Comunicato di pubblica resistenza al DDL intercettazioni

Gentile Onorevole Presidente del Consiglio dei Ministri Silvio Berlusconi, in questi giorni, in queste ore, il Parlamento della Repubblica Italiana è impegnato in una corsa contro il tempo per una più che rapida approvazione del disegno di legge firmato dall'Onorevole Ministro della Giustizia Angelino Alfano e noto come "ddl intercettazioni".

Il provvedimento rappresenta una delle più drastiche limitazioni al potere d'indagine che compete ai magistrati inquirenti del nostro paese e, al contempo, la più dura, feroce e devastante limitazione al diritto costituzionale di informazione; il diritto di farla e il diritto di riceverla.

Il progetto di legge, per mezzo dei suoi punti fondanti, impedisce il racconto giornalistico su fatti giudiziari di pubblico dominio e privi di segreto, stabilisce pene detentive e pecuniarie pesantissime verso chiunque osi divulgare verità giudiziarie, introduce nuovi obblighi di rettifica per i blog minandone la sopravvivenza, trasforma in crimine il diritto dei cittadini vittime di crimini di raccogliere prove audio e video a dimostrazione del reato e stabilisce odiose discriminazioni tra forme di giornalismo, all'interno di una drammatica limitazione del diritto ad effettuare inchieste giornalistiche.

Il diritto all'informazione nelle sue forme più elementari, il principio di legalità e la ricerca della giustizia vengono totalmente smantellati da tale provvedimento.

Pertanto questo sito internet dichiara sin da adesso che, per imprescindibili motivi etici e in ragione della difesa del diritto alla libertà di parola e di stampa, solennemente sancito dalla Costituzione italiana e dalle leggi vigenti, in caso di approvazione in via definitiva e di conversione in legge, non potrà attenersi in alcun modo alle norme che compongono il disegno di legge sulle intercettazioni.

Questo sito si dichiara altresì .. per imprescindibili motivi sia etici che politici .. deberlusconizzato .. demontizzato .. degrillizzato

venerdì 30 novembre 2012

Miseria e Nobiltà


A quali soggetti e a quali ripartizioni di blocco si riferiscono queste due parole ci pare scontato e banale.  

Come banale - ma necessario - è dover ancora una volta annotare le meschinerie cui la congrega politico-giornalistica si affida nel disperato tentativo di legittimare un'opera (il Tav) e delle operazioncine 
(arresti, denunce, processi, ecc) che alla maggioranza degli/e italian* appaiono in tutta la loro limpidezza.

Il campionario degli articoli oggi leggibili sulla carta stampata o sul web testimoniano della bassezza di chi, avendo ormai rinunciato a qualsiasi onesta intellettuale e alla benché minima adesione a principi di deontologia professionale, si accontenta di eseguire lo sporco lavoro di servizio ai potenti di turno.

Da qualche tempo la consegna è chiara:  

il Tav, l'idea-Tav, il principio che certe decisioni non si mettono in discussione,  che tutto ciò che dietro questa bandiera ormai si riconosce dev'essere schiacciato è parte integrante del modus operandi quotidiano del giornalismo mainstream. 

Bella scoperta, si dirà  .. ..

Il fatto è che mai come oggi e mai come in questa vicenda gli ordini vengono rispettati alla lettera e il modulo del come fare l'informazione viene incorporato tanto fedelmente.

Si dovrà dire che "i lavori sono iniziati" 
e allora si fa la foto di una trivella in posizione 
senza verificare se un'ora dopo sta effettivamente lavorando;  

Si dovrà comunicare ai lettori che il presidio è stato sgomberato e non si verificherà se il movimento lo riconquista 
(alle 22.30, quando i giornali non sono ancora in stampa!); 

Si dovrà soprattutto confezionare una notizia 
che racconta di branchi di violenti che occupano e minacciano (?)
i lavoratori di un ufficio e per sostenere la legittimità di arresti 
(domiciliari) ridicoli 

Si monteranno sopra immagini di scontri presi da altri momenti 
della lotta no tav   .. .. e  avanti di questo passo.

Così, le tante storie di dignità e resistenza di questi compagni e compagne spariscono perchè è più importante individuare figure già conosciute, parlare di "prima e seconda linea dell'askatasuna" 
 
(rispetto a cosa?)

invece di misurarsi col fatto che l'operazione contro "i duri" e "i violenti" è una montatura ridicola e che la valle e il movimento notav non si piegano.
Qua non si tratta di sprecare fiato nell'ennesimo lamento vittimista cui i movimenti troppo spesso si abbandonano  .. .. 
 

(gli/le arrestat* sanno benissimo che il rischio delle Lotte 
è quello che li vede oggi privati della loro Libertà !!)


.. .. quanto di sottolineare la debolezza politica di chi è obbligato a ricorrere alla menzogna e al ridicolo per far fronte a una rigidità politica che può fungere da riferimento per tanti embrioni d'insoddisfazione che covano ai quattro angoli del paese.

La Dignità e la Tranquillità dei/le compagn* arrestat* 
(tutt*, nessun* esclus*) 
 è l'ennesima prova della forza di un movimento 
che non ha bisogno di ricorerre a sotterfugi e meschinità 
per continuare la propria lotta.  


Dall'altra parte c'è solo una lunga lista di miserabili 
che si guadagnano da vivere rubando a tutt* senza rischiare niente, 
appropriandosi di ciò che ci appartiene, 
osservatori della sola legge dell'arraffo prima che tutto crolli 
(après moi le déluge), 
oppure benevoli esecutori degli ordini dei Palazzi: 

pennivendoli, sbirri che fanno carriera 
e diventano Cavalieri della Repubblica, tamarri di quart'ordine 
che a forza di leccare il culo diventano "onorevoli".

Per fortuna stiamo da questa parte della barricata....

 Infoaut
 

SIAMO TUTTI NO-TAV .. .. LA VALLE NON SI ARRESTA

QUESTA VOLTA LA TORINO-LIONE LA FACCIAMO NOI
 
SI PARTE E SI TORNA INSIEME
PER LA MOBILITAZIONE DEL 3 DICEMBRE A LIONE

Questa volta la Torino-Lione la facciamo noi, per dire NoTav!

 3 dicembre LYON: manifestazione NOTAV

Il 3 dicembre a Lione, Monti e Hollande s’incontreranno in un vertice tra Italia e Francia che a dire del governo italiano, dovrà servire a sancire l’impegno di ambedue i governi per il Tav, Torino – Lione.  L’incontro proprio per questo si terrà a Lione, ipotetico capolinea di questa opera inutile.

Sappiamo che in Francia la Corte dei conti da tempo sta ponendo dubbi sulla linea, motivando tali punti interrogativi con buona parte delle ragioni che il movimento notav sostiene da anni.  Sappiamo anche che i due premier s’incontreranno in un momento dove l’Europa è in piena crisi economica ed entrambi i governo continuano a varare solo manovre di austerity senza far instravedere a nessuno quella fantomatica luce al fondo al tunnel.  Però parleranno di un altro tunnel, quello che qui in Italia non esiste materialemente, ma si è configurato ormai come tunnel della democrazia, con la militarizzazione della Val Susa e la scelta inconcepibili di buttare via milioni di euro che potrebbero essere spesi per le vere necessità del nostro Paese, dalla sicurezza nelle scuole, alla ricostruzione delle zone terremotate, passando per la sanità e la sicurezza dei territori che ad ogni temporale si fanno il segno della croce.

Questa volta la Torino Lione la faremo noi, e saremo presenti nella città francese con due appuntamenti: 
per confrontarsi e organizzare l’opposizione oltralpe al Tav
 
Manifestazione popolare il 3 dicembre

L’ assemblea popolare di Bussoleno deciderà il programma e i contenuti con cui partecipare agli eventi.

Stiamo però già organizzando il viaggio e si partirà 
alle ore 6 dalla Valle di Susa. 
 
Il costo del viaggio in pulman e di 25 euro intero e 15 euro ridotto, e per permettere a tutti di partecipare stiamo raccogliendo dei fondi per abbassare tale costo.

Info e prenotazioni: Mimmo  347 278 2814
bruno.domenico@ymail.comQuesto indirizzo e-mail è protetto dallo spam bot. Abilita Javascript per vederlo.

Il comitato RestiamoSani di Montanaro sta organizzando un pulman
info 3392231291
 
 

Riflessioni sull'aggresione militare contro Gaza

Un contributo di Cinzia Nachira, docente presso l'Università di Lecce e redattrice per il sito Jura Gentium, che approfondisce le cause e le conseguenze dell'operazione militare compiuta da Israele contro la striscia di Gaza.

L’ennesima aggressione militare israeliana contro la martoriata Striscia di Gaza è tutto tranne che una sorpresa. Da molti mesi oramai si aspettava solo di capire quale sarebbe stato il bersaglio che avrebbe scelto di colpire il governo Netanyahu. Molti osservatori sostengono che si tratta di una mossa elettorale di Netanyahu e di Lieberman. Essi hanno fatto una lista comune per le prossime elezioni del 22 gennaio, e questa tesi è indubbiamente fondata, ma allo stesso tempo è limitativa. Certo, non sarebbe la prima volta che ciò avviene.

Ciò che però costituisce, sicuramente, un altro elemento che ha spinto il governo israeliano a scatenare quest’ennesima aggressione contro la popolazione civile di Gaza è il mutato assetto regionale, che ha prodotto, fra l’altro, l’uscita dall’isolamento politico della direzione politica di Hamas. Nessuno poteva equivocare il senso del cambiamento di alleanze avvenuto nei mesi scorsi con la scelta di Khaled Meshaal, il leader di Hamas in esilio, di spostare il proprio quartier generale da Damasco a Doha, in Qatar. Questo cambiamento delle alleanze di Hamas ha sancito, innanzitutto, la fine dell’asse con l’Iran. Questa decisione ha dimostrato ancora una volta il pragmatismo che caratterizza Hamas. All’indomani delle elezioni legislative palestinesi del 2006, l’alleanza con l’Iran e con i suoi più stretti alleati nella regione, la Siria di Bashar el Assad e gli Hezbollah libanesi, ha permesso a Hamas di alleggerire l’assedio al quale la Striscia di Gaza è sottoposta da sei anni.

