Comunicato di pubblica resistenza al DDL intercettazioni

Gentile Onorevole Presidente del Consiglio dei Ministri Silvio Berlusconi, in questi giorni, in queste ore, il Parlamento della Repubblica Italiana è impegnato in una corsa contro il tempo per una più che rapida approvazione del disegno di legge firmato dall'Onorevole Ministro della Giustizia Angelino Alfano e noto come "ddl intercettazioni".

Il provvedimento rappresenta una delle più drastiche limitazioni al potere d'indagine che compete ai magistrati inquirenti del nostro paese e, al contempo, la più dura, feroce e devastante limitazione al diritto costituzionale di informazione; il diritto di farla e il diritto di riceverla.

Il progetto di legge, per mezzo dei suoi punti fondanti, impedisce il racconto giornalistico su fatti giudiziari di pubblico dominio e privi di segreto, stabilisce pene detentive e pecuniarie pesantissime verso chiunque osi divulgare verità giudiziarie, introduce nuovi obblighi di rettifica per i blog minandone la sopravvivenza, trasforma in crimine il diritto dei cittadini vittime di crimini di raccogliere prove audio e video a dimostrazione del reato e stabilisce odiose discriminazioni tra forme di giornalismo, all'interno di una drammatica limitazione del diritto ad effettuare inchieste giornalistiche.

Il diritto all'informazione nelle sue forme più elementari, il principio di legalità e la ricerca della giustizia vengono totalmente smantellati da tale provvedimento.

Pertanto questo sito internet dichiara sin da adesso che, per imprescindibili motivi etici e in ragione della difesa del diritto alla libertà di parola e di stampa, solennemente sancito dalla Costituzione italiana e dalle leggi vigenti, in caso di approvazione in via definitiva e di conversione in legge, non potrà attenersi in alcun modo alle norme che compongono il disegno di legge sulle intercettazioni.

Questo sito si dichiara altresì .. per imprescindibili motivi sia etici che politici .. deberlusconizzato .. demontizzato .. degrillizzato

giovedì 30 agosto 2012

Monti dell’Ortaccio, un lago nella futura discarica

                
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Monti dell’Ortaccio e il caso del lago.  Non è un film, o una serie tivù. 
 Ma è quello che si vede all’interno del sito scelto dal commissario Goffredo Sottile come discarica provvisoria.  Decisione che dovrà passare in conferenza dei servizi con Comune, Regione e Provincia, i tre enti locali che – a parole – si sono già schierati per il «no».  

Nel terreno di proprietà di Manlio Cerroni, ad un paio di chilometri di distanza da Malagrotta, in mezzo alla cava che dovrebbe servire da «contenitore» per i rifiuti già trattati, spunta l’acqua.  

Un lago con dentro papere e gabbiani, di dimensioni considerevoli, con la vegetazione sui bordi e le pareti di roccia a delimitarlo.  Quel bacino d’acqua, del quale finora si sono accorti quasi esclusivamente gli abitanti della zona, rischia di diventare un nuovo «caso» e anche un elemento di valutazione per il nulla osta sul sito.

Da dove viene quell’acqua?  Gli abitanti della zona non hanno dubbi: «Arriva dalla falda acquifera sottostante».  

