volta si pone l’attenzione sull’emergenza Roma.  Il programma della visita, a cui parteciperanno anche parlamentari europei romani come Roberta Angelilli e Aldredo Antoniozzi, Pdl, e Guido Milana e David Sassoli, Pd, prevede già per domani una tappa a Malagrotta e a Monti dell’Ortaccio e l’incontro con i cittadini.  Previsto anche un colloquio con il prefetto Goffredo Sottile, il sindaco Alemanno e l’assessore provinciale Michele Civita.

Onorevole Merkies, con quali poteri agite?
«Il Parlamento europeo segue da anni la questione dell’applicazione della normativa ambientale europea in Italia e ha deciso di inviare una missione speciale a seguito di una petizione della popolazione locale.
Il nostro principale interesse è quello di comprendere le ragioni dei richiedenti e aiutare a trovare una soluzione.
Cercheremo il dialogo con gli altri soggetti interessati e se nel caso avvieremo anche un confronto con la Commissione Europea.
Il nostro rapporto finale sarà molto importante, perché la Commissione europea deve tenere conto delle osservazioni del Parlamento Europeo. Questo potrebbe avere un impatto sulla procedura di infrazione o sull’erogazione dei fondi comunitari. Pensiamo comunque che la collaborazione e il dialogo istituzionale in Italia siano la strada maestra».

Cosa pensa della gestione dei rifiuti a Roma e nel Lazio?
«È sotto osservazione da parte della Commissione Europea.
Bisogna avere garanzie sul fatto che i rifiuti non trattati non finiscano in discarica.
L’utilizzo di Malagrotta a questo fine è esattamente il contrario di ciò che si deve fare.
Le continue proroghe rendono la situazione particolarmente grave soprattutto perché il piano per il suo superamento non accenna ad essere attuato».

A che punto è la procedura d’infrazione della Commissione europea?
«Le conseguenze di una procedura di infrazione sono pesanti multe di diversi milioni di euro. La commissione non è disponibile ad accettare passivamente ulteriori proroghe».

Cosa pensa dell’ipotesi di realizzare un’altra discarica a Monti dell’Ortaccio, vicino a Malagrotta e di prorogare per altri quattro mesi Malagrotta stessa?

«Le petizioni che abbiamo ricevuto da parte delle popolazioni locali riguardano proprio questa questione, denunciano una eccessiva vicinanza di questa eventuale discarica al sito di Malagrotta e località gravata da altri impianti inquinanti.
 Non si può intervenire da Bruxelles sulla localizzazione di un sito, ma nel farlo in Italia si deve tener conto della volontà dei cittadini e delle amministrazioni locali.
Se ciò non avviene, si violano precise normative europee.
Se dovesse avvenire, non saremmo assenti».

Primo incontro “Progetto Riciclo” – Ringraziamenti

L’associazione Differenziati ringrazia Ezio Orzes per la sua partecipazione ed il prezioso intervento di ieri nel corso del primo incontro di “Progetto Riciclo”, ringrazia i cittadini dei Castelli Romani intervenuti e l’amministrazione di Genzano di Roma che ha reso possibile lo sviluppo e la realizzazione della nostra idea.  Non si tralasciano assolutamente ma si ringraziano con la stessa intensità movimenti, associazioni e giornalisti presenti ed intervenuti.  I

Il prossimo incontro di “Progetto Riciclo” si terrà sabato 1 dicembre alle ore 17:00 presso l’aula consiliare del Comune di Genzano di Roma.