Ma il cambiamento politico nella regione a seguito delle rivolte che l’attraversano dal 2010 ha avuto come conseguenza l’ascesa in diversi paesi, innanzitutto l’Egitto, dei Fratelli Musulmani, di cui Hamas è la branca palestinese. Inoltre, anche se le rivolte in Medioriente e nel Maghreb non hanno avuto la Palestina come protagonista di primo piano è bene non dimenticare che, soprattutto in Egitto, alcune delle organizzazioni che sono state la base della rivolta che ha portato alle dimissioni di Mubarak sono nate sull’onda della solidarietà nel 2000 con la seconda Intifada. Anche se la prima decisione del governo Morsi, dopo le elezioni, è stata di rispettare i trattati internazionali stipulati dal precedente regime, compreso ovviamente il trattato con Israele, non poteva essere sottovalutato il fatto che comunque la Palestina non cessava di avere un impatto importante all’interno.

L’ultima aggressione israeliana, quindi, si iscrive in un contesto assai differente e ben più complesso della precedente del 2008-2009. Inoltre, i paesi del Golfo, che non sono esenti da manifestazioni interne – dei quali si parla pochissimo, ma che non lasciano tranquilli i diversi regni al potere, soprattutto in Arabia Saudita e in Barhein – sulla scia di ciò che è successo altrove, hanno ben compreso che il loro rinnovato protagonismo regionale e internazionale non poteva “limitarsi” ad aiutarsi reciprocamente nel reprimere i propri popoli e nel sostenere le opposizioni dei rivali. In questo quadro si inscrive la visita dell’emiro del Qatar a Gaza nell’ottobre scorso. Hamas, quindi, non ha colto solo l’opportunità di inserirsi a pieno titolo nello scenario politico regionale, ma ha anche tenuto conto della possibilità di imporre le proprie scelte alle altre organizzazioni islamiche nella striscia di Gaza, innanzitutto il Jihad islamico.

Ciò che è sempre stato chiaro ad Hamas è che dopo aver ottenuto il consenso popolare attraverso la vittoria politica nei confronti dell’Autorità Nazionale Palestinese, l’unico modo per consolidare il proprio potere e raggiungere l’obiettivo di diventare protagonista a livello nazionale palestinese era quello di riuscire a mettere fine all’assedio, in modo da dimostrare a tutti i palestinesi, compresi quelli della Cisgiordania, che i tormenti patiti non erano stati vani. Non è un caso se durante l’attacco a Gaza, i leader di Fatah, Hamas e Jihad Islamico e Fplp si sono precipitati a dichiarare la “fine delle divisioni”. L’aggressione israeliana ha visto moltissime manifestazioni in tutta la Cisgiordania, dove l’ANP è sempre più in difficoltà e dove l’intreccio del disagio economico e quello politico riesplode sistematicamente. Ma anche nella Striscia di Gaza il potere incontrastato di Hamas non è stato esente, in questi ultimi anni, dall’essere criticato anche duramente, soprattutto dai giovani che costituiscono una parte determinante della popolazione di Gaza e che si sono opposti alla crescente islamizzazione della società di Gaza.

È chiaro che, come è già accaduto nella storia recente, della vicenda palestinese si sono serviti i paesi arabi. Nello stesso Egitto, mentre il governo era impegnato nelle febbrili trattative per raggiungere il cessate il fuoco nella Striscia di Gaza, proseguivano le manifestazioni di piazza contro il presidente Morsi. Il quale grazie al successo dell’opera di mediazione si è “concesso” un’ampiezza di poteri superiore a quella di Mubarak. Evidentemente, lo scenario palestinese non ha avuto l’effetto di sopire il proseguimento del movimento popolare iniziato il 25 gennaio 2011.
Durante i giorni infernali dell’attacco israeliano a Gaza, come nel caso del massacro del 2008-2009, le strade delle città di molte capitali arabe, e non solo, si sono riempite di migliaia e migliaia di persone. In alcuni casi, come quello della Giordania, le manifestazioni di solidarietà con i palestinesi di Gaza si sono intrecciate con quelle, massicce, contro il governo e contro il carovita. È chiaro che l’impegno istituzionale arabo verso Gaza, dove si sono recati tutti gli attori in campo -- Qatar, Egitto, Tunisia, Lega Araba, Turchia -- ha avuto un duplice obiettivo. Per un verso i governi si sono serviti dell’indignazione popolare diffusa dalla strage di innocenti compiuta anche questa volta. La strage è provata dai numeri: 162 vittime palestinesi, se non di più, perché ancora non è chiaro il numero delle vittime dei bombardamenti di mercoledì 21 novembre, poco prima dell’entrata in vigore della tregua. Oltre i morti, sono stati 1000 i feriti gravi, mentre in campo israeliano si sono contate 5 vittime, alcune decine di feriti e pochi danni infrastrutturali. Per un altro verso, rompendo l’isolamento politico di Hamas, i governi arabi potranno nel prossimo futuro dettare condizioni allo stesso movimento Hamas, che non può permettersi di perdere il consenso politico che deriva da questo accordo. Nel 2009, al momento della tregua che pose fine a “Piombo fuso”, Hamas uscì indebolito, mentre oggi il governo islamico della Striscia di Gaza esce molto rafforzato sia a livello palestinese che a livello regionale.

Nel contesto regionale, i governi arrivati al potere dopo le recenti rivolte hanno dimostrato di riuscire a ottenere dei risultati positivi più dei vecchi regimi. In questo senso, il fatto che la Casa Bianca abbia spinto il governo israeliano ad accettare un cessate il fuoco che non voleva, è indice di una semplice circostanza: gli Stati Uniti hanno l’interesse a consolidare i nuovi equilibri regionali, che sono gli unici che possano garantire i loro interessi nella regione. E il governo egiziano ha tutto l’interesse ad essere l’elemento chiave della stabilità della regione. Da questo punto di vista, dopo aver minacciato di rimettere in discussione gli accordi di Camp David del 1979 e aver raggiunto il cessate il fuoco del 21 novembre (che rafforza politicamente Hamas), i Fratelli Musulmani egiziani potranno tranquillamente rispettare gli accordi.

In tutto questo, non è di secondaria importanza il ruolo che sta svolgendo la Turchia. Questo paese, alleato di Israele, dopo la strage di 9 cittadini turchi sulla Mavi Marmara -- una delle navi della Freedom flotilla che cercava di violare l’embargo marittimo imposto a Gaza da Israele – nel 2010 ha rotto le relazioni diplomatiche con Tel Aviv, ma si è ben guardato dal rinunciare agli accordi militari. E non è da dimenticare che il premier turco Erdogan è esponente del partito islamico -- l’AKP -- al governo da diversi anni e cerca di assicurare un ruolo di leadership regionale al suo paese, soprattutto a spese dell’Iran. Non a caso, nella giornata in cui veniva trattata la tregua tra Hamas e Israele, il presidente del parlamento iraniano ha dichiarato apertamente una cosa che tutti sapevano dal 2006: l’Iran ha fornito a Hamas armi e materiale militare. È stato un tentativo, assai maldestro in verità, sia di mettere in difficoltà Hamas verso i suoi “nuovi” alleati, sia di ricordare agli attori in campo che non potevano ignorare il fatto che l’Iran è sempre pronto a ritornare in campo. Il tentativo iraniano ha avuto come unico risultato immediato di offrire la possibilità a Netanyahu di sostenere che il “vero problema” era l’Iran e quindi giustificare la firma di un cessate il fuoco (che in ogni caso per Israele è stata una sconfitta politica).

