Comunicato di pubblica resistenza al DDL intercettazioni

Gentile Onorevole Presidente del Consiglio dei Ministri Silvio Berlusconi, in questi giorni, in queste ore, il Parlamento della Repubblica Italiana è impegnato in una corsa contro il tempo per una più che rapida approvazione del disegno di legge firmato dall'Onorevole Ministro della Giustizia Angelino Alfano e noto come "ddl intercettazioni".

Il provvedimento rappresenta una delle più drastiche limitazioni al potere d'indagine che compete ai magistrati inquirenti del nostro paese e, al contempo, la più dura, feroce e devastante limitazione al diritto costituzionale di informazione; il diritto di farla e il diritto di riceverla.

Il progetto di legge, per mezzo dei suoi punti fondanti, impedisce il racconto giornalistico su fatti giudiziari di pubblico dominio e privi di segreto, stabilisce pene detentive e pecuniarie pesantissime verso chiunque osi divulgare verità giudiziarie, introduce nuovi obblighi di rettifica per i blog minandone la sopravvivenza, trasforma in crimine il diritto dei cittadini vittime di crimini di raccogliere prove audio e video a dimostrazione del reato e stabilisce odiose discriminazioni tra forme di giornalismo, all'interno di una drammatica limitazione del diritto ad effettuare inchieste giornalistiche.

Il diritto all'informazione nelle sue forme più elementari, il principio di legalità e la ricerca della giustizia vengono totalmente smantellati da tale provvedimento.

Pertanto questo sito internet dichiara sin da adesso che, per imprescindibili motivi etici e in ragione della difesa del diritto alla libertà di parola e di stampa, solennemente sancito dalla Costituzione italiana e dalle leggi vigenti, in caso di approvazione in via definitiva e di conversione in legge, non potrà attenersi in alcun modo alle norme che compongono il disegno di legge sulle intercettazioni.

Questo sito si dichiara altresì .. per imprescindibili motivi sia etici che politici .. deberlusconizzato .. demontizzato .. degrillizzato

domenica 18 marzo 2012

"Modernizzazione ecologica"

La modernizzazione ecologica promette una "rivoluzione verde" legittimando una nuova proliferazione di rischi e l'involuzione della democrazia in una governance tecnocratica .. 

Le mosse di un ecobusiness dai contenuti sociali ed ecologici pesantemente negativi sono improntate agli schemi della modernizzazione ecologica. CONOSCERLE SIGNIFICA PREVENIRLE E COMBATTERLE CON MAGGIORE EFFICACIA

La "modernizzazione ecologica" nasce come una scuola di pensiero nell'ambito della sociologia dell'ambiente. Le origini risalgono ai primi anni '80 sulla base dei lavori di Martin Jënicke e, soprattutto, di Joseph Huber. Nonostante l'internazionalizzazione della scuola avvenuta negli anni '90 per opera di un gruppo di sociologi olandesi (tra cui spiccano Arthur Mol e Gert Spaargaren considerati ancor oggi i massimi esponenti della modernizzazione ecologica) essa ha mantenuto l'impronta tedesca e in Germania ha avuto il massimo successo, anche al di fuori degli ambiti accademici. Un successo che l'ha portata a divenire qualcosa di più rispetto ad una teoria sul rapporto tra modernità ed ecologia.

Scalzando in larga misura il più vago discorso sullo "sviluppo sostenibile" ha assunto il ruolo di discorso dominante (politicamente corretto) nell'ambito delle arene pubbliche e private della politica ambientale offrendo legittimazione ideologica per una serie di iniziative nel campo dell'ecobusiness. Di più è divenuto anche un programma prescrittivo di politiche di ristrutturazione "verde" del sistema industriale. 


La riforma ecologica che piace ai detentori del potere

Tanto successo è legato al carattere "ottimistico" della teoria di partenza che riposa sull'assunto della capacità e della convenienza da parte del sistema industriale di promuovere la salvaguardia dell'ambiente. Hajer (1995) definisce molto sinteticamente la modernizzazione ecologica come "the discourse that recognises the structural character of the environmental problematique but ... assumes that existing institutions can internalise the care for the environment. Il discorso che riconosce il carattere strutturale dei problemi ambientali ma presuppone che le istituzioni attuali (imprese in primis) siano in grado di farsi carico della cura dell'ambiente".