ASSANGE E IL DEBITO IMMORALE

Forse non tutti sanno che la speculazione internazionale, che sempre più spesso mette in ginocchio intere economie nazionali, spesso viene tacitamente legittimata nel suo itinerario di percorso vorace e distruttivo.
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La comunità economica internazionale che si riunisce intorno ad acronimi quale FMI, oppure WTO, spesso è direttamente responsabile di interpretare un duplice ruolo, che riunisce caratteristiche diverse.
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Da una parte si pone come organo carismatico alla guida delle strategie finanziarie che dovrebbero garantire una certa stabilità agli Stati membri, mentre dall’altra soffoca con imposizioni vessatorie quegli Stati che raggiungono un debito nazionale giudicato eccessivo.
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Il fatto è che, paradossalmente, l’ambiguità della leadership coincide con due elementi opposti : la causa e l’effetto della crisi finanziaria stessa.
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Accade che i politici e gli economisti preposti alla gestione di capitali finanziari immensamente grandi, altro non siano che il braccio operativo di grossi gruppi bancari, o di multinazionali del potere economico mondiale, che tentano in ogni modo di fagocitare comunità intere ed intere nazioni pur di aumentare a dismisura il loro potere e la loro ricchezza, anche se ciò va  a discapito delle popolazioni.
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I sistemi adottati per raggiungere lo scopo di questi pescecani della finanza passano attraverso la corruzione e le violazioni dello stato di diritto che appartengono alle rispettive Costituzioni nazionali.
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Possiamo benissimo vedere con i nostri occhi quello che succede in Italia e in Europa, dove il debito degli Stati prolifera in maniera esponenziale, rendendo i cittadini ostaggio delle tragiche conseguenze che ne derivano.
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La prima conseguenza di tutto ciò è la spaventosa crisi economica che ci sta attanagliando.
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Le aziende chiudono i battenti, mentre aumenta a dismisura il numero di coloro che hanno perso il posto di lavoro.
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Gli imprenditori, strangolati dalle vessazioni di un fisco iniquo e di stampo medioevale, ricorrono al suicidio come ultimo atto tragico e risolutivo di una situazione che non ha vie di sbocco.
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Tutto ciò è già successo in altri Paesi, come in Argentina e in Ecuador, ma la reazione di questi Stati è stata molto diversa dalla nostra.
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Mentre in Italia, per esempio, si ricorre alla vera e propria vessazione delle classi sociali, soprattutto di quelle più deboli, e all’imposizione di misure restrittive basate su un ferreo rigore economico, volute dalla comunità economica internazionale, nei Paesi sudamericani la risposta è stata invece in sintonia con i sentimenti e gli interessi popolari.
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L’Argentina, ad esempio, ha rifiutato di seguire la strada indicata dal FMI che voleva imporre una strategia di strangolamento finanziario dell’intera popolazione, che prevedeva tagli occupazionali e alle imprese, optando invece per una politica opposta, basata su una visione Keynesista del proprio futuro finanziario.
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L’Argentina ha sempre sostenuto che le teorie e le strategie espresse dal FMI e dalla Banca Mondiale fossero errate, e si è mossa in maniera da contrastare le imposizioni degli organismi internazionali.
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I fatti le hanno dato ragione, visto che la nazione latino-americana è riuscita a saldare il debito in meno di dieci anni, investendo in infrastrutture, in ricerca e in innovazione, anziché tagliare, e operando per ottenere un benessere equo e sostenibile.
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Successivamente l’Argentina ha rivendicato il diritto di risarcimento per il disastro economico verso cui era precipitata attuando le politiche economiche e di strategia finanziaria in cui era stata coinvolta dal FMI, complici la Gran Bretagna e gli USA.
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Per la sua denuncia l’Argentina si è avvalsa di una serie di files messi a disposizione da Assange, per mezzo di WikiLeaks.
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Le trascrizioni delle conversazioni avvenute tra USA, Francia, Gran Bretagna, Italia, Germania, e il Vaticano, palesano una volontà comune di mettere in ginocchio le economie sudamericane, e di appropriarsi delle loro risorse energetiche, osteggiando i piani economici di ispirazione Keynesiana a favore di una sudditanza economica al FMI.
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La politica neo colonialista europea è comprovata dai files offerti da Assange e questo spiega l’accanimento della Gran Bretagna e dei suoi alleati nel perseguirlo.
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Ora esaminiamo la situazione dell’altro Paese sudamericano che si è scontrato con il FMI a causa del suo debito nazionale : l’Ecuador.