Secondo Angelo Vassola, portavoce del «Movimento cittadini di Valle Galeria», «si tratta di vene acquifere dei pozzi, che vengono usati sia per l’annaffiamento delle piante che per uso abitativo».  Non è acqua potabile, insomma.  Ma serve a tutte le altre attività domestiche: farsi la doccia, lavare i piatti, utilizzare una lavatrice. «Scavando le cave, l’acqua affiora», aggiunge Vassola.  I pozzi sono privati, alcuni costruiti dai contadini, altri dai proprietari di casa, altri dai costruttori.  Valle Galeria è un insediamento urbano composito, un mix di abitazioni previste nel Piano regolatore e altre, un tempo abusive, poi condonate nel tempo.  Alcune di queste case, non hanno l’acqua potabile dentro: sembra impossibile, nel terzo millennio, ma è così. 
Qualcuno, allora, si è arrangiata come ha potuto, ricorrendo appunto ai pozzi e alle fosse biologiche: le zone di Spallette e di Piana del Sole, ad esempio, sono ancora in queste condizioni.  Ora, però, il laghetto di Monti dell’Ortaccio diventa di attualità.  E l’avvocato Manlio Cerroni, tra gli aggiornamenti del progetto presentato alla Regione già nel 2009, dovrà anche includere un nuovo monitoraggio di acque e pozzi.  Gli abitanti di Valle Galeria sperano nel dietro-front e citano un precedente:  «Anche alla Solfanella, altro sito indicato da Cerroni dieci anni fa e riproposto dalla Provincia, c’era un laghetto con l’acqua.  Quel sito, poi, è stato scartato dalle opzioni».
Finirà così anche adesso?  La riposta alla conferenza dei servizi, convocata per metà settembre.  Alemanno, Polverini e Zingaretti sono stati invitati alla fiaccolata di protesta del 4 settembre, ma gli abitanti di Valle Galeria vogliono un impegno concreto:  «Ci devono assicurare il loro no, non solo politico ma anche tecnico. Questo fermerebbe il progetto». 

Lago o non lago. 


martedì 28 agosto 2012

Le favolette di Sergio Rizzo e del Ministro Clini sui costi della discarica di Roma

Ecco il confronto vero dei costi della discarica di Malagrotta con l'Italia e l'Europa
Oggi sul “Corriere della Sera” un osservatore autorevole come Sergio Rizzo ha scritto un articolo (“Il gioco dell'Oca della discarica di Roma”) provando a spiegare l’incredibile situazione della gestione dei rifiuti a Roma.

Rizzo conclude l’articolo scrivendo che “per anni e anni la classe politica locale ha semplicemente fatto finta che il problema non esistesse.  
Il motivo è semplice:  smaltire i rifiuti nella discarica di Malagrotta costava talmente poco che ogni altro sistema sarebbe stato meno conveniente dal punto di vista economico”.

Lunedì 27 agosto 2012 il Ministro Clini ha affermato un concetto analogo: “conferire a Malagrotta rifiuti non trattati costava poco”.

Quale confronto ha predisposto l’autorevole giornalista Sergio Rizzo per concludere e propinarci che la discarica di Malagrotta costava 
“talmente poco”?

Quali analisi e studi approfonditi ha fatto predisporre il Ministro Clini dal suo Ministero per dichiarare che 
“conferire a Malagrotta rifiuti non trattati costava poco”?

Abbiamo voluto verificare queste sorprendenti dichiarazioni.

Nel 2009 il costo a tonnellata della discarica di Malagrotta era pari a 
68 euro.

Nella “Relazione annuale sullo stato dei servizi idrici, di gestione dei rifiuti urbani e sull’attività svolta - Anno 2009” predisposta dall’Autorità regionale per la vigilanza dei servizi idrici e di gestione dei rifiuti urbani della Regione Emilia Romagna emerge che, in Italia, la tariffa minima dello smaltimento in discarica è stata pari a 51,60 euro.

Quindi, la tariffa di Roma applicata dal signor Cerroni non è la più bassa in Italia.

Sempre nella relazione della Regione Emilia Romagna sono riportate le tariffe medie europee basate sulla indagine Cewep (dati riferiti al 2007 ed attualizzati al 2009).

La tariffa della discarica di Malagrotta (68 euro per tonnellata) è nettamente più alta delle tariffe medie del Belgio (50-60 euro), della Danimarca (20-60 euro), dell’Olanda (20-40 euro), della Spagna (20-50 euro) e della Svezia (30-50 euro).


Conviene, quindi, esportare i rifiuti all’estero, piuttosto che pagare le salatissime  tariffe imposte dal monopolista dei rifiuti di Roma, il signor Cerroni.

Sempre nella “Relazione annuale sullo stato dei servizi idrici, di gestione dei rifiuti urbani e sull’attività svolta - Anno 2009” predisposta dall’Autorità regionale per la vigilanza dei servizi idrici e di gestione dei rifiuti urbani della Regione Emilia Romagna sono riportate le singole voci di costo che compongono la tariffa applicata per smaltimento in discarica dei rifiuti urbani.