Inoltre, ed è questo uno degli aspetti più preoccupanti, la società israeliana, nella sua componente ebraica, ha avuto un notevole spostamento su posizioni oltranziste. Questo ricorda la fine dell’aggressione del Libano nel 2006: un’aggressione il cui scenario è stato vicino a quello di oggi e che finì con un ritiro delle truppe israeliane dal sud Libano e un cessate il fuoco che per quanto fosse squilibrato a favore di Israele, non c’è dubbio che fosse anche il risultato di una sconfitta politica pesante. In quel caso le manifestazioni del popolo israeliano contro il governo non mettevano in discussione il “perché” fosse stata fatta la guerra, ma il “come la si era persa”. Due anni dopo, quando si scatenò il massacro di “Piombo fuso”, oltre l’80% dell’opinione pubblica israeliana si diceva d’accordo con le scelte del governo. Oggi, durante la settimana di bombardamenti indiscriminati su Gaza, la maggioranza dell’opinione pubblica ebraico-israeliana ha manifestato sia il proprio sostegno all’esercito, sia la propria contrarietà ad un’operazione terrestre che avrebbe senza dubbio aumentato le perdite israeliane.
Dopo il cessate il fuoco, il 75% degli ebrei israeliani ha dichiarato che questo era una sconfitta. I riservisti ancora dispiegati ai confini di Gaza si sono detti delusi dal governo. Shahul Mofaz, leader di Kadima che sarà concorrente diretto della coalizione Netanyahu-Lieberman alle prossime elezioni, definisce la tregua un cedimento. E il “pacifista” A.B. Yehoshua invita il governo israeliano a dichiararsi in guerra contro Gaza e auspica un assedio che tagli l’energia elettrica e i viveri alla popolazione palestinese. Le parole di Yehoshua possono sorprendere solo gli ingenui o i disonesti. Ma il dato grave e preoccupante è che ad opporsi a questa aggressione è stata una frangia assai marginale della società israeliana. Lo sciovinismo, il razzismo e l’oltranzismo dei quali in questi ultimi dodici anni sono stati nutriti gli israeliani -- oltre all’aumento esponenziale della violenza in una continua escalation a partire dalla rioccupazione militare della Cisgiordania del 2000 -- hanno dato purtroppo i loro frutti avvelenati.
Certamente, così come era in parte “elettorale” quest’ultima aggressione, lo è stata sicuramente anche l’accettazione del cessate il fuoco. Lieberman, razzista notorio, non è mancato di franchezza nel dichiarare che sarà compito del prossimo governo di “finire il lavoro” con l’invasione di terra. Grazie alle pressioni internazionali, al nuovo quadro regionale e alle elezioni politiche ormai prossime, questa escalation scelta da Netanyahu ha le sembianze di un boomerang. Ma può darsi che anche le previsioni di Lieberman non facciano i conti con la realtà. Alcuni osservatori hanno avanzato l’ipotesi secondo la quale l’accettazione del cessate il fuoco da parte israeliana è stato un cedimento agli Stati Uniti in cambio della concessione di una possibile via libera all’attacco contro l’Iran. Questa tesi, però, non sembra molto fondata, per tutte le ragioni già esposte.
La popolazione di Gaza festeggia la fine dell’aggressione e Hamas, dichiarando il 22 novembre festa della “vittoria”, può, dal suo punto di vista, essere molto soddisfatto. Ma tutti i problemi in campo palestinese restano intatti, se non acuiti. Il presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese, Abu Mazen, essendo rimasto ai margini come mai in questi anni, dopo aver tentato di svolgere un ruolo ha dovuto “congratularsi” con Hamas per la sua vittoria. E per quanto sia assai dubbio che queste congratulazioni siano sincere, Abu Mazen ha dovuto fare questo passo per molti motivi. Anzitutto perché, dopo la cocente sconfitta alle elezioni municipali in Cisgiordania, la spinta popolare all’unità è stata tale che rischiava di ritrovarsi in una situazione impossibile da gestire. All’interno dell’ANP, sia in Cisgiordania che all’estero, molti esponenti di primo piano, ben prima che fosse firmato il cessate il fuoco, avevano espresso giudizi pesantissimi sulla cosiddetta “via del negoziato” che aveva mostrato tutta la sua debolezza. Di conseguenza, anche se molti hanno usato il falso argomento dell’annunciata richiesta presso le Nazioni Unite del riconoscimento della Palestina come Stato osservatore, questa iniziativa non può in queste condizioni fare da contrappeso al protagonismo di Hamas, che per la prima volta è stato l’interlocutore diretto di Israele. L’iniziativa presso le Nazioni Unite, quindi, anche se venisse fatta non potrebbe più rappresentare un’ancora di salvezza per l’apparato dell’ANP.
Peraltro è stato chiaro fin dall’inizio che, almeno in questa fase, l’amministrazione statunitense, chiedendo ad Abu Mazen di rinunciare all’iniziativa presso l’ONU, mirava a rendere meno difficile la posizione del governo israeliano. Per quanto solo simbolica, quell’iniziativa, pur non avendo alcuna possibilità di riuscire, sarebbe stata per Israele un secondo smacco. Ma adesso, al di là sia dell’esito che dell’eco che avrà l’iniziativa presso l’ONU, sta per giungere il momento in cui Hamas sarà chiamato a dimostrare di non avere a cuore soltanto il consolidamento del proprio potere a Gaza. In questo senso, i missili lanciati da Gaza e che hanno sfiorato sia Tel Aviv che i dintorni di Gerusalemme, erano un chiaro messaggio ai palestinesi di Cisgiordania e ai palestinesi israeliani – un milione e duecentomila persone – che vivono in segregazione razziale. La situazione del movimento islamico palestinese per quanto esca rafforzato dal cessate il fuoco potrà aggravarsi se dalla tregua non riuscirà ad ottenere dei miglioramenti tangibili per i palestinesi di Gaza.

Il popolo palestinese ha sicuramente dato prova di infinita pazienza, attuando una resistenza quotidiana all’occupazione, alla repressione, all’apartheid, all’assedio e ai massacri. Ma nello stesso tempo occorre riconoscere che il popolo palestinese non è fatto di soli eroi. Per questo è sicuramente positivo che nell’accordo di tregua siano contenuti impegni per l’apertura dei valichi e che dopo ventiquattro ore dall’entrata in vigore della tregua Israele abbia autorizzato i pescatori di Gaza ad andare oltre le tre miglia marittime e abbia deciso di ritirare il proprio esercito dai confini di Gaza. Ma tutti questi elementi sono indeboliti dal fatto che Israele nella sua storia non ha mai rispettato a lungo i suoi accordi. In questo senso sono più che mai esplicite le dichiarazioni di Netanyahu durante la conferenza stampa del 21 novembre nella quale annunciava l’accettazione del cessate il fuoco: “Ora io mi rendo conto che ci sono cittadini che si attendono un’iniziativa militare più forte e potremo benissimo doverla attuare. Ma al momento, la cosa giusta per lo Stato d’Israele è esplorare a fondo questa possibilità di raggiungere un cessate il fuoco a lungo termine.”

Questo accordo e soprattutto il fatto che esso abbia aperto la via a dei negoziati sulla fine dell’assedio è sicuramente un boccone molto amaro per Israele, ma occorrerebbe più prudenza nel definirlo una “sconfitta storica”. Infatti, sempre nella stessa conferenza stampa del 21 novembre Netanyahu ha affermato “Devo dire che abbiamo fatto questo con il forte appoggio delle principali autorità della comunità internazionale.[…] Desidero ringraziare, in particolare, il presidente Obama per il suo risoluto sostegno alle azioni di Israele, alle sue operazioni e al diritto di Israele all’autodifesa.” Il premier israeliano non ha torto: nessun governo o istituzione internazionale ha messo in dubbio che Israele ha scatenato l’aggressione a Gaza per “autodifesa”, ma alla fine il cessate il fuoco è giunto per calcoli di interesse e non per nobili motivi.
Per altro, il ruolo egemone dell’Egitto per un verso consolida le relazioni con gli Stati Uniti e per un altro verso toglie agli americani ogni responsabilità rispetto alle violazioni che Israele potrà commettere. E lascerà inoltre a loro la possibilità di non incrinare le relazioni di “amicizia forte come la roccia” (Hillary Clinton) con Israele, tenendo contemporaneamente sotto minaccia l’Egitto. Inoltre, enorme prudenza è necessaria anche nel sostenere che ora l’amministrazione statunitense, dopo la vittoria elettorale di Barack Obama, possa spingersi in una direzione alternativa a quella che tradizionalmente ha caratterizzato i rapporti tra gli Stati Uniti e Israele. Un conto è un accordo dettato da circostanze contingenti, altro è pensare che gli Stati Uniti e il loro presidente si siano convertiti al rispetto dei diritti dei palestinesi. Adesso Netanyahu ammette la necessità di “esplorare a fondo questa possibilità di raggiungere un cessate il fuoco a lungo termine”. Ma Jaabari -- il leader dell’ala militare di Hamas, assassinato da un’aggressione “mirata – già nel marzo scorso era in procinto di proporre una tregua di quindici anni. Questo non è un dettaglio secondario, perché significa che la situazione stava già andando in questa direzione. Ma è altrettanto evidente che con l’ultimo massacro Israele ha tentato di indurre Hamas alla capitolazione. Non c’è riuscito, anzi ha ottenuto risultati opposti a quelli sperati. Ma in gioco vi è anche il destino degli altri settori del popolo palestinese. Allentare la pressione sul fronte di Gaza consente a Israele di avere le mani più libere in Cisgiordania, rendendo definitivi i “confini” determinati dalla costruzione del Muro, rendendo irreversibile la colonizzazione di larga parte della Palestina. In questo contesto, i tre soggetti che hanno un ruolo determinante – il governo israeliano, l’ANP e Hamas – sono tutto tranne che affidabili. Soprattutto perché è chiaro che Israele farà di tutto per impedire che le leadership palestinesi ritrovino l’unità, vero ostacolo ai piani di colonizzazione. Ed in questa direzione non c’è nulla di più pericoloso dello scontro militare. La sproporzione sul campo è tale che questa scelta non può che avere come risultato finale, tutt’altro che auspicabile, l’avviamento di nuove aggressioni da parte di Israele che ne possiede i mezzi.

Il quadro complessivo, come è evidente, è tutt’altro che semplice e rassicurante. L’unica vera speranza è che all’interno dello scenario mediorientale e palestinese emerga una vera alternativa politica che rimetta in discussione gli assetti politici che fino ad oggi, in un modo o nell’altro, sono sempre stati funzionali ad interessi estranei, se non ostili, a quelli dei popoli della regione. E tutto ciò al di là delle buone intenzioni (di cui notoriamente è lastricata la via dell’inferno) e dei proclami roboanti di vittorie “definitive”.

L’Assemblea generale promuove la Palestina a Stato osservatore delle Nazioni Unite

30/11/2012
Ma’an – Quds Press. L’Assemblea generale dell’Onu ha approvato giovedì sera 29 novembre una risoluzione che promuove la Palestina da “entità -osservatore” a “Stato non membro” presso le Nazioni Unite.

Con 138 voti a favore, 9 contro e 41 astenuti, l’Assemblea generale ha approvato la risoluzione, riconoscendo implicitamente lo Stato palestinese.

In un discorso all’Assemblea generale dell’Onu a New York, prima del voto, il presidente dell’Anp, Mahmoud Abbas, ha dichiarato che la richiesta alle Nazioni Unite sarebbe stata l’ultima possibilità per salvare la risoluzione dei due stati.

“65 anni fa, in questo giorno, le Nazioni Unite adottarono la risoluzione 181, che divideva la terra della Palestina storica in due stati, e ciò divenne il certificato di nascita di Israele”, ha affermato Abbas di fronte all’assemblea delle 193 nazioni, ricevendo un applauso a scena aperta.

“L’Assemblea generale è chiamata oggi a emettere il certificato di nascita dello Stato di Palestina”, ha aggiunto.