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Anche in questo caso la reazione del Paese latino-americano non è stata quella di sottomettersi ai dictat economici degli organismi finanziari internazionali, ma anzi si è sviluppata in un deciso e netto rifiuto di ottemperare al pagamento del debito, con la seguente motivazione : debito immorale !
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Secondo l’Ecuador i debiti consolidati dello Stato verso la comunità internazionale sono stati ottenuti dai governi precedenti attraverso la corruzione, la violazione dello Stato di Diritto, e la violazione di norme costituzionali.
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In base a questa convinzione, nel 2008 il Presidente dell’Ecuador ha deciso di cancellare il debito nazionale, considerandolo immondo e immorale.
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L’Argentina ha sancito ufficialmente un principio costituzionale  secondo il quale ciò che è giusto per la collettività, allora diventa legittimo.
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Se applicassimo anche in Italia questo principio svuoteremmo il Parlamento Italiano dai parassiti che lo popolano, e riempiremmo le carceri con gli affaristi e i banchieri che stanno strangolando la nostra economia.
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Potremmo rendere nulle le manovre speculative che hanno ridotto sul lastrico le nostre aziende, e operare per una rinascita nazionale altrimenti impossibile.
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Forse non tutti sanno che l’accettazione del concetto di “debito immorale” è stato approvato dalla comunità internazionale, ed è già stato applicato in passato, oltre che dall’Ecuador, anche da George Bush, in occasione del debito accumulato da Saddam Hussein.
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In quell’occasione gli USA cancellarono il “debito immorale” di 250 miliardi di euro ( di cui 40 miliardi nei confronti dell’Italia, prodotti dalle manovre speculative di Taraq Aziz, vice del dittatore iracheno e uomo dell’Opus Dei, fedele al Vaticano ).
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A proposito di “debito immorale”, Assange si è detto disponibile a documentare le attività speculative e illegali svolte dagli USA in Ecuador, fornendo i file di WikiLeaks che comprovano le responsabilità dirette degli americani.
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Julian Assange ha firmato il contratto di delega per i suoi diritti legali con Baltasar Garzòn, un insigne giurista spagnolo, ex responsabile della Procura reale di Madrid e nemico giurato della criminalità organizzata.
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Come tutti sanno Assange è praticamente asserragliato all’interno dell’ambasciata Ecuadoregna a Londra, avendo ottenuto asilo politico dall’Ecuador.
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La Gran Bretagna ha ventilato l’ipotesi di poterlo prelevare all’interno della sede dell’ambasciata dell’Ecuador, nonostante l’extraterritorialità della sede diplomatica, e questa crudezza di intenti la dice lunga sulle reali intenzioni dei poteri forti londinesi.
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Il timore di Julian Assange, l’ex hacker australiano, infatti, è quello che se fosse arrestato ed estradato in Svezia, potrebbe poi essere di nuovo estradato negli Stati Uniti, dove sarebbe ostaggio della CIA, e giudicato per il reato di terrorismo.
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Washington è infatti seriamente intenzionata a punire Assange per aver pubblicato su wikiLeaks migliaia di messaggi diplomatici degli USA coperti da segreto, che provocarono grande imbarazzo, e per aver fatto rivelazioni in concomitanza del conflitto Nato-Iraq.
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Assange è ora protetto dall’immunità diplomatica, all’interno dell’ambasciata dell’Ecuador, e ha già fatto sapere che il suo legale Garzòn è pronto a denunciare diversi Capi di Stato occidentali al Tribunale dei diritti civili che ha sede all’Aja.
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L’accusa che rivolgerà ai Paesi occidentali sarà quella di “crimini contro l’umanità, e di crimini contro la dignità della persona”.
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Gli USA e la Gran Bretagna non fanno mistero del fatto che vorrebbero Assange morto.
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Ecco perché Assange si è rifugiato all’interno dell’ambasciata dell’Ecuador.
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Ecco perché l’Impero Britannico ha perso le staffe !
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Il materiale a disposizione di Assange è la prova di tutto ciò che oramai sappiamo, e cioè che siamo nelle mani di una banda di delinquenti, che ci manipola e ci affama, togliendoci la vita stessa.
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Dobbiamo combattere questa gentaglia, questi nemici dell’umanità.
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Dobbiamo reagire e rifiutare i “debiti immorali”, conseguenza di strategie finanziarie speculative di gruppi occulti, come il Bielderberg.
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Dobbiamo combattere la classe politica disonesta e arrogante che sta massacrando la nostra economia e la nostra esistenza.
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sabato 27 ottobre 2012