Considerando che il 41,7% dei costi di una discarica sono connessi agli ammortamenti di realizzazione e che i costi di realizzazione della discarica di Malagrotta, dopo 40 anni, sono stati ormai completamente ammortizzati, ne deriva che la tariffa da applicare alla discarica di Malagrotta, pari a 68 euro, doveva essere ridotta come minimo del 41,7%.

Un guadagno enorme per il gestore della discarica di Malagrotta.

E qui, come succede troppo spesso in Italia, gli utili delle grandi imprese davanti al fisco scompaiono, si smaterializzano: per cui nel 2009 la società che gestisce la discarica di Malagrotta, la CO.LA.RI.  Consorzio Laziale Rifiuti, a fronte di un valore della produzione di 84.757.093 euro arriva a dichiarare un utile di soli 642 euro.

In sintesi, il signor Cerroni gira in elicottero e la discarica di Malagrotta ha riportato un utile di 53,5 euro al mese.

Ma questo né il Ministro Clini né il giornalista Rizzo l’hanno visto.

Malagrotta, inceneritore fermo da 10 mesi. Tecnologia a rischio ambientale

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A guardarlo da via di Ponte Galeria l’impianto di gassificazione di rifiuti dell’avvocato Manlio Cerroni è un’imponente cattedrale, con un certo tocco futurista.  “Per Roma vogliamo una Ferrari, non una mille e cento”, commentò con una certa enfasi l’avvocato monopolista dei rifiuti qualche anno fa.  Cristalli, acciaio, struttura lanciata. Un vestito decisamente moderno per una tecnologia che ha una lunga, complessa e incredibile storia: tanti problemi – anche gravi – nei pochi precedenti in Europa. 
Con un fantasma che aleggia sul gassificatore destinato a bruciare i rifiuti romani, un nome che fa tremare i polsi agli ambientalisti: Karlsruhe, città tedesca dove un impianto simile – e sul concetto di simile si gioca il futuro di questa tecnologia – ha chiuso i battenti nel novembre del 2004, con 500 milioni di euro di perdita e tanti, tantissimi problemi. Un impianto – raccontano i giornali tedeschi dell’epoca – che rischiava di avere incidenti gravissimi, sfiorando in almeno un caso l’esplosione.  Ottobre 2011, Cerroni spegne l’inceneritore.  Partiamo dalla fine, dell’ultima puntata di una vicenda intricata, dove si incrociano brevetti svizzeri, esperimenti italiani e acciaierie giapponesi.  L’inceneritore di Roma è fermo da dieci mesi. Dallo scorso ottobre non produce più un solo kilowatt di energia, con le linee di alimentazione vuote, nonostante l’enorme quantità di rifiuti che ogni giorno affluiscono nel sito di Malagrotta, a poche decine di metri. 
Un fermo “amministrativo”, si dice più o meno ufficialmente in giro, in attesa di completare l’intero impianto con altre due linee, anche se i due anni di sperimentazione hanno dato non pochi grattacapi ai tecnici. 
Da ottobre i quasi cento dipendenti della società svizzera incaricata da Cerroni per la conduzione dell’impianto sono senza stipendio e – seppur ufficialmente in cassa integrazione – senza un solo euro di ammortizzatori sociali.  La 7-Hills, il gruppo con casa madre a Lugano, nel Canton Ticino, che aveva le chiavi dell’impianto, è oggi – almeno in Italia – una scatola vuota.  Alla sede legale registrata presso la Camera di commercio di Roma, nel centrale quartiere Prati, c’è solo uno studio di avvocati specializzati in diritto ambientale.  Quando nei mesi scorsi sono arrivate le lettere dei legali dei lavoratori chiedendo il pagamento degli stipendi, la risposta è stata secca: la sede non è più qui, dovete cercare altrove.  Vuoti gli uffici che li ospitavano a Malagrotta: “Qui non c’è più nessuno della 7-Hills, non sappiamo dove sono”, spiegano i vigilantes. Eppure il nome della società è un punto chiave per capire cosa succede nell’impianto di incenerimento di rifiuti di Manlio Cerroni, quando Roma si trova ad un passo dall’emergenza. Thermoselect?  No, “Thermodefect”.  L’impianto di Karlsruhe in Germania venne realizzato utilizzando un brevetto svizzero, detenuto dalla società – poi fallita – Thermoselect.  Quasi dieci anni prima questa tecnologia era stata sperimentata a Verbania.  Fu un vero disastro: la magistratura si accorse che le acque risultavano altamente contaminate e sequestrarono l’intera area.  Dopo un processo che portò alla condanna della dirigenza della società – con un coinvolgimento iniziale dell’allora direttore del ministero dell’ambiente Corrado Clini, poi prosciolto dai giudici romani – quel primo impianto sperimentale venne definitivamente chiuso e abbattuto.  L’esperimento tedesco non ebbe migliore fortuna. 