Governo di Gaza: 

1.245 miliardi di dollari, i danni causati dall’aggressione israeliana

Gaza-InfoPal. 
Il governo palestinese di Gaza ha stimato i danni provocati dall’ultima aggressione israeliana contro la Striscia in più di un miliardo e 200 milioni di dollari, di cui quasi la metà sono danni diretti. Esso ha anche annunciato l’invio di una delegazione speciale  al Cairo per seguire i dettagli relativi al cessate il fuoco raggiunto di recente. 
Lo Stato ebraico ha condotto una vasta operazione militare contro la Striscia di Gaza, l’aggressione è durata per otto giorni consecutivi provocando 166 vittime,1300 feriti e molta devastazione. 

In una conferenza stampa tenuta domenica, 25 novembre, Taher an-Nunu, portavoce del governo di Gaza ha reso noto che le perdite subite ammontano a circa 1.245 miliardi di dollari (545 milioni per i danni diretti e 700 milioni quelli indiretti). 

Il governo ha dichiarato di voler attribuire il titolo di Martire a tutte le vittime cadute durante l’aggressione, apprezzando l’accordo di cessate-il-fuoco raggiunto dalle fazioni della resistenza, con la mediazione dell’Egitto, che si è dimostrato attivo nel sostenere il popolo palestinese e nel porre gli interessi di quest’ultimo sulla cima delle proprie priorità. 
Inoltre, il governo ha deciso l’invio di una delegazione di alto livello guidata da Ziad Zaza, vice-capo dell’esecutivo, allo scopo di definire i dettagli della tregua, specialmente per quanto riguarda la questione dei valichi di frontiera, la fine dell’assedio su Gaza, le aree di confine e il diritto dei pescatori palestinesi ad esercitare liberamente il proprio mestiere nelle proprie acque. 

An-Nunu ha elogiato l’Egitto, insieme a tutti coloro che hanno sostenuto il popolo palestinese durante l’ultima aggressione, sottolineando che le porte di Gaza sono spalancate di fronte a tutte le delegazioni che la vogliono visitare per esprimere solidarietà con il popolo palestinese e sostenerlo, sia con gli aiuti umanitari che schierandosi politicamente o moralmente al suo fianco. 

Egli ha anche rivelato che il suo governo ha deciso di condonare tutte le condanne emesse nei confronti dei palestinesi coinvolti nella controversia intra-palestinese, e la formazione di una commissione ad hoc per attuare tale decisione, avviando così una nuova fase nel segno della riconciliazione interna.

Secondo quanto riferito da an-Nunu, il governo di Gaza ha chiesto al ministero del lavoro di determinare, e al più presto, l’entità dei danni causati dall’aggressione israeliana, al fine di avviare le operazioni di risarcimento, e compensare i palestinesi in modo commisurato al sacrificio e la fermezza di questo grande popolo. 

In una stima iniziale, il governo di Gaza ha calcolato che 200 edifici sono stati demoliti completamente, e altri 8000 parzialmente.  Esso ha anche assicurato di aver avviato una commissione d’inchiesta per indagare sulle esecuzioni sommarie commesse nell’ambito delle ostilità israeliane.

 



Ashrawi: l’OLP ha presentato una richiesta alle Nazioni Unite

29/11/2012
Betlemme – Ma’an. L’OLP ha presentato un progetto di risoluzione finale all’assemblea generale delle Nazioni Unite.  E’ quanto ha dichiarato martedì Hanan Ashrawi, membro del Comitato Esecutivo dell’OLP.

Ashrawi ha dichiarato a Ma’an che la risoluzione definitiva è stata presentata lunedi pomeriggio alle Nazioni Unite, a New York, chiedendo un avanzamento dello status della Palestina all’ONU come “membro osservatore”.

La presentazione mette fine ai tentativi di fare pressione sull’Autorità palestinese per modificare il testo della risoluzione.

Il quotidiano israeliano Haaretz ha riferito martedì che Israele stava negoziando con gli USA per cercare clausole aggiuntive per la risoluzione, a seguito di segnalazioni da parte di funzionari degli Stati Uniti che il presidente Mahmoud Abbas non avrebbe fatto marcia indietro nella sua richiesta.  Haaretz ha riferito che Israele voleva che la risoluzione includesse una clausola che precisi che la Palestina avrebbe rifiutano di aderire al Tribunale penale internazionale, in quanto ciò potrebbe incriminare i leader israeliani per reati di guerra.  Israele ha cercato anche una clausola che non autorizzi l’OLP ad avere sovranità sui territori palestinesi occupati e prevede un impegno a riaprire i negoziati senza precondizioni.

La Gran Bretagna aveva dichiarato che avrebbe sostenuto la richiesta di Abbas alle Nazioni Unite ma voleva garanzie che la risoluzione non sarebbe stata usata per far richiesta al Tribunale penale internazionale o altri organismi delle Nazioni Unite, ha riferito il Financial Times lunedì.  Alla domanda se la Palestina avrebbe presentato denuncia dinanzi alla Corte penale internazionale, Ashrawi ha risposto a Ma’an che avrebbe lasciato decidere alla leadership palestinese.

Ha ribadito che l’Autorità palestinese non abbandonerà nessuno dei diritti inalienabili palestinesi garantiti dal diritto internazionale.

Ashrawi ha aggiunto che gli sforzi per reclutare il supporto per l’aggiornamento di stato sono in corso, ma che la Palestina ha un sostegno sufficiente per far passare la risoluzione.

La Francia  ha dichiarato martedì che avrebbe votato a favore della Palestina come stato non membro presso le Nazioni Unite.  “Questo giovedì e venerdì, la Francia voterà sì”, ha annunciato il ministro degli Esteri Laurent Fabius nella Camera bassa del parlamento.

Anche il Portogallo sostiene la risoluzione, ha detto il ministro degli Esteri Paulo Portas, la settimana scorsa, a Bruxelles.  “Se diciamo ai palestinesi che la strada giusta non è la violenza, ma piuttosto trattative politiche, quando l’Autorità palestinese va all’Assemblea  generale dell’ONU, chiedendo di essere non uno stato membro, ma uno Stato osservatore, e l’Europa chiude loro le porte in faccia, perderà la sua credibilità e la rilevanza”, ha fatto notare Portas.

Nel frattempo, l’Autorità palestinese ha sottolineato l’importanza del passo delle Nazioni Unite verso la realizzazione degli inalienabili diritti nazionali e politici palestinesi.

In una dichiarazione, l’autorità palestinese inoltre ha accolto con apprezzamento il supporto internazionale, ufficiale e popolare, per l’offerta delle Nazioni Unite.

 
"Agenzia stampa Infopal - www.infopal.it"

QUANTO E QUANT'ALTRO: Progetto MK-ULTRA e Progetto Monarch: il segreto p...

QUANTO E QUANT'ALTRO: Progetto MK-ULTRA e Progetto Monarch: il segreto p...: Il progetto MK- ULTRA, o MKULTRA, era il nome in codice di una sezione occulta della CIA che si occupava della gestione degli interrogator...

giovedì 29 novembre 2012

A TARANTO VIA L'ILVA PER FAR LARGO ALLA NATO

C'è solo da piangere per noi e per il nostro disgraziato paese. La mano assassina dei criminali yankee non ci mollerà mai. Dopo avere reso radioattiva la Maddalena ecco che i cow-boys tornano con una base per sottomarini nucleari.

FONTE: COMIDAD

La Psychological War della NATO conosce i suoi polli, quindi era facilmente prevedibile che il lanciare l'esca di un dibattito infinito sull'alternativa tra salute e lavoro avrebbe stanato la legione dei filosofastri sempre in agguato. Nel "dibattito" ovviamente non si è mai mancato di avallare quell'ipocrisia ufficiale secondo la quale le industrie esisterebbero per dare posti di lavoro, perciò, in definitiva la colpa dell'inquinamento è degli operai.

Ciò non vuol dire che l'Ilva di Taranto non sia realmente inquinante; lo è, eccome. Il punto è capire perché la situazione sia stata lasciata incancrenire per anni, come se fossimo ancora nell'800, e non fossero già disponibili da anni le tecnologie non solo per il disinquinamento, ma anche per il ricircolo delle acque impiegate nella produzione siderurgica e per il recupero delle scaglie. A chi fa comodo questa emergenza? Nel febbraio del 2004 Peacelink rendeva noti documenti del Pentagono - peraltro non segretati - da cui risultava che Taranto sarebbe divenuta sede di un'altra base navale della NATO. La notizia era fino ad allora ignota al Parlamento italiano, anche se era stata in qualche modo anticipata da dichiarazioni di Francesco Cossiga.

La nuova base navale sarebbe stata collocata nel Porto di Taranto, nella nuova megastruttura del Molo Polisettoriale. La base NATO dovrebbe ospitare un grande centro di comunicazioni e spionaggio e servire da sito per i sommergibili nucleari della USNavy. [1]

Dalla mappa del porto di Taranto risulta che il Molo Ovest (o 5° Sporgente), in uso all'Ilva, ed il Molo Polisettoriale, destinato alla NATO, sono a ridosso l'uno dell'altro, ed hanno anche un'insenatura in comune. La stessa insenatura che dovrebbe essere usata dai sommergibili nucleari. [2]

Il caso, la coincidenza e le circostanze della vita hanno fatto sì che la NATO avesse l'opportunità di liberarsi dell'ingombrante vicino grazie ad un'iniziativa della Procura di Taranto. Toghe a stelle e strisce? Ma chi oserebbe mai pensarlo. Perché mai tre basi militari nel Porto di Taranto dovrebbero sottrarre lo spazio ad altre attività?

Gli esempi di altre città ci confortano in questa fiducia nella NATO. Nonostante la nuova base NATO di Giugliano in Campania, e nonostante il rafforzamento delle basi USA del Porto di Napoli e dell'Aeroporto di Capodichino, nel quartiere napoletano di Bagnoli c'è tuttora una base NATO, di cui da due decenni si annuncia vanamente la prossima chiusura. A Napoli la militarizzazione del territorio non ha mai ceduto terreno, semmai lo ha tolto ad altre attività, tanto che dal 1999 il Porto ha ceduto alla USNavy più del 50% delle banchine.