No Monti Day: in migliaia a Roma, studenti bloccano la tangenziale

E’ partito intorno alle 15 il corteo del ‘No Monti Day’ romano, in una città blindata da circa un migliaio di agenti schierati per le strade della capitale.

I primi a partire sono stati gli studenti, che dall’Università La Sapienza hanno raggiunto il concentramento del corteo in piazza della Repubblica, dove alcune migliaia di persone per il ‘No’ al governo di Monti e alle politiche di austerity imposte a livello europeo.

All'appello hanno risposto studenti, precari, sindacati di base e il movimento No Tav;  presenti anche alcune figure istituzionali che non hanno però trovato molta accoglienza tra la folla che riempiva piazza della Repubblica:  questa la sorte toccata, ad esempio, a Fausto Bertinotti, contestato e fischiato alla partenza della manifestazione.

Il corteo si è snodato per le vie di Roma fino a piazza San Giovanni, scelta come termine della manifestazione;  lungo il percorso è stata sanzionata la sede Unipol di via Cavour, colpita con lanci di uova e vernice, e l’assessorato alle politiche sociali e della salute di Roma.

Giunti in piazza San Giovanni una parte del corteo composta da un migliaio di studenti e studentesse ha deciso di deviare dal percorso prestabilito e da piazza San Giovanni si è diretto fino alla Tangenziale Est, bloccandola e mandando in tilt il traffico.

Dopo aver sfilato lungo la tangenziale il corteo selvaggio ha bloccato anche l’accesso all’A32 per poi rientrare alla Sapienza di Roma.

Il corteo si è quindi concluso nel tardo pomeriggio rilanciando sullo sciopero generale.

No inceneritore no discarica SI DIFFERENZIATA

Categoria: Ambiente e territorio Albano | Ambiente e Territorio Ariccia » 2pm - Oct 27, 2012
NO INCENERITORE, NO DISCARICA, SI ALLA DIFFERENZIATA!!! Rifiuti - Cittadini e Coordinamento No Inc ancora in lotta. Corteo contro la costruzione dell’Inceneritore e del settimo invaso della discarica di Roncigliano. Albano Laziale - Sabato 20 ottobre intorno alle ore 15,30 l’appuntamento è in Piazza Mazzini ad Albano Laziale, per incontrarsi e dare inizio al decimo corteo contro la costruzione dell’inceneritore e l’ampliamento della discarica di Roncigliano. Venerdi su diversi giornali è apparsa una notizia che il popolo del No Inc ha accolto con entusiasmo, e dalla Repubblica ne riportiamo il titolo dell’articolo “Truffa, estorsione e associazione a delinquere maxi-inchiesta su Cerroni, re delle discariche”. 
Il raduno si fa consistente da superare le mille persone, l’atmosfera è allegra e l’ottimismo è tra la gente. 
Telecountrynews intervista Daniele Castri che fa il punto della situazione ma, come sempre sostiene di non abbassare mai la guardia su argomenti scottanti come questo difatti sottolinea l’iniziativa di un banchetto per la raccolta delle firme per il ricorso alla Corte Europea di Strasburgo dei diritti dell’uomo. 
L’argomento del giorno sottolineato da TCN è la raccolta differenziata nei Comuni dei Castelli e nelle residenze dei cittadini partecipanti al corteo, presenti alla manifestazione alcuni Amministratori locali e politici della Regione Lazio tra i quali il Sindaco di Albano Laziale Nicola Marini, l’Assessore all’Ambiente del Comune di Genzano di Roma Giorgio Ercolani, l’Assessore delegato del Comune di Castel Gandolfo  Massimo Zega e il Presidente dei Verdi alla Regione Lazio Nando Bonessio. 
La manifestazione come sempre ha voluto continuare a sensibilizzare la cittadinanza di Albano e di  Ariccia dove si è concluso il corteo, comunque della cittadinanza castellana e non, al fine che tutti  prendessero coscienza dei rischi per la salute che la popolazione corre oggi e correrà con la costruzione dell’ECOMOSTRO.  Grido ricorrente:  No all’inceneritore, no alla discarica, SI ALLA DIFFERENZIATA 
Telecountrynews ha realizzato il servizio video della manifestazione.