Le cronache parlano di rischi di esplosione, contaminazione delle acque e, soprattutto, di costi gestionali stratosferici. In sostanza la conduzione dell’impianto di gassificazione consumava più soldi che rifiuti.  In un arbitrato seguito alla vicenda, le autorità svizzere hanno scritto, nero su bianco, il loro giudizio sulla vicenda: “Non è stata fornita la prova del concreto funzionamento dell’impianto (…) e il buon funzionamento dell’impianto attualmente in costruzione a Karlsruhe non poteva essere dimostrato”. 
Nel 2004 la vicenda si conclude definitivamente e per la Thermoselect iniziano i guai finanziari.  Uno dei manager del gruppo svizzero, Carlo Riva, decide di riprendere gli affari nel campo con una società apparentemente non legata a questa tecnologia. Spunta così il nome della 7-Hills, ovvero “sette colline”, qualcosa che – curiosamente – richiama i sette colli di Roma. 
Ed è proprio questa la società che un paio di anni dopo progetta e realizza il gassificatore di Malagrotta, grazie ad un contratto con la Colari dell’avvocato Cerroni. Nel 2008, una volta chiuso il cantiere, è sempre la 7-Hills ad essere incaricata della conduzione dell’impianto, come si legge nel contratto firmato il 13 gennaio 2009 tra l’avvocato Manlio Cerroni e l’ingegner Riva, ex Thermoselect. Ed è questa società che lo scorso ottobre lascia i dipendenti senza stipendio e – di fatto – senza ammortizzatori sociali, facendo perdere le proprie tracce in Italia.  
Una tecnologia sospetta. I dirigenti del gruppo Colari assicurano che l’impianto di Malagrotta ha subito modifiche sostanziali rispetto al brevetto Thermoselect.  L’ingegner Mauro Zagaroli che nel 2003 presentò in un convegno insieme a Carlo Riva – futuro amministratore della 7-Hills e all’epoca dirigente della stessa Thermoselect – la tecnologia in uso a Karlsruhe, oggi si dice sicuro sulla differenza sostanziale tra l’impianto romano e quello tedesco.  Lo ha scritto anche nel progetto per un impianto gemello che Cerroni, insieme ad Ama e ad Acea, vuole realizzare ad Albano:  “E’ una tecnologia giapponese, usata in diversi impianti in Giappone”, spiega a ilfattoquotidiano.it. 
In altri documenti il gestore dei rifiuti romani richiama apertamente il gruppo nipponico Jfe, nato all’inizio degli anni 2000.  
Ma i conti qui non tornano.
In diversi documenti tecnici della Jfe si fa apertamente riferimento al brevetto della Thermoselect che la società giapponese acquistò una decina di anni fa.  Non solo: la stessa Thermoselect – contattata da ilfattoquotidiano.it – cita come esempi di impianti, che ancora oggi utilizzano la tecnologia sperimentata a Verbania e a Karlsruhe, “sette impianti, tutti localizzati in Giappone”.  Gli stessi ingegneri che gestivano l’impianto di Malagrotta per conto della 7-Hills ammettono senza tanti problemi che quell’impianto “utilizzava la tecnologia Thermoselect”, anche perché la 7-Hills – che ha progettato, realizzato e condotto per due anni l’impianto di Malagrotta – “aveva tra i dirigenti ex manager della Thermoselect”.  Tutti gli inceneritori dell’avvocato.  Per Manlio Cerroni questo particolare tipo di inceneritori è un vero pallino. Un impianto simile lo aveva proposto – senza successo – nel 2006 a Mediglia, in Lombardia.  Nel 2007 ha presentato un progetto per il gassificatore di Albano Laziale, la cui costruzione dovrebbe iniziare nei prossimi mesi. E, sempre a Malagrotta, si prepara ad avviare la realizzazione di altre due linee, basate sulla stessa tecnologia (fatto salve alcune modifiche, che i tecnici ritengono “non sostanziali”).  In tutti questi casi il nome Thermoselect non è mai stato pronunciato, sapendo benissimo che i precedenti erano impresentabili.  Rimangono da chiarire i troppi legami con la tecnologia svizzera che creò tantissimi problemi a Verbania e Karlsruhe e, non da ultimo, la vicenda 7-Hills. 