Negli anni '80 anche a Bagnoli c'era ancora uno stabilimento dell'Ilva, che però, quello sì, fu veramente chiuso, anche se con motivazioni ufficiali diverse da quelle oggi adoperate a Taranto. Anche quella di Bagnoli è stata chiaramente una pura coincidenza.

Ovviamente il "cui prodest" non è mai un criterio valido per interpretare gli avvenimenti. Bisogna invece convenire onestamente che la NATO è fortunata, o è protetta da Dio. Anzi, diciamo pure che ormai la NATO è Dio, così si fa prima.

Fonte: http://www.comidad.org/dblog/
Link: http://www.comidad.org/dblog/articolo.asp?articolo=500
31.07.2012

[1] http://www.peacelink.it/disarmo/a/3030.html
http://www.zonanucleare.com/dossier_italia/taranto_nucleare.htm http://www.peacelink.it/editoriale/docs/185.pdf
[2] http://www.tarantoporto.com/logistica/polisett.htm

ILVA - TARANTO 28-11-2012 Pubblicato in data 28/nov/2012 da supernovafornoone Taranto, 28 novembre 2012, ore 11.00: Nonostante la conferma del riesame sul sequestro degli impianti che impone la chiusura immediata degli stabilimenti si continua a contravvenire la legge. http://www.beppegrillo.it/2012/11/ilva_una_favola.html



Pubblicato da

Taranto, 28 novembre 2012, ore 11.00: Nonostante la conferma del riesame sul sequestro degli impianti che impone la chiusura immediata degli stabilimenti si continua a contravvenire la legge.
un altro video di ieri sera stamane era già rimosso: 
Una tromba d'aria mai vista, ha puntato il porto industriale di Taranto ed ha alzato ingenti materiali dal terreno. Ha poi proseguito la sua corsa devastando... 
Maltempo ???

Danni all'Ilva, 

crollano camini e gru

 
Emergenza nel capoluogo pugliese, danni al polo siderurgico.  
In Puglia i feriti sono 38, tra cui nove bambini.  Un disperso.  
Bloccata la ferrovia Bari-Taranto.  
Nubifragi in Liguria e in Toscana

Una tromba d'aria si è abbattuta su Taranto. Molti i feriti, tra i quali anche diversi bambini. Colpito anche il polo siderurgico della città: all'Ilva è crollato un capannone. Black out sull'intero impianto. Disperso un operaio. Le condizioni meteo continuano a creare problemi anche nel centro Italia: esondazioni nella provincia di Massa Carrara con frane e smottamenti. 

Allerta maltempo su tutta Italia.

22:15 Venezia, previsti 140 cm di acqua alta

Il Centro previsioni di Venezia ha ritoccato al rialzo la previsione della punta massima di marea prevista per le 23.20, portandola a 140 centimetri sopra il medio mare. Alle 20 la previsione era già stata alzata a 130 centimetri dopo che alle 17 le condizioni meteo avevano indicato la possibilità di una punta massima di marea di 110 centimetri. L'innalzamento della previsione è conseguente ad un peggioramento dei fenomeni meteo in Adriatico

20:22 Toscana: chiesto stato emergenza

La regione Toscana ha chiesto al governo la dichiarazione dello stato di emergenza e un contributo di 50 milioni di euro per tutti i territori toscani colpiti dalle alluvioni di questo mese. Lo ha annunciato stasera il presidente della Regione Toscana Enrico Rossi intervenuto al consiglio comunale di Carrara.

20:10 Napoli, calcinaccio ferisce passante

Disagi legati al maltempo si sono registrati a Portici (Napoli): un uomo è stato colpito in modo non grave alla testa da un pezzo di calcinaccio caduto da un edificio mentre a piedi percorreva la strada all'angolo tra via Diaz e via Marconi.

20:02 Pompieri in azione a Roma

Oltre 200 interventi sono già stati effettuati oggi dai vigili del fuoco a Roma e sul litorale a causa del maltempo, che si è manifestato con nubifragi e forte vento. La sala operativa ha inviato le squadre soprattutto per alberi e cornicioni caduti, cartelloni pubblicitari e insegne divelti. Interessati soprattutto Roma Nord, i Castelli, Ostia e Civitavecchia.

18:11 Ilva, Ferrante: "Angoscia per operaio disperso"

"Con l'angoscia per un lavoratore che è ancora disperso, grazie a tutti i lavoratori dello stabilimento Ilva di Taranto per la grande competenza, tempestività ed efficienza con cui hanno reagito in questa giornata drammatica". Sono le parole del presidente dell'Ilva, Bruno Ferrante, rivolte ai lavoratori dello stabilimento.

16:31 Protezione civile: allerta maltempo prosegue

La perturbazione atlantica che sta interessando l'area mediterranea centrale, continuerà a determinare un'intensa fase di maltempo su gran parte del Paese, con rovesci e temporali al centro-sud, precipitazioni diffuse al nord e forte vento.

15:29 Preallarme nel Bolognese per la piena del Reno

La protezione civile dell'Emilia-Romagna ha attivato il preallarme per la piena del Reno nel Bolognese. Sono interessati il capoluogo e i Comuni di Argelato, Castello d'Argile, Castel Maggiore, Sala Bolognese, S.Giovanni in Persiceto, Calderara e Casalecchio. Date le forti piogge, il livello dell'acqua s'è alzato nel tratto montano, fino a 2,64 metri a Vergato e 1,3 a Casalecchio. Visto il perdurare della pioggia, il colmo della piena, 1,6 metri, è atteso a Casalecchio nel pomeriggio.

15:03 Grosseto, 50 evacuati in provincia

Sono 50 le persone evacuate dalle loro abitazioni ad Albinia, in provincia di Grosseto. La zona era già stata la più colpita dall'alluvione dell'11 e 12 novembre scorsi, quando in Maremma ci furono 4 morti. Le persone sfollate sono per lo più residenti nelle campagne. Il livello dei fiumi nella zona, in particolare dell'Albegna, è salito. Sul posto sono intervenuti i volontari delle Misericordie, della Protezione Civile, tecnici del Comune di Orbetello e della provincia. Nel grossetano sono 17 le strade chiuse per allagamenti e frane.

14:55 Taranto: 38 feriti, tra cui nove bambini

La tromba d'aria ha causato finora 38 feriti, tra cui nove bambini in una scuola di Statte (Taranto), come fa sapere la Protezione civile regionale. Tra i nove bambini, che hanno tutti ferite lievi, cinque sono stati medicati all'ospedale Moscati di Taranto, quattro a Martina Franca. A uno dei nove è stato diagnosticato un trauma cranico. Tre persone politraumatizzate sono ricoverate in condizioni critiche all'ospedale Santissima Annunziata di Taranto. Altri due politraumatizzati (operai dell'Ilva e dell'Enel) sono ricoverati a Martina Franca.

14:37 Clini: situazione Ilva sotto controllo

"Un rapporto della Protezione civile dice che la situazione è governata". Il ministro dell'Ambiente Corrado Clini, a margine dell'informativa del governo a Montecitorio sull'Ilva, risponde sulla possibilità che in seguito al maltempo ci sia un "rischio esplosione". Il problema era stato sollevato da un intervento di Pierfelice Zazzera dell'Idv, dopo l'informativa del ministro in Aula.

14:34 Toscana, allerta prorogato fino a giovedì notte

E' stato ulteriormente esteso lo stato di allerta sull'ondata di maltempo sulla Toscana e che doveva concludersi oggi alle 18. Il nuovo avviso di criticità emesso dalla Protezione civile regionale allunga l'allerta fino alla mezzanotte tra giovedì 29 e venerdì 30, estendendolo a tutte le province toscane. Fino alla mezzanotte di domani si preved pioggia su gran parte del territorio regionale, a prevalente carattere di rovescio.

14:24 Scontro fra auto, quattro morti in Puglia

Sono morte quattro persone in uno scontro frontale tra auto lungo la provinciale che collega Ceglie Messapica con Francavilla Fontana, in contrada Bax. Causa del disastro, secondo i primi accertamenti, sarebbero stati il vento forte e la pioggia che si stanno abbattendo sul Brindisino. Leggi l'articolo

14:21 Veneto, confermato l'allarme idrogeologico

E' stato di allarme su alcune zone del Veneto, come ha dichiarato la Protezione civile. Molte aree del territorio sono in allerta per rischio idrogeologico e le amministrazioni locali dovranno dunque porre in atto le procedure necessarie legate a particolari criticità o sofferenze idrogeologiche e idrauliche. E' richiesta la piena operatività delle componenti del Sistema di Protezione Civile che si attiveranno secondo quanto previsto dai rispettivi Piani di emergenza.

13:45 Ilva: "Emissioni sotto controllo"

"Tutte le emissioni dell'azienda sono sotto controllo". Lo precisa l'Ilva in una nota sulle conseguenze della tromba d'aria.

13:44 Sindaco Taranto: forse tre le vittime

Si fa la conta dei feriti e dei danni a Taranto.

"Il 118 ha riferito di tre vittime - spiega il sindaco Ippazio Stefano - ma al momento non abbiamo nessuna certezza".  Potrebbe trattarsi di persone soccorse perché coinvolte in incidenti stradali o di soccorsi di altro genere avvenuti in città.  Al momento l'unica conferma "è quella di un lavoratore disperso che i vigili del fuoco stanno cercando".

Primarie? "grande giornata di democrazia" ? Ecco Qua !!

un Uomo Giusto   ..   al posto Giusto !


mercoledì 28 novembre 2012

lunedì 26 novembre 2012

Elezioni catalane: cede l'opzione indipendentista.

Avanzano le ragioni dei movimenti

Tramonta l’ipotesi secessionista caldeggiata da Artur Màs per la Catalogna, in una tornata elettorale che ha visto la maggiore affluenza alle urne dal 1988.

Le elezioni nella Comunidad, partecipate perché collocate in un momento di sfiducia verso il Governo di Madrid ai massimi storici, consegna al partito indipendentista di destra CIU un notevole smacco; nonostante il tentativo del presidente Màs di minimizzare la portata del risultato sulle principali testate locali e internazionali, la coalizione, espressione dei poteri economici forti della regione, ha perso oltre 120mila voti e dodici seggi rispetto al 2010.