Spina N°26

Er Pesce anche questa volta è riuscito in qualche modo a trovare un pc per farvi avere "La Spina" di oggi.  


ABBIAMO MENO DI 24 ORE


Ve lo ricordate il diritto di rettifica


Quella norma allucinante contenuta nel Ddl Intercettazioni che estendeva alla rete una serie di obblighi che avevano un senso se pensati nel 1948 per la carta stampata?  Avevamo lavorato molto, io e voi, su questo blog, per scongiurarla.  E ci eravamo riusciti, riuscendo a a far passare il nostro emendamento in Commissione Giustizia. 


Poi il Ddl Intercettazioni si era arenato.  
Ma non si sono dati per vinti:  
il diritto di rettifica applicato al web 2.0 è stato ripresentato, grazie al caso Sallusti, ed è più feroce e inconcepibile di prima

E il Senato l'ha già approvato.

Abbiamo meno di 24 ore di tempo.  E' la vendetta dei partiti contro il web che gli ha rotto il giochino.  Per spiegarvi perché, faccio anch'io copia-incolla delle parole di Guido Scorza, una nostra vecchia conoscenza, riprese anche dal blog di Alessandro Gilioli che aggiunge carinamente gli indirizzi email dei responsabili.

Ma prima vi dico una cosa. 

Non solo io non rimuoverò un singolo bit da questo blog, ma annuncio anche la formazione di un'associazione che tutelerà tutti i blogger, compreso me stesso, dall'avanzata di questo medioevo di barbari dell'informazione.

LA VENDETTA DEI PARTITI SULLA RETE

Dal blog di Gilioli via il blog di Scorza sul Fatto.

«Tutte le “testate giornalistiche diffuse per via telematica” – definizione tanto ambigua da abbracciare l’intero universo dell’informazione online o nessuno dei prodotti editoriali telematici – saranno obbligate a procedere alla pubblicazione delle rettifiche ricevute da chi assuma di essere stato ingiustamente offeso o che i fatti narrati sul suo conto non siano veritieri.

In caso di mancata pubblicazione della rettifica entro quarantotto ore, si incapperà in una sanzione pecuniaria elevata fino a 25 mila euro ma, prima di allora, si correrà il rischio di essere ripetutamente trascinati in Tribunale ingolfando la giustizia e facendo lievitare i costi per difendere il proprio diritto a fare libera informazione.


Proprio mentre la Cassazione prova a mettere un punto all’annosa questione dell’applicabilità della vecchia legge sulla stampa all’informazione online, escludendola, il Senato, la riapre stabilendo esattamente il contrario: 

la legge scritta per stampati e manifesti murari si applica anche ad Internet.

Ce ne sarebbe abbastanza per definire anacronistica e liberticida la disposizione appena approvata dalla Commissione Giustizia del Senato ma non basta.

La portata censorea di questa norma è nulla rispetto a quella di un’altra disposizione contenuta nello stesso provvedimento appena licenziato dal Senato:  l’art. 3, infatti, stabilisce che “fermo restando il diritto di ottenere la rettifica o l’aggiornamento delle informazioni contenute nell’articolo ritenuto lesivo dei propri diritti, l’interessato può chiedere ai siti internet e ai motori di ricerca l’eliminazione dei contenuti diffamatori o dei dati personali trattati in violazione della presente legge”.

E’ una delle disposizioni di legge più ambigue ed insidiose contro la Rete che abbia sin qui visto la luce perché è scritta male e può significare tutto o niente.

Una previsione inutile se la si leggesse nel senso che chiunque può chiedere ciò che vuole a chi vuole, senza, tuttavia, che il destinatario della richiesta sia tenuto ad accoglierla.

Una previsione liberticida se, invece – come appare verosimile – finirà con l’essere interpretata, specie da blogger e non addetti alle cose del diritto, nel senso che, a fronte della richiesta, sussiste un obbligo di rimozione.