Una spada di Damocle sulla gestione dei rifiuti a Roma, con il rischio che alla fine tutto continui a finire nelle discariche e che la capitale si ritrovi circondata da impianti il cui buon funzionamento non trova, al momento, precedenti nell’Unione europea. 


domenica 26 agosto 2012

L’industria del riciclo batte anche la recessione

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Più del tessile e come la cosmetica.  Oltre il doppio del comparto eolico. 

 E soprattutto, in crescita nonostante il periodo di recessione non faciliti le cose all’economia. 

È l’identikit sommario dell’industria del riciclo degli imballaggi, che nel 2011 ha totalizzato un fatturato di circa 9,5 miliardi di euro.
Il tessile, per capirci, secondo i dati di Sistema moda Italia, si è fermato a 8,8 miliardi.  Un giro d’affari, quello del riciclo degli imballaggi, cresciuto dell’8% rispetto al 2010 e formato per circa il 77% dal sistema dalle industrie del riciclo e per la quota restante – pari a 2,2 miliardi – dall’indotto legato al sistema Conai.  Il Consorzio nazionale imballaggi, la realtà creata in funzione della raccolta differenziata, oggi conta oltre 1,4 milioni di aziende iscritte:  si tratta di 8.958 produttori e di 1.457.930 utilizzatori, per un totale di 1.466.888 imprese associate.

«Nel 2011 – conferma il presidente del Conai, Roberto De Santis i risultati raggiunti sono stati particolarmente significativi, così come la creazione di valore economico per l’intero Paese».  Il Consorzio sottolinea in una nota che a fronte della crescita fatta registrare dal settore, «il Pil italiano è cresciuto solo dello 0,4% nello stesso arco di tempo e l’incremento della produzione industriale si è attestato sullo 0,1%».  Lo scorso anno, secondo quanto emerge dalla relazione Conai, gli imballaggi immessi al consumo sono aumentati del 2,1%, mentre la quota di rifiuti da imballaggio recuperati si è assestata al 73,7% (+0,8% rispetto al 2010): 8,596 milioni di tonnellate di materiali a fronte di 11,65 milioni di tonnellate immesse al consumo. Più sostenuta la crescita della quantità di materiali riciclati, saliti nel 2011 del 2,2%, che ha portato la quota al 64,4% dell’immesso al consumo: 7,5 milioni di tonnellate.  Di questa quantità circa la metà deriva dalla gestione diretta della filiera Conai, che ha contribuito ai risultati dello scorso anno per il 47 per cento.  L’incremento di questa quota è stato del 3 per cento.  Che il sistema consolidato rappresentato dall’accordo Conai-Anci funzioni, emerge chiaramente anche dai dati elaborati dal Consorzio:  dal 1998 i rifiuti di imballaggio avviati al recupero sono passati dal 33,2 al 73,7% dell’immesso al consumo.

Per contro, quelli destinati allo smaltimento sono scesi dal 66,8 al 26,3 per cento. Inoltre, nel 2011, ogni singolo materiale impiegato negli imballaggi (dalla carta all’alluminio, dall’acciaio alla plastica, dal vetro al legno)
ha raggiunto una quota di riciclo ben superiore agli obiettivi normativi, fissati al 2008 ma tuttora validi, a livello europeo, per consentire ai nuovi stati membri di adeguarsi.  Il riciclo dell’acciaio e dell’alluminio, quindi, ha raggiunto rispettivamente il 75,8 e il 60,7% contro un obiettivo del 50; quello della carta e del vetro si sono attestati al 79,5 e al 68,1% a fronte di un obiettivo del 60; la plastica è arrivata al 35,9% rispetto a un obiettivo del 26; il legno, infine, ha toccato il 55,2%, mentre l’obiettivo è del 35.