Prende forza, per contro, la sinistra repubblicana di Catalunya (Erc), che vede raddoppiare i suoi seggi. Questi risultati nella loro ambivalenza vanno anche letti come il frutto del lavoro dei movimenti contro la crisi e l’austerità che, con una notevole campagna di contro-informazione centrata sulla nocività dello strapotere di CiU e l’autoritarismo dell’opzione secessionista di stampo neoliberista da una parte e contro ogni opzione di voto legata a partiti spagnoli dall’altra, hanno rotto lo schema politico su cui il sistema dei partiti sembrava orientarsi.

La propaganda elettorale portata avanti da CiU si è “affievolita” nelle ultimissime settimane, dopo l’exploit populista del 9 settembre, quando a Barcellona un milione e mezzo di persone erano scese in piazza animate da un sentimento indipendentista non prettamente identitario ma che era più che altro una declinazione del dissenso verso le misure del governo centrale spagnolo .

Adesso più in che in altri momenti di chiamata alle urne, non è risultato difficile per molti catalani vedere le contraddizioni intrinseche nel discorso di Màs, e dell’alta borghesia catalana, nel promettere una soluzione di “libertà” basata su una forma - stato ancor più rigida e classista di quella centrale e ad ogni modo legata anch’essa ai dettami della troika, essendo la finanza e l’economia della regione troppo importanti per i delicatissimi equilibri dell’ UE.

Fa da corollario l’annunciato tracollo della compagine del partito socialista, mentre paradossalmente cresce di un seggio rispetto al 2010 la rappresentanza del Partito Popolare catalano, beneficiario indiretto del timore di uno strapotere dell’opzione secessionista.

Non esce rafforzato nemmeno il CUP (Candidatura d’Unitat Popular- Alternativa d’ Esquerres): la base movimentista del suo elettorato mal digerisce le contraddizioni di un partito socialista radicale che aspira ancora ad una forma di stato catalano indipendente tipica del XX° secolo e palesemente in contrasto con il respiro transnazionale assunto dalla forma-movimento in risposta alla crisi globale.

La messa in discussione dell’esistente portata avanti dai movimenti catalani, arricchita dal contemporaneo evolversi e radicalizzarsi in maniera difforme della crisi della rappresentanza su tutto il territorio spagnolo, espressasi anche il 14n su un piano che rivendica immediatamente la costruzione di uno spazio transnazionale mediterraneo ed europeo incentrato sulle lotte e i desideri dei soggetti che lo vivono, è stato un agente non secondario sull’esito di questa tornata elettorale che ha scalfito concretamente la macchina di consenso costruita da “Convergencia y Uniò”.

I punti cardine portati avanti dalle piattaforme cittadine di movimento sono stati: il rifiuto categorico di una ipotesi di nuovi stati-nazione come forme in grado di mettere in discussione le politiche di austerity, e una lotta contro la costruzione di ulteriori forme di rappresentanza che aspirino ad essere voce dei movimenti, in un contesto in cui alleanze strategiche o processi di negoziazione parlamentare sono depotenzianti di tutto il portato che le forme di decisionalità dal basso apportano.

Quindi non resta altro che gridare ancora una volta in faccia ai palazzi del potere “rodea tu congreso!”.

 

Roma, 20.000 in corteo: gli studenti bloccano la città

Sabato 24 Novembre 2012
 
Un corteo di 20.000 studenti ha invaso nuovamente le strade di Roma, aperto dai book block e da uno striscione che recitava
 
‘Contro crisi e austerità riprendiamoci la città’.
 
La manifestazione ha raccolto migliaia di studenti delle scuole superiori e dell’università, partiti dalla Piramide per dirigersi verso i palazzi del potere.

Lo scenario della capitale non era diverso da quello dello scorso 14N: una città completamente blindata dalle camionette e dai cordoni della polizia ma nonostante gli allarmismi istituzionali e i da più parti invocati divieti di manifestare, il corteo di oggi è tornato a riempire le strade di Roma, riuscendo nell’intento di bloccare la città.

La manifestazione ha attraversato nuovamente le strade del 14N e in via Arenula il blindatissimo ministero della Giustizia è stato bersagliato da uova, fumogeni e fischi.

Il corteo si è poi concluso al Colosseo e una parte degli studenti si è diretta verso il presidio antifascista di piazza dell'Esquilino (poi trasformatosi nuovamente in corteo) indetto contro la sfilata dei fascisti di Casa Pound prevista per oggi pomeriggio a Roma.

A dieci giorni dalla mobilitazione transnazionale del 14 Novembre, gli studenti romani hanno dunque invaso nuovamente la capitale, scegliendo di disertare la piazza e le parole d'ordine dei sindacati (tiratisi quasi tutti fuori dallo sciopero di oggi) e di tornare nelle strade con le pratiche e gli obiettivi che hanno caratterizzato le piazze del 5 Ottobre e del 14N, ripartendo dalle scuole occupate e dalle facoltà.

Il corteo si è concluso rilanciando verso una nuova settimana di occupazioni in numerosi istituti di Roma e verso la data del 6 Dicembre, già raccolta dagli studenti medi di tutta Italia.

La Palestina è con voi! 

 Messaggio agli studenti e alle studentesse in lotta
Lunedì 26 Novembre 2012
 
In nome di tutte/i le studentesse e gli studenti palestinesi, in particolare gli studenti di Gaza, salutiamo profondamente la vostra lotta in difesa dei legittimi diritti vi informiamo che siamo con voi e le vostre giuste richieste. Siamo certi che riuscirete a raggiungere i vostri nobili obiettivi.
 

Care compagne e cari compagni,

Crediamo che ogni lotta/mobilitazione studentesca ovunque sia giovi a favore degli studenti nel mondo e riteniamo che gli studenti siano una forza principale per il cambiamento delle nostre società.  Per questo motivo i cacciabombardieri sionisti colpiscono in ogni aggressione le scuole e le università delle città palestinesi come sta succedendo in questi giorni a Gaza.  I sionisti pensano che colpire i giovani ed i ragazzi delle scuole e università possa intimorire le generazioni del futuro.  Però, noi abbiamo giurato per noi stessi e per gli studenti caduti rinnovando anche a voi in lotta la nostra promessa di non arrenderci o piegarci di fronte alla micidiale macchina repressiva dell’occupante.

Noi, dalla terra della resistenza Palestina, vi chiediamo di resistere e continuare la vostra lotta per:

- boicottare la cooperazione accademica tra le vostre università e quelle dello stato d’apartheid israeliano
- esigere dal vostro governo di fermare lo spreco di danaro pubblico della cooperazione scientifico militare con lo stato d’apartheid israeliano; tali soldi devono andare a favore della scuola pubblica, dell’università e della ricerca.
- creare mezzi d’informazione alternativa nelle scuole e università capaci di informare correttamente sui diritti del movimento studentesco internazionale incluso quel palestinese per smascherare le informazioni mediatiche del potere costituito.

Le vostre ed i vostri compagne/i studenti palestinesi.

Il fronte d’azione studentesco progressista



Gaza, Israele apre il fuoco al confine

Lunedì 26 Novembre 2012 17:15 
Mentre a Gaza la tensione non si stempera e la Striscia fa i conti dei danni, Fatah e Hamas proseguono nell'accidentato percorso verso l'unità nazionale.

A quattro giorni dall'entrata in vigore del cessate il fuoco tra Hamas e Israele, ieri le forze militari israeliane hanno nuovamente riaperto il fuoco al confine Sud, a Khan Younis, ferendo un giovane palestinese.  Secondo l'esercito israeliano, un gruppo di palestinesi si è avvicinato alla rete di separazione tra Gaza e Israele.  Venerdì mattina, i militari di Tel Aviv avevano sparato ad un gruppo di contadini palestinesi, di nuovo a Khan Younis:  Anwar Abdul Hadi Qudaih, 20 anni, è stato ucciso;  diciannove i feriti.

Una rottura della tregua, secondo l'OLP. 
Un incidente, secondo Tel Aviv.  

Immediatamente le forze di polizia di Hamas sono state schierate al confine per evitare che altri eventi simili possano mettere in discussione la tregua raggiunta al Cairo mercoledì scorso.  Israele controlla una linea di terra larga 300 metri al confine della Striscia, la cosiddetta "buffer zone", teatro in passato di aggressioni armate da parte dell'esercito israeliano: il 35% degli appezzamenti agricoli si trovano nella lingua di terra militarizzata, dove i contadini palestinesi sono costretti a lavorare le proprie terre sotto la costante minaccia del fuoco israeliano.

Un ulteriore fattore di indebolimento dell'economia interna di Gaza, che l'operazione militare Colonna di Difesa non ha fatto che peggiorare. Secondo dati forniti dal governo di Hamas, i pesanti bombardamenti contro la Striscia hanno provocato danni per 1,245 miliardi di dollari:  in otto giorni l'aviazione israeliana ha raso al suolo duecento abitazioni e ne ha parzialmente danneggiate 8mila; distrutti 42 edifici non residenziali, tra cui la sede del governo, tre moschee e circa cento uffici governativi.

Costi diretti, a cui si aggiunge il costo più terribile:
166 palestinesi uccisi dagli F16 israeliani, di cui almeno 43 bambini.

E tra le conseguenze dell'offensiva israeliana contro la Striscia c'è anche il nuovo tentativo delle due principali fazioni palestinesi di ritrovare l'unità: Hamas e Fatah si sono riavvicinati a pochi giorni dal lancio dell'operazione militare per affrontare al meglio la situazione a Gaza.  Un'unità che appare come l'ultima opportunità per il presidente dell'Autorità Palestinese, Mahmoud Abbas, di risalire nei consensi, ai minimi storici in Cisgiordania.