In questo caso, infatti, assisteremo ad una progressiva cancellazione dell’informazione libera e scomoda online, giacché, pur di sottrarsi alle conseguenze della violazione della norma o, almeno, non trovarsi trascinati in tribunale, blogger, gestori di forum di discussione, piccoli editori e motori di ricerca, finiranno con l’assecondare ogni richiesta di rimozione.
Sarebbe la fine della Rete che conosciamo e la definitiva prevaricazione della voce del più forte sul più debole.

Esattamente il contrario di ciò di cui avremmo un disperato bisogno in un Paese come il nostro che vive, da anni, il problema della mancanza di informazione libera:  una norma che punisca chiunque provi a censurare, imbavagliare o mettere a tacere un blogger o chiunque faccia informazione.


Domani il testo approda all’assemblea di Palazzo Madama per la discussione ed il voto definitivo:  ci sono meno di 24 ore per salvare quell’informazione online che, ovunque nel mondo, sta dando prova di rappresentare la più efficace alleata di ogni società democratica contro i soprusi e le angherie di ogni regime palese od occulto».

Ringraziamo quindi tutta la Commissione, in particolare il senatore
Filippo Berselli (PdL: berselli_f – chiocciola – posta.senato.it oppure on.filippo.berselli – chiocciola - studioberselli.com) e la senatrice
Silvia Della Monica (Pd: dellamonica_s – chiocciola – posta.senato.it). 
Sono ovviamente indirizzi mail pubblici, presenti nelle pagine ufficiali sul sito del Senato.


venerdì 26 ottobre 2012

Operazione #AntiSecIta: due note in merito

All'indomani dell'ultima operazione di Anonymous che, come (quasi) sempre avviene, individua obiettivi largamente condivisibili e li colpisce con efficacia, proviamo a fare un breve bilancio dei risultati dell'operazione ai danni, questa volta, della Polizia di Stato. 

Ci sembra utile tornare su una vicenda che qualcuno ha ovviamente interesse a far dimenticare il più velocemente possibile e che, ci pare, molte realtà politiche e sociali di compagn* non hanno saputo cogliere nella giusta dimensione. Non intendiamo fare qui l'apologia della Rete e delle sue possibilità emancipatorie. 

Ci piace però registrare, per l'ennesima volta, come le letture apocalittiche di chi ci racconta di una società del controllo generalizzato dimentichino la permanenza di buchi, pieghe, incongruenze che possono produrre qualcosa di non-previsto, che questa volta ha preso la forma del sabotaggio informatico. 

In questo ore molti account FB del movimento No tav stanno lavorando sui dati: probabilmente perché a fronte della perdita di un pò di privacy di alcuni di loro fa da contraltare la possibilità di produrre delle conferme di fatti che a molt* sono già noti, ma che in questa caso verrebbero confermati dalla stessa controparte a livello storiografico.  Si aggiunge cioè un livello di veridificazione a livello collettivo (che chissà, magari potrebbe tornare utile anche nei processi oltre che in termini di opinione pubblica).

Un silenzio assordante
Il principale dato politico del giorno dopo ci sembra debba essere colto nel silenzio politico e mediatico della vittima designata dell'operazione.  Dopo 36 ore dalle pubblicazioni dei 'leaks' scomodi, il Ministero degli Interni ha proferito poche e veloci parole, volte a minimizzare l'entità del danno e assicurare che non sono stati violati i server ma «registrati indebiti accessi a diverse e-mail personali di operatori delle forze di Polizia»

Il che, forse, è anche peggio.  In ogni caso, il silenzio s'impone per l'impossibilità di trattare altrimenti la notizia:  di umiliazione si è trattato!