Per quanto riguarda il futuro «il sistema consortile – annuncia De Santis – sarà sempre più impegnato nella promozione della qualità della raccolta differenziata, così da incrementare ulteriormente la valorizzazione dei rifiuti di imballaggio attraverso il loro riciclo.   Nel più lungo termine ci saranno da affrontare le nuove sfide previste dalla Direttiva europea sui rifiuti del 2008 che fissa, in particolare, impegnativi obiettivi di riciclo dei materiali al 2020.  Il sistema di gestione degli imballaggi, realizzato in Italia, può rappresentare, per questi fini, un utile modello di riferimento».
Per quanto riguarda i prossimi anni, le previsioni del Conai parlano di 11,48 milioni di tonnellate di imballaggi immessi al consumo quest’anno, 11,55 milioni il prossimo anno e 11,73 milioni nel 2014.  La quantità destinata al riciclo dovrebbe invece passare da 7,49 milioni di tonnellate nel 2012 a 7,6 nel 2013 e a 7,75 milioni nel 2014.

Fonte  "Associazione DifferenziaTi" http://differenziati.com/

Borgo Montello, fusti tossici, si scava nel posto sbagliato?

(Fonte articolo, clicca qui

Sono iniziati gli scavi presso la discarica di Borgo Montello (Latina) 
alla ricerca di rifiuti tossici la cui presenza è stata ipotizzata, oltre che dai rilievi dell’Enaa, anche sulla base della dichiarazione di esponenti del clan dei Casalesi che parlarono di smaltimenti illegali nella zona.

Risultati, al momento, deludenti. 

Lo afferma Antonio Turri, ex leader di Libera:  «Scavano nel posto sbagliato». 

Mentre nel Lazio la polemica sui rifiuti non si ferma, dopo l’ennesima contestazione sul sito prescelto per il dopo Malagrotta, in terra pontina si sta cercando di fare luce su questioni annose, laddove criminalità organizzata, ecomafie e gestioni superficiali in tema di raccolta dei rifiuti si sono incrociate creando una bomba ambientale che solo da qualche mese si sta cercando di disinnescare. 

Grazie al contributo della Regione Lazio, dopo non poche contestazioni sulle procedure adottate dal Comune per l’affidamento dei lavori, presso la discarica di Montello sono partiti gli scavi sulla prima area individuata sulla scorta di anomalie elettromagnetiche rilevate da tecnici. 

«Qui venivano abbancati pneumatici», svela l’assessore all’ambiente del comune di Latina, Fabrizio Cirilli. 

Regalo di un recente passato dove questo tipo di rifiuto non subiva nessun tipo di trattamento speciale. 

Il cantiere (le cui operazioni saranno riprese con un sistema di videosorveglianza) rimarrà aperto per almeno due mesi, ed alla «prima» sui risultati conseguiti con i primi colpi di ruspa hanno voluto essere presenti anche le associazioni che da anni denunciano la gravità della situazione presso la maxi discarica chiedendo si faccia luce sui traffici narrati dal pentito Carmine Schiavone. 

Antonio Turri, del movimento I cittadini contro le mafie e la corruzione, contesta l’operazione definendola «puramente di facciata». 

E spiega: «Tutti sanno che l’area oggetto degli scavi è stata chiusa nel periodo precedente all’insediamento dei Casalesi in questo territorio. 

Presumo che non si troverà mai nulla, poiché i problemi sono sicuramente altrove. 

Una tesi, questa, confermata anche dal vecchio direttore della discarica, Achille Cester, che lo ha dichiarato nell’audizione di luglio scorso in Commissione sicurezza della Regione Lazio.

Altro che scavi – dice Turri – sarebbero bastati dei semplici sondaggi per individuare almeno le sostanze inquinanti visto che, dopo tutti questi anni, i fusti metalli si saranno già completamente polverizzati».