Non solo si confida che i soggetti economici privati abbiano l'interesse ad adottare politiche "verdi", ma si postula anche che tale possibilità sia concretamente attuabile grazie ad una riconfermata fede nella tecnologia. Di qui la riconferma di un ruolo centrale delle istituzioni scientifiche e tecnologiche nella "riforma ecologica". Ad esse è affidato il compito di sviluppare nuove tecnologie "di frontiera" con le quali la modernizzazione ecologica si prefigge di aumentare l'efficienza dei processi industriali, riducendo l'inquinamento entro limiti "tollerabili" (che nel caso dei contaminanti cancerogeni, però, non esistono), riducendo l'uso di energia fossile.

In questo modo, fornite le opportune rassicurazioni circa la non messa in discussione del percorso della modernizzazione e dei suoi principali artefici (l'industria e la tecnoscienza), la modernizzazione ecologica ha trovato l'appoggio dei principali centri di potere della società contemporanea. Che hanno abbracciato con slancio una teoria e un programma che vanno in direzione opposta alla critica ecosociale degli anni '70 ma anche alle più recenti teorie sulla "modernizzazione riflessiva" e sulla "società del rischio" che hanno raccolto un vasto consenso nella sociologia con echi anche nel pubblico attraverso il lavoro del tedesco Beck particolarmente critico verso le carenze dei sistemi di conoscenza specialistici e del ruolo della tecnoscienza quale fattore di disordine sociale ed ecologico e di rischio.

Le politiche pubbliche ridotte alla leva fiscale e degli incentivi

La modernizzazione ecologica è gradita ai centri del potere industriale e tecnoscientifico perché prevede anche una policy in cui lo stato si limita ad applicare la leva fiscale e degli incentivi lasciando sostanzialmente le decisioni nelle mani di una governance tecnocratica in cui lo stato abdica al suo ruolo tradizionale per affidare all'autoreferenzialità dei soggetti economici e scientifici le tradizionali competenze amministrative, manageriali e regolatrici. Una abdicazione giustificata alla necessità di lasciare ad un expertise specialistico la messa in pratica delle scelte. 

Quanto ad altri attori ci può essere spazio di cogestione per un ambientalismo istituzionalizzato e professionalizzato mentre nei confronti del pubblico si preconizza una politica di "partecipazione" passiva (informazione dall'alto). 

La modernizzazione ecologica preconizza l'uso della certificazione "verde" (per esempio ISCC, International sustainability and carbon certification) quale strumento di garanzia verso la collettività anche se questo non è altro che un modo più formalizzato di fondare la legittimazione sulla base dell'autorità degli stessi ambienti tecnoscientifici impegnati nello sviluppo e applicazione delle tecnologie "verdi". 

I limiti della modernizzazione ecologica sono poi evidenti nella sua capacità di affrontare solo i problemi di alcuni settori a forte contenuto tecnologico (chimica, biotecnologie, elettronica, bionica, nanotecnologie) dove è possibile l'applicazione di tecnologie presentate come "leggere" e "pulite" (ma gli Ogm e l'insostenibilità di tante iniziative nel campo delle "energie rinnovabili" sono lì a smentirlo). Si lasciano invece sostanzialmente irrisolti i problemi di settori maturi (siderurgia) dove le possibilità di "smaterializzazione" sono palesemente minori. 

Il lato meno attraente della medaglia

È stato lo stesso fondatore della modernizzione ecologica a enfatizzare gli aspetti accattivanti del programma che la teoria prefigurava usando una metafora poetica poi ampiamente sfruttata alla nausea in una comunicazione fatta di fiorellini, bambine che corrono felici, farfalle che svolazzano: "The dirty and ugly industrial caterpillar transforms into anecological butterfly. Il caterpillar industriale brutto e sporco si trasforma in una farfalla ecologica)(Huber, 1985).

Gli aspetti accattivanti (almeno in apparenza) della modernizzazione ecologica sono però controbilanciati dall'altro lato della medaglia. Se, da una parte, la riforma "verde" della società industriale avanzata comporta l'internalizzazione della cura dell'ambiente nel meccanismo economico, l'ecologizzazione dell'economia, dall'altra essa comporta anche l'economizzazione dell'ecologia. Dove i meccanismi di mercato (sia pure modulati da leve fiscali e incentivi) non sono efficaci la tutela dell'ambiente rischia di non essere presa in considerazione.