Ieri una delegazione di Fatah è partita alla volta di Gaza, dove farà visita a ospedali e famiglie della Striscia. Mentre da Ramallah, l'ANP annuncia il rilascio dei prigionieri politici affiliati al movimento islamista, dopo che Hamas ha manifestato le stesse intenzioni:  ieri il portavoce del governo della Striscia, Taher al-Nunu ha detto che sarà concessa l'amnistia a tutti i prigionieri affiliati o sospettati di affiliazione con Fatah.

Nabil Shaath, leader di Fatah, ha annunciato che nei prossimi giorni decine di detenuti membri di Hamas in Cisgiordania saranno liberati.
Si attendono ulteriori meeting congiunti dopo il 29 novembre, quando Abbas si presenterà di fronte all'Assemblea Generale delle Nazioni Unite per chiedere il riconoscimento della Palestina come Stato non membro osservatore permanente.

La Palestina resta a guardare:  dalle elezioni del 2006, vinte da Hamas, e dalla successiva separazione politica di Cisgiordania e Gaza in due distinte entità governative, la popolazione palestinese rimane scettica.  Numerosi sono stati in passato i tentativi di riconciliazione tra le due fazioni, tentativi costantemente falliti per mancanza di volontà politica.

Ma con Hamas che cresce all'interno della società palestinese e che gode di una nuova inattesa legittimazione internazionale, l'ANP (e Fatah) sa di non poter proseguire in direzione della separazione. Con un dubbio in più:  Abbas è considerato da Stati Uniti, Europa e Israele l'unico partner credibile nel processo di pace.  Perdere tale status potrebbe provocare un terremoto economico a Ramallah, tenuta in piedi dal denaro dei finanziatori internazionali.  Da una parte Hamas, dall'altra la comunità internazionale.  In attesa del voto dell'Assemblea Generale dell'Onu e delle sue conseguenze, interne ed esterne.

(da NenaNews)

Spina N°30


Notizie.... Mie

Er Pesce vi ricorda l'appuntamento per lo spettacolo del 29-30 nov e del 01 dic 2012, in più come al solito ci aggiorna su alcune notizie della settimana



  • dal 29 Novembre al 1 dicembre Teatro dell'Orologio, via dei Filippini, 16/a, sala Orfeo... prezzo 13 euro compresa la tessera 
    (per chi ce l'ha 11 euro)
     

  • "UNA GIORNATA DA DISOCCUPATO" Una commedia tratta da una storia realmente accaduta, di Paolo "Pesce" Nanna con PAOLO "PESCE"NANNA - FEDERICA QUAGLIERI- ANDREA MICHELI- MAURIZIO LIMONGI- CLAUDIA NICOSIA - MUSICHE E CANZONI DI SERGIO GAGGIOTTI (ROSSO MALPELO) POESIE DI GIUSEPPE SPINILLO- REGIA MARENA MICHELI...            
29/30 Novembre e 1 Dicembre
INFO E PRENOTAZIONI 066875550
Nel foyer della sala Orfeo, per l'occasione, ci sarà l'esposizione delle vignette (a tema sul lavoro) del grande vignettista, nonché amico... 
PIETRO VANESSI in arte PV.
 
Paolo Pesce Nanna va in scena con lo spettacolo 
“Una giornata da disoccupato”. 

Le tre serate saranno dedicate alla sensibilizzazione e raccolta fondi per due progetti di Arcs: 

“Bibliobus- Biblioteche mobili per le future generazioni” a Gaza e “Salute materno-infantile. Sala operatoria e campagne di prevenzione e sensibilizzazione” in Tanzania.
 
 

domenica 25 novembre 2012

Bilderberg 2012: la distruzione economica dell’Italia è stata pianificata

stampalibera.com

Le associazioni massoniche:  il trait d’union tra le lobby dell’alta finanza che gestiscono le multinazionali – che hanno in mano l’economia globale – ed i governi del mondo.  

La rete del potere mondiale.  

Chi è Mario Monti e a quali poteri risponde. 

Il golpe italiano, chi c’è dietro e quali sono i loro obiettivi.

Che il nominato premier Mario Monti sia parte integrante dei gruppi di potere che cercano di controllare – o forse, che controllano – il mondo, lo sappiamo bene.  Fa parte dell’Aspen Institute, (.. come anche Napolitano ..) ha preso parte a diverse riunioni del gruppo Bilderberg, e ha ricoperto addirittura il ruolo di “Presidente europeo” della Commissione Trilaterale, estensione del super magnate Rockfeller, braccio destro della potentissima famiglia Rothschild, che ha in mano quasi tutte le banche centrali del mondo.

Monti ha ricoperto importanti incarichi (è stato advisor) per la superbanca d’affari USA Goldman Sachs, definita “il miglior posto per produrre denaro che il capitalismo globale sia mai riuscito a immaginare” con una capacità d’investimento di 12.000 miliardi di euro all’anno (il debito pubblico che sta mettendo in ginocchio l’Italia ammonta a poco meno di 2.000 mld di euro) e un valore di oltre un trilione, ovvero un miliardo di miliardi

(1.000.000.000.000.000.000) una banca Goldman Sachs, responsabile di aver mandato sul lastrico svariate decine – se non centinaia – di migliaia di famiglie americane e di altre parti del mondo, in particolare nei paesi poveri che più si prestano alle speculazioni, visto che pur di ingrassare il proprio business, i dirigenti Goldman Sachs non si fanno alcuna remora a speculare sulle carestie, derrate alimentari, sulla povertà della povera gente.  

Generare profitto:  si occupano di questo, all’interno della “super banca”, ben 30.000 dipendenti che percepiscono una media di 700.000 dollari all’anno, che grazie ai “premi” riconosciuti a chi è stato particolarmente produttivo possono superare – anche di molto – il milione di dollari.  I dirigenti di spicco, ovviamente prendono molto di più, anche oltre 10 volte tanto.

Oltre a Goldman Sachs ci sono altre banche molto influenti, legate anch’esse alle associazioni massoniche sopracitate, una di queste è Morgan Stanley, dove – guardacaso – lavora “Monti jr“,
il figlio di Mario Monti, alla quale il Ministero del Tesoro italiano a Gennaio 2012 ha elargito in gran silenzio, 2 miliardi e 567 milioni di euro per un affare (per la banca, non per il governo) di “derivati”.

Soldi che il governo – visto i tempi difficili, almeno per i cittadini – avrebbe potuto rimborsare in comode rate, e magari girare una parte agli imprenditori italiani che hanno fornito merci e servizi allo stato, a cui l’erario deve un totale di 70 miliardi di euro. Un’altra banca d’affari molto influente è JP Morgan.

Le associazioni di stampo massonico citate sopra (Aspen Institute, ma ancor di più gruppo Bilderberg Commissione Trilaterale ma anche altre club di Roma, ilCFR) e le lobby dell’alta finanza, le “super banched’affari(Goldman Sachs, Morgan Stanley, JP Morgan) sono legate a doppio filo, in quanto gli uomini che ne fanno parte sono gli stessi:

i dirigenti di punta delle lobby dell’alta finanza e i loro uomini di fiducia (uno di questi, evidentemente, Mario Monti) sono tutti membri delle associazioni massoniche, nel cui ambito interagiscono con i politici più importanti, e quindi i governi del mondo. Da molti anni a questa parte tutti i presidenti degli Stati Uniti che si sono avvicendati sono stati – tutti – membri del Bilderberg, o legati a doppio filo ad esso, così come gli uomini di Goldman Sachs (ufficialmente “ex”) ricoprono ruoli chiave all’interno del governo americano, come il Ministero delle finanze.

Queste banche d’affari, vere e proprie lobby dell’alta finanza, sono proprietarie/azioniste legate a doppio filo alle 147 multinazionali che controllano, condizionano e gestiscono a loro uso e consumo l’economia globale:  hanno in mano i mezzi d’informazione più autorevoli, mediante i quali “costruiscono” l’immagine dei politici che i cittadini di tutto il mondo eleggeranno.  Laddove sorgano organi di informazione di cui non sono direttamente proprietari, possono sempre “addomesticarli” mediante cospicui contratti pubblicitari.

Il vero editore dei giornali infatti sono le agenzie pubblicitarie, che consentono a un determinato organo di ricevere ottimi introiti ed espandersi, ma possono affondarlo se decidono di boicottarlo in quanto contrasta i loro interessi. Le grandi campagne pubblicitarie non vengono gestite direttamente dalle aziende:  queste si affidano ad agenzie, che stabiliscono come e dove investire: e la maggior parte – in termini di valore economico – dei contratti pubblicitari è gestito da poche agenzie, riconducibili in un modo o nell’altro, alle associazioni di stampo massonico e/o alle lobby dell’alta finanza sopracitate.

Nel panorama dell’alta finanza, dei mercati finanziari, dell’economia delle nazioni, dell’industria e del commercio, rivestono un ruolo importantissimo, fondamentale leagenzie di rating, deputate a stabilire, mediante una classificazione definita”rating” quanto siano “affidabili” governi e imprese.

Le agenzie di rating principali sono tre, soprannominate “le tre sorelle Standard & Poor’s, Moody’s e Fitch Ratings. 

Quando le agenzie di rating “declassano” una nazione, (o un’impresa) questa viene ritenuta meno affidabile; investire su di essa (cioè concedere credito a una determinata nazione, mediante titoli obbligazionari, o ad un’impresa) viene considerato più rischioso, pertanto aumentano i tassi di interesse che questa deve corrispondere. 

 Questo è un potere immenso, in quanto un abbassamento eccessivo del rating può significare tassi di interessi talmente elevati da determinare la bancarotta, sia per le imprese che per le nazioni, che sono costrette ad aumentare la pressione fiscale per pagare gli interessi necessari per avere liquidità.

Da notare come le agenzie di rating siano aziende private, e guarda caso legate a doppio filo alle lobby dell’alta finanza che le gestiscono a proprio uso e consumo, visto che in molti caso hanno favorito (inconsapevolmente?) alcune società, attribuendo loro un rating positivo anche in assenza dei presupposti per farlo:  è il caso della Lehman brothers, che poco prima di dichiarare bancarotta era ritenuta assolutamente affidabile (classificata A2) fattore che ha spinto numerosi investitori a investire forti somme, mentre in altri casi, alcune società (e nazioni) hanno ricevuto un rating eccessivamente penalizzante, mettendole in difficoltà poiché per avere “accesso al credito” erano costrette a corrispondere tassi di interesse elevatissimi.  Per maggiori informazioni, leggi “agenzie di rating, ecco chi controlla le tre sorelle“.