Fonte "Associazione DifferenziaTi" .. .. .. http://differenziati.com/

Accordo Sottile – Cerroni, discarica a Monti dell’Ortaccio

(Fonte articolo: La Repubblica)  Spiegherà che non ci sono alternative:
“O lì oppure ci ritroviamo i rifiuti per strada”.
Farà leva sul fatto che non c’è più tempo: “A dicembre Malagrotta dovrà chiudere: per questo la scelta cade su un sito quasi pronto”.
Poi mostrerà la richiesta arrivata ieri alla Regione Lazio e trasferita immediatamente al suo ufficio di commissario straordinario all’emergenza rifiuti, con la quale Manlio Cerroni ripropone il suo vecchio progetto di discarica in quell’area già presentato nell’ottobre 2009.
Infine innescherà la procedura amministrativa per attivare la conferenza dei servizi: “In quella sede si discuteranno gli aspetti tecnici e gli enti locali potranno esprimere il loro parere”.

Goffredo Sottile è pronto: domani, salvo cambiamenti dell’ultima ora, annuncerà la sua scelta per la discarica provvisoria di Roma, quella che finalmente, dopo 30 anni, manderà in pensione Malagrotta.

E, confermando i rumors di metà agosto, il prefetto sceglierà Monti dell’Ortaccio.

Una beffa, vista dal punto di vista dei cittadini della Valle Galeria che si liberano di Malagrotta e si ritrovano una nuova discarica nella stessa area e per questo già annunciano le barricate.

L’unica soluzione, per Sottile che prova a rassicurare gli abitanti
(“Lì andrà solo rifiuto trattato e quindi inerte e non pericoloso)
e punta tutto sul fatto che la discarica è quasi pronta.
L’avvocato Cerroni l’ha ribadito ieri in un’intervista a Repubblica e, soprattutto, l’ha messo nero su bianco nella documentazione inviata agli uffici della Regione Lazio, con la quale richiede per Monti dell’Ortaccio l’autorizzazione e il riconoscimento quale sito per accogliere rifiuti trattati. Avverte anche che i tempi stringono, che a dicembre a Malagrotta non ci sarà più spazio e che per questo i lavori per ultimare la nuova area dovranno iniziare massimo entro ottobre.
La Regione, che su Monti dell’Ortaccio ha sempre espresso dubbi
(pur inserendo il sito tra i 7 possibili individuati in uno studio di un anno fa) ha girato la documentazione a Sottile.
E ieri, nell’ufficio del commissario in via Cavour gli incontri tra i tecnici del prefetto e quelli della Regione (che in questa partita ha il ruolo di soggetto attuatore) sono stati numerosi.
Ora Sottile, con la richiesta di Cerroni in mano, ha il potere di convocare entro 1520 di giorni la conferenza dei servizi, l’ambito tecnico nel quale verrà esaminato il progetto dell’avvocato alla presenza degli enti locali che dovranno dire la loro.  Finora l’ultima conferenza dei servizi sul tema rifiuti si tenne a marzo.  All’epoca sul tavolo c’era il progetto della discarica a Corcolle.  E in quella sede solo la Provincia di Roma (insieme all’autorità di Bacino) espresse parere negativo.  Nacque lì l’impasse che portò alle dimissioni del prefetto Giuseppe Pecoraro dal ruolo di commissario straordinario.  Stavolta, almeno sulla carta, contro Monti dell’Ortaccio lo schieramento è ampio: dalla Regione (per la quale quel sito è sempre stato l’ultimo tra i papabili) al Comune (Gianni Alemanno tre giorni fa ha detto che quella sarebbe “la scelta peggiore”) alla Provincia (non favorevole a una nuova discarica nella Valle Galeria).  Sottile, però, farà appello al senso di responsabilità e al rischio concreto dei rifiuti per strada chiedendo un parere tecnico e non motivato da esigenze elettorali.

Infine, in una partita già complessa, due ultime incognite:
la prima è la scelta della discarica definitiva, per la quale Alemanno e il suo principale contendente alle Comunali 2013, Nicola Zingaretti, dovranno trovare un accordo entro dicembre.
La seconda è il parere del ministro dell’Ambiente Corrado Clini, inizialmente possibilista su Monti dell’Ortaccio ma ora in polemica aperta con Cerroni.