Sappiamo tutti che la marmitta catalitica e i divieti di circolazione per le auto inquinanti (come le le altre fossero a emissioni zero!) sono stati viatici per l'industria automobilistica. Possono aver contribuito a ridurre l'inquinamento (ma non le nanopolveri) ma solo perché c'era un interesse industriale. Moltissime iniziative che comporterebbero tangibili risparmi energetici e riduzione di emissioni non vengono assunte semplicemente perché non comportano uno "stimolo" per il mercato. I limiti di una tutela ecologica affidata al mercato e al profitto appaiono evidenti se si pensa alla biodiversità. Qui l'interesse economico va in senso opposto: verso la distruzione della biodiversità a favore del vivente brevettato e geneticamente modificato. 

Un altro aspetto controverso della modernizzazione ecologica è legato al fatto che essa rivendica la capacità di risolvere i problemi ambientali non già attraverso la de-industrializzazione quanto attraverso la super-industrializzazione (Spaargaren and Mol, 1992).

Super-industrializzazione significa applicazione estensiva di tecnologi "pulite" ma anche estensione della logica industriale al fine di garantire l'efficacia delle tecnologie di controllo e prevenzione, quantificazione dei problemi ambientali.

Il successo in Germania e in Italia

La modernizzazione ecologica ha riscosso un grande successo in Germania dove è nata. Qui ha conquistato almeno parte dei Grünen. La grande forza della modernizzazione ecologica in Germania forse spiega perché in quel paese ci siano 7.000 impianti a biogas senza che quasi nessuno protesti. Non meraviglia che ci siano studiosi che hanno criticato la modernizzazione ecologica utilizzata "per legittimare la continuazione della dominazione strumentale e la distruzione dell’ambiente, oltre che la promozione di forme di governo meno democratiche" (Christoff,1996). Parole dure ma se si analizzano molte delle soluzioni proposte dall'ecobusiness non si può non essere d'accordo.

Uscita dalla crisi, soluzione alla bassa occupazione, risposta al cambiamento climatico e il mito di un New Deal verde rappresentano anche il terreno di convergenza tra i verdi e la socialdemocrazia, una convergenza che riempie di entusiasmo gli ecodem nostrani (ovvero gli "ecologisti" del PD). Silvia Zamboni, direttrice di Ecodem su Qualenergia.it del 2.11.2011 (http://qualenerqia.it/newsletter) si occupa diffusamente del tema e riferisce il puro pensiero "ecomodernizzatore" di Ralf Fúcks, co-presidente della fondazione Heinrich Boll ("legata ai Grünen").

"Il passaggio da fare è dal concetto dei limiti alla crescita, evidenziati dal Rapporto del 1972 dei Club di Roma, a quello della crescita dei limiti, grazie alle nanotecnolcgie, all'energia solare, al riciclo, alla bionica e all'economia blu di Gunter Pauli che "copiano" dalla natura le soluzioni ai problemi da tradurre poi in innovazione. Crescita zero in Europa non è la risposta a quella tumultuosa in corso nel resto del mondo. Piuttosto, l'Europa dovrebbe investire il suo orgoglio nel porsi alla testa della modemizzazione ecologica" .

I modernizzatori ecologici ritengono superato il riferimento ai "limiti della crescita" al "piccolo e bello". Tutte anticaglie da anni '70 del secolo scorso, secondo loro. È indubbio che la vocazione prometeica, il mai sopito anelito al paradiso in terra della sinistra traggono nuova linfa dal verbo della modernizzazione ecologica fino ad arrivare all'enfasi di un altro ecodem e al suo inno alla palingenesi offerta dalla green economy (al convegno del PD del 13.01.2012 "La via Italiana alla Green economy")

"L'economia verde è uno dei pilastri di un progetto di ricostruzione - o forse meglio sarebbe dire di costruzione di un'Italia nuova - insieme a pochi altri grandi obiettivi: rafforzare la coesione sociale, la legalità, l'unità nazionale; aumentare l'occupazione; ridurre le disuguaglianze sociali e riformare il welfare; ridurre il il divario tra ricchezza privata e miseria pubblica".