L'aspetto più imporatente della vicenda è però la convergenza, questa volta davvero assoluta, tra potere politico-istituzionale e sistema dei media.  Non scopriamo l'acqua calda, come qualcuno potrebbe pensare.  Certamente questi due livelli sistemici sono integrati e si sorreggono l'un l'altro.  Ognuno ha però dinamiche, economie e modi di funzionamento che gli sono propri:  molto spesso la «notiziabilità» di un fatto s'impone e inizia a circolare nell'infosfera con proprie leggi che si auto-alimentano e che, talvolta, sfuggono alla governance mediale. Il dato che colpisce è l'assoluto silenzio dei principali quotidiani del mainstream (LaStampa, Repubblica, Corriere...ecc).  L'ingiunzione al silenzio dall'alto ci pare plausibile.  Altrimenti, come qualcuno suggerisce, la ragione potrebbe risiedere nell'arretrateza del giornalismo italiano, poco alfabetizzato ai nuovi media, specie nelle sue versioni cartacee (nelle versioni on-line qualcosa è «passato»).  Ci sembra più verosimile la prima ipotesi, comunque.


Il dito e la luna
L'altro aspetto che vogliamo sottolineare è la poca lucidità politica (a nostro modesto avviso) con cui molt* compagn* hanno sviluppato in Rete una polemica nelle ore immediatamente successive alla diffusione dei 'leaks', incolpando Anonymous di faciloneria e pubblicazione on-line di dati riservati.  Certamente c'è stata un po' di leggerezza e forse gli anonimi ne faranno tesoro per le loro azioni successive.  Del resto, il problema della privacy è una costante dentro Anonymous a livello internazionale quando vengono messe in atto operazioni di questo tipo.  A volte viene affrontata con successo, a volte no.

La polemica ci fa venire alla mente però la metafora del 'dito e della luna' e ci chiediamo quale meccanismo scatti nell'ostinarsi ad andare a cercare sempre il pelo nell'uovo e il dettaglio invece di considerare il senso politico generale.  Ci pare di individuare una certa coazione a ripetere, mossa da un disperato bisogno di cogliere sempre l'identico e rattristarsi perché le cose e i fenomeni che emergono – necessariamente pieni di limiti e contro-indicazioni come tutti i processi umani - non sono come li vorremmo.

Una sorta di auto-condanna all'inattività.

Sarebbe forse il caso di lasciare la parola ai protagonisti dei 'leaks' più «scottanti», cioè i diretti interessati, che ci sembrano essere soprattutto compagn* della Val Susa e di Torino (personaggi pubblici che ci pare non abbiano vissuto eccessivamente come un problema l'essere citati, sapendo di essere schedati e mettendolo in conto).  Semplificando:  è come quando si usano i social media:  si guadagna in qualcosa (una maggior attenzione o un livello di comunicazione potenziato) e si perde in altro (privacy e controllo dei propri dati personali).  Proprio la privacy non ci sembra essere un valore assoluto (soprattutto perché «fare politica» è costruire – e quindi, necessariamente – mostrarsi pubblicamente);  essa va coniugata a seconda dei contesti di lotta che di volta in volta attraversiamo:  il nostro passo è quello del trapezista sulla fune tirata a 1000 metri di altezza e può dover cambiare di continuo.

Aggiungiamo un'altra riflessione:  spesso chi fa queste considerazioni (ovviamente non è il caso  de* compagn*) sulla privacy violata o le fa per ignoranza complessiva del fenomeno o per strumentalizzare l'evento e tentare un'estrema difesa:  quando Wikileaks pubblicò i diari di guerra afghani (e lì eravamo in Afghanistan e non a Chimontistan) il comando Nato si scagliò contro la «violazione della privacy» degli informatori dell'Alleanza Atlantica:  la loro vita avrebbe corso gravi pericoli, dicevano al tempo.  Tre mesi dopo furono costretti a fare marcia indietro pubblicamente dicendo che di fatto questa dinamica non si era verificata, neanche in minima parte.  Oggi questo giochetto ha provato a farlo Massimo Numa sulle pagine locali della Stampa:  è un tentativo, un pò misero e mal riuscito, di spostare l'attenzione sugli aspetti meno rilevanti della vicenda.  Non diamogli una mano!  Gioiamo piuttosto dell'umiliazione che tante questure hanno subito in queste ore!