Ora viene il “bello”…  La procura ha accertato che una di queste agenzie di rating, Moody’s, remava contro l’Italia. 
E guarda caso, MONTI ERA UN COLLABORATORE DI MOODY’S, prima di essere NOMINATO premier!

L’agenzia di rating “Standard & Poor’s” mirava a destabilizzare l’Italia La procura chiude le indagini sull’agenzia di rating. 
Cinque le persone coinvolte con l’accusa di manipolazione di mercato continuata e pluriaggravata.  
“Fornivano intenzionalmente ai mercati un’informazione falsa in merito all’affidabilità creditizia italiana, in modo da disincentivare l’acquisto di Btp e deprezzarne il valore“ Leggi tutto

Ricapitolando:
  1. Monti è legato a praticamente tutte le associazioni di stampo massonico e alle principali lobby dell’alta finanza, che controllano anche le agenzie di rating.
  2. Le agenzie di rating hanno manovrato CONTRO l’Italia, fornendo informazioni FALSE ai mercati sulla nostra attendibilità.
  3. Monti lavorava ANCHE per una delle più importanti agenzie di rating, Moody’s.
  4. Grazie alla manipolazione delle agenzie di rating lo spread è salito a livelli vertiginosi = tassi elevatissimi per avere liquidità = tasse e aumento debito pubblico – e la situazione che tutti conosciamo.
  5. Per “risolvere” i problemi che hanno deliberatamente provocato, hanno imposto la nomina di Monti, che lavorava per le agenzie di rating che ci hanno penalizzato (lavorava anche per i poteri dell’alta finanza che controllano le agenzie di rating)

E tutt’oggi l’Italia è costretta a pagare interessi altissimi (lo spread) per avere liquidità, un vero e proprio COMPLOTTO ordito a danno dell’Italia, che ha affidato il governo a un collaboratore della stessa agenzia di rating che stava remando contro di lei!


Le conclusioni:
Questa lunga – necessaria – premessa mi auguro che sia stata sufficientemente chiara, per cercare di decifrare la situazione, e sopratutto chi c’è dietro a tutto questo.  

L’Italia è vittima di un complotto, un feroce complotto, e i nostri politici anziché difendere i nostri interessi, si sono piegati a compromessi con questi poteri forti. 

Il fatto che Enrico Letta, vice-presidente del PD abbia partecipato al meeting Bilderberg di quest’anno, è piuttosto eloquente. 

Lo stesso Berlusconi, che inizialmente – nei giorni di Novembre, immediatamente precedenti alle sue dimissioni, quando “l’attacco” all’Italia era nell’apice – sembrava intenzionato a opporre resistenza, dopo che “i mercati” (controllati ad uso e consumo dei poteri descritti sopra) hanno fatto perdere 10 punti percentuali alla sua Mediaset in un solo giorno, ha dichiarato la “resa incondizionata”, piegandosi a sostenere Monti – in cambio sicuramente di accordi personali – anche se questo gli è costato la PERDITA DI TUTTO IL CONSENSO che (incredibilmente) aveva mantenuto fino a quel momento 

Tra l’altro, Mario Monti, presentato da tutti i politici e dai media come il “salvatore della patria” già in passato aveva fatto grossi danni all’economia italiana: danni che però, hanno rappresentato un beneficio per le lobby dell’alta finanza di cui Monti è emissario.

Ormai siamo un giocattolino in mano agli speculatori, incentivati anche dalle direttive dell’Unione Europea, che si stanno arricchendo sempre di più alle nostre spalle, con la complicità di quei politici che gli hanno steso un tappeto rosso, e cercano di farci sopportare tutto questo seminando paura (lo spettro di conseguenze economiche ancora più terribili), con discorsi fuorvianti (“è necessario” – “salva Italia” etc) e le solite promesse da marinaio di “ripresa” (ripresa che non ci sarà mai, ma sarà sempre peggio, almeno per noi cittadini… le grandi aziende hanno delocalizzato o stanno delocalizzando: 

non c’è lavoro, non c’è soldi.. QUALE RIPRESA PUO’ ESSERCI?).

I poteri forti dell’alta finanza mirano innanzitutto alla nostra riserva aurea: alla quale punteranno “se non molto presto, abbastanza presto” – come ha dichiarato Nigel Farage in occasione dell’ultima intervista che gli ho fatto – ma anche AI BENI PUBBLICI ITALIANI:  ad iniziare dalle percentuali di proprietà delle aziende che lo stato possiede ancora, fino al patrimonio immobiliare che l’Italia sarà COSTRETTA A VENDERE – anzi: a Svendere – per ripianare il debito pubblico. Nel frattempo, Monti ha varato – sta varando – varerà – altre leggi che favoriscono tutti i poteri forti citati in precedenza, da quelli economico-bancari alle multinazionali, proprietari della “grande impresa” e della “grande distribuzione”, facendo chiudere i negozi dei cittadini, grazie all’oppressione fiscale e al calo dei consumi, che saranno soppiantati da centri commerciali o catene di negozi legate alle grandi aziende, che a capo hanno sempre gli stessi proprietari: le lobby dell’alta finanza.  Si venderà la nostra sovranità e i nostri beni, con un occhio di riguardo per le caste:  ormai credo che tutti si siano resi conto che Monti sta purgando solo i cittadini del ceto medio-basso:  questo perché avere i potenti contro potrebbe nuocere al suo disegno, per esempio difficilmente i notai potranno dare contro a Monti, visto che ha abolito la “tariffa massima” e potranno guadagnare di più.   Avere contro loro, non sarebbe stato semplice come avere contro gli operai della FIOM che si sono visti eliminare l’articolo 18… ci farà aderire alla fregatura colossale rappresentata dal MES, che è una DITTATURA ECONOMICA spacciata per fondo di stabilità – le manovre finanziare “salva Italia” in realtà, sono servite esclusivamente a rastrellare i soldi necessari per aderire ad esso

Quello a cui stiamo assistendo oggi è la naturale prosecuzione del processo che è iniziato nel 1992, a bordo del Panfilo Britannia, come illustra l’articolo DOSSIER: Ecco quando è iniziata la crisi dell’Italia; era il 1992 sul panfilo Britannia

Si sta verificando TUTTO quello che aveva previsto il movimento “No Global”, che è stato distrutto a Genova nel 2001:  movimento composto da centinaia di movimenti di ogni estrazione politica e sociale perché non era composto solo dalla ‘sinistra radicale’ come pensano molti:  al Genoa Social Forum avevano aderito Acli, WWF, Rete Lilliput, associazioni studentesche e altro ma all’opinione pubblica è stato dipinto in modo fuorviante, come se fosse composto solo da “punkabbestia” e scalmanati dei centri sociali più aggressivi. Movimento che faceva discorsi giusti, stava crescendo troppo rapidamente e per i potenti del mondo era troppo pericoloso. 

Con la sospensione dei diritti democratici alla quale il mondo ha assistito in quei giorni, è stato spazzato via. Purtroppo ormai di quel Movimento se ne parla quasi esclusivamente in chiave “violenze delle forze dell’ordine” al G8 di Genova, che innegabilmente ci sono state: i fatti della “Diaz” e di “Bolzaneto” sono emersi in tutta la loro gravità, dopotutto era inevitabile che accadesse.  Anzi doveva venire fuori, perché se le violenze fossero state tenute nascoste e non fosse stato seminato il terrore, al G8 successivo probabilmente a manifestare ci sarebbero state molte più associazioni e persone:  invece quel “Movimento” è finito li, a Genova, affogato nel sangue di Carlo Giuliani e di migliaia di persone pestate senza motivo. 
Le forze dell’ordine, “caricate” con la strategia del terrore di chi aveva messo in guardia gli agenti da minacce di ogni tipo, preparandoli come se fossero dovuti andare in guerra, sono stati esecutori materiali di quella che era una volontà che andava ben oltre, probabilmente, del governo italiano.  Quel movimento doveva essere fermato.  Personalmente nel 2001 avevo 20 anni, non ho partecipato alle manifestazioni e non ero un simpatizzante “no global”.  Il fatto che oggi stia accadendo praticamente tutto quello che avevano previsto l’ho appreso pochi anni fa, approfondendo, leggendo ciò che sosteneva quel movimento.

Il mondo è succube di una minoranza, un’élite composta da poche centinaia di potenti che dopo essersi appropriati del governo USA (1) stanno estendendo il loro dominio a tutte le altre nazioni del mondo, ad iniziare dalle nazioni europee e quelle che hanno in mano le materie prime.  Laddove non possono conquistare il potere con le armi politico-economiche, lo fanno con le armi.  Hanno in mano le redini dell’economia, dei mercati finanziari, industriali e del commercio: e stanno rastrellando a se tutte le ricchezze del mondo. 

Ma quello che vogliono non sono i soldi, ne hanno fin troppi. 
Quello che vogliono, è il POTERE: che senza dubbio è detenuto da chi è proprietario di tutto. E chissà che quei “complottisti”, che sostengono che l’élite vuole instaurare un “governo mondiale”, con una moneta mondiale – il tutto ovviamente gestito da loro – non abbiano ragione…

(1) J.F. Kennedy parlò di questi “poteri oscuri” che intendeva sconfiggere: ma purtroppo non c’è riuscito, ed è stato eliminato. 

E il suo successore annullò immediatamente l’ “ordine esecutivo 11110” con il quale Kennedy consentiva al Ministero del Tesoro USA di stampare moneta senza il controllo della FED, la banca centrale USA – privata – che dal 1913 gestisce il Dollaro, dominando quindi l’economia statunitense.

Fonte: Autore: Alessandro Raffa per nocensura.com