A parte i toni sopra le righe e la vecchia demagogia (ma come si fa a parlare di "miseria pubblica" a fronte di una pressione fiscale record mondiale) ciò che conta è il consolidamento di un terreno comune con ambienti confindustriali e bocconiani. E se gli ecodem teorizzano Legambiente opera sul terreno della prassi (e del business).

L'ambientalisno istituzionale non pungola se non è pungolato

Nel 2010 Legambiente sosteneva attraverso le parole del presidente (Vittorio Cogliati, Corrierone del 16.09.2010) che "Il paesaggio non è sacro e intoccabile. Molte zone migliorano con le pale [eoliche]". Parole che fecero scalpore perché contemporanee alla polemica sul parco solare di Cutrofiano promosso da AzzeroCO2 una società di servizi partecipata dalla stessa Legambiente, dal Club Kyoto Italia e dal centro ricerche Ambiente Italia. Allora Legambiente sosteneva che l'impianto solare a terra era ecologico perché .. in mezzo si coltivava con metodo bio. Uno stile perfetto da modernizzazione ecologica (versione prosaica). 

Come quando Legambiente asseriva (sino a pochi mesi fa) che il biogas era una panacea, anche se prodotto con biomasse ottenute da colture dedicate (ovvero in sostituzione di quelle alimentari):
".. il recupero energetico da biomasse è uno degli assi portanti della riduzione del prelievo di fonti fossili e può contribuire in forma determinante alla riduzione dei gas serra. In questo scenario lo sfruttamento del biogas a fini energetici acquista una notevole importanza sia quando prodotto a partire dalla frazione organica dei rifiuti, sia quando prodotto attraverso colture energetiche dedicate." (Dossier Energia dai rifiuti senza CO2: la gestione sostenibile degli scarti organici - 2010).

Oggi Legambiente non osa più sostenere queste ecoballe, ovvero che il biogas si ottiene con "emissioni zero" di CO2 (lo sanno anchei bambini che il bilancio di energia fossile e emissioni, quando va bene, va in pari. Tutti (o quasi) giudicano poi poco etico gettare cibo più o meno potenziale a marcire in un digestore per ricavare un po' di elettricità. E Legambiente si è adeguata.

Buttel (2000), un importante sociologo rurale americano che si è occupato della modernizzazione ecologica senza far parte della scuola principale, ha osservato che sono i gruppi ecologisti "radicali", i gruppi locali impegnati nelle lotte contro la tossicità e la contaminazione chimica a rafforzare il movimento ecologista nel suo complesso (compreso il mainstream istituzionalizzato), a fornire nuovi schemi, ad arricchirlo di nuove problematiche e, in definitiva, a stimolare la stessa modernizzazione ecologica. Così, per esempio, Legambiente incalzata dai Comitati spontanei e dai suoi stessi Circoli ha abbandonato il biogas quale soluzione obsoleta difficilmente difendibile.  Il risultato però è quello che ha illustrato Gattoni, presidente del Consorzio Biogas Italiano in occasione della prima giornata nazionale del biometano, tenutasi a Milano il 6 febbraio 2012:

"il CIB  è parte di un piano coordinato dalla Dena, l'agenzia energetica tedesca, che ha per oggetto proprio la condivisione degli sviluppi normativi, regolatori e tecnologici per favorire lo sviluppo del biometano a livello europeo. Parallelamente il Consorzio Italiano Biogas ha promosso un gruppo di lavoro nazionale, con Confagricoltura, Aiel, Cia, Assometano, Ngv Italia, Legambiente, le industrie del biogas e dell'upgrading e i ricercatori, con l'obiettivo di velocizzare l'attuazione delle norme, contenute in un apposito Dl 28/2011, per lo sviluppo del biometano".

Roba da manuale di modernizzazione ecologica: 
transnazionalità (le industrie sono tedesche ed è l'agenzia energetica tedesca a menare le danze, la governance collega soggetti privati e pubblici che "condividono gli sviluppi normativi, regolatori e tecnologici" .. al governo si chiede solo di recepire e promulgare .. l'ambientalismo istituzionale a fare la ciliegina sulla torta.

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