Infine, se a qualcun* sta tanto a cuore la privacy violata dalla disclosure #AntiSecIta, apra un dibattito e si proponga ad Anonymous Italia come correttore di bozze.  WikiLeaks lo fa con migliaia di collaboratori sparsi per il mondo che lavorano in incognito e gratis.

Sull'argomento segnaliamo due interviste realizzate da un nostro redattore questa mattina su Radio Blackout:

Intervista con Carola Frediani, giornalista, autrice dell’inchiesta “Dentro Anonymous”

Intervista con Carlo Formenti, studioso di Nuovi Media e autore di “Felici e sfruttati”








CONDANNA A 4 ANNI DI CARCERE PER IL PIDUISTA BERLUSCONI

di Gianni Lannes

L'aspirante nuovo Presidente della Repubblica, già ex presidente del Consiglio dei Ministri,  
Silvio Berlusconi, già tessera numero 1816 della loggia massonica deviata Propaganda 2
governata da Eugenio Cefis (& mister Licio Gelli) - è stato condannato a 4 anni per frode fiscale nell'ambito del processo Mediaset.  Il presunto "socio occulto" di Silvio Berlusconi, il prenditore Frank Agrama, è stato condannato a 3 anni di carcere dal Tribunale di Milano, nel processo sulle irregolarità per la vendita di diritti televisivi e cinematografici.  
 
Berlusconi, inoltre, è stato condannato anche all'interdizione dai pubblici uffici per tre anni nell'ambito dello stesso processo. Insomma, un briciolo di giustizia terrena.  
 
Il tanto "onorevole" Berlusconi, già fodanatore di Forza Italia e poi del Pdl - rammentiamolo agli smemorati - non poteva addirittura candidarsi in ragione di una legge ancora in vigore - clamorosamente elusa dalla finta opposizione del centro sinistra - poiché titolare negli anni '90 di emittenti televisive.
 
Col meccanismo dei costi gonfiati nella compravendita dei diritti tv è stata realizzata una "evasione notevolissima".  Lo scrivono i giudici di Milano che hanno condannato fra gli altri Silvio Berlusconi a 4 anni, e che hanno letto in aula le motivazioni della sentenza "Non è sostenibile che la società abbia subito truffe per oltre un ventennio senza neanche accorgersene".  Lo sostengono i giudici nelle motivazioni della condanna a Silvio Berlusconi, definito "dominus indiscusso" della società, nell'ambito del processo Mediaset.  Sempre secondo i giudici invece c'è stato "un preciso progetto di eversione esplicato in un arco temporale ampio e con modalità sofisticate".  Silvio Berlusconi, "gestiva il sistema anche dopo la discesa in campo" politica. 

La condanna all'interdizione dai pubblici uffici per tre anni inflitta dal Tribunale di Milano a Silvio Berlusconi nel processo Mediaset non è immediatamente esecutiva, ma lo diventerebbe solo se la sentenza dovesse passare in giudicato, quindi con il terzo grado di giudizio. In questo caso, Berlusconi non potrebbe più ricoprire incarichi nè governativi nè parlamentari. 

Quasi 10 anni di indagini, ostacolate ed inframmezzate da un fiume in piena di leggi ad personam. Un'udienza preliminare convocata e continuamente aggiornata di mese in mese fino ai rinvii a giudizio nel 2006.  Quasi 6 anni di processo a singhiozzo tra richieste di ricusazione avanzate dai legali e l'istanza di astensione presentata dal giudice.  E ancora slittamenti dovuti al Lodo Alfano e al conseguente ricorso alla Consulta, richiesta di trasferimento del procedimento a Brescia, legittimi impedimenti di Silvio Berlusconi, cambi di capi d'imputazione.  

Ora Silvio Berlusconi rischia addirittura di diventare Presidente della Repubblica, a coronamento della sua folgorante carriera politica, caratterizzata, tra l'altro, dall'insabbiamento insieme al ministro dell'Ambiente Stefania Prestigiacomo (e al sodale Attanasio con la sua nave a Cetraro), del fenomeno delle navi dei veleni affondate nei mari italiani e dall'affidamento alla Ecoge, vale a dire alla 'ndrangheta, dello smantellamento della centrale nucleare di Caorso.