Tre giorni fa, il ministro ha imputato alla criminalità organizzata i ritardi nella differenziata a Roma.
L’avvocato (che con Ama gestisce i rifiuti nella capitale) ha replicato:
“Il ministro dice bestialità”. La partita, insomma, non è per niente chiusa.


L'ennesima presa in giro per la Commissione europea ..
L'ennesimo aumento delle tasse per le famiglie di Roma e del Lazio

Il 31 maggio 2012 la Commissione europea aveva inviato all'Italia un secondo avvertimento formale con un parere motivato in cui boccia le norme per il pretrattamento dei rifiuti nella discarica di Malagrotta 
(di proprietà del signor Cerroni) e negli altri siti del Lazio 
(sempre di proprietà del signor Cerroni).

Le discariche che operano in violazione della normativa dell'UE sui rifiuti, dice ancora il comunicato della Commissione, "costituiscono una seria minaccia alla salute umana e all'ambiente”.   Su raccomandazione del commissario all'Ambiente, Janez Potocnik, la Commissione ha deciso di inviare un parere motivato all'Italia in cui si richiede l'adempimento entro due mesi.  In caso contrario, la Commissione potrà decidere di adire la Corte di giustizia dell'Unione europea, con la prospettiva di una sentenza di condanna con pesanti sanzioni finanziarie per l’Italia.

Per scongiurare il procedimento d’infrazione avviato dalla Commissione europea, è stato affrettatamente predisposto il cosiddetto “Patto per Roma” sull’affare della monnezza, un protocollo di intesa tra Ministero dell’Ambiente, Regione Lazio, Provincia e Comune di Roma.

Il protocollo d’intesa è stato firmato in fretta il 6 agosto 2012 dal Ministro Clini con il preciso obiettivo di evitare le “più che meritate” sanzioni della Comunità europea.

Grande soddisfazione per il patto è stata espressa dal Ministro dell’Ambiente Clini, dal Presidente della Regione Lazio Polverini, dal Presidente della Provincia di Roma Zingaretti, dal Sindaco di Roma Alemanno e dal signor Cerroni.

Ma cosa prevede il “Patto per Roma”?

E soprattutto, cosa si può aspettare  il commissario all'Ambiente, Janez Potocnik, dall’Italia (il Paese che truccò i conti per entrare nell’euro)?

Il primo elemento che crea sospetto e preoccupazione è l’assenza di un così importante documento sui siti istituzionali dei firmatari
(Ministero dell’Ambiente, Regione Lazio, Provincia e Comune di Roma).

Su Internet e sui giornali ci sono solo le veline diffuse dal Ministero dell’Ambiente, di seguito riportate:
·         Raccolta differenziata e il pieno regime degli impianti di trattamento per conferire in discarica solo rifiuti trattati. 
·         Un vero e proprio crono programma per superare l’emergenza e scongiurare il procedimento d’infrazione avviato dalla Commissione europea.
·         Ad ottobre si parte con la raccolta differenziata nella capitale, con l’obiettivo di raggiungere il 30% di raccolta differenziata a Roma entro la fine del 2012, il 40% entro il 2013, il 50% entro il 2014, il 60% entro il 2015 e il 65% entro il 2016.

Per gli impianti di trattamento, per i quali la Commissione europea aveva minacciato pesanti sanzioni se Roma continuava a portare i rifiuti in discarica senza trattarli, si è stabilito che l’Ama farà funzionare a pieno regime i suoi impianti così come si impegnerà a fare la Colari
(sempre il signor Cerroni) per i due impianti di Malagrotta.

Nulla si dice sul resto delle discariche del Lazio (sempre del signor Cerroni e sempre fuori norma rispetto alla normative europee).
Di conseguenza, la Repubblica Italiana è ancora inadempiente rispetto al procedimento d’infrazione avviato dalla Commissione europea.

Nel “Patto per Roma” si citano ipotesi di partenariato pubblico-privato (il signor Cerroni continuerà a monopolizzare la gestione dei rifiuti e già rilascia interviste quotidiane ai giornali per coinvolgere anche Caltagirone e la Lega delle Cooperative nell’affare della monnezza) e di favorire l'accesso al credito e gli investimenti per la realizzazione degli impianti necessari (tradotto potrebbe significare sforare il patto di stabilità, vista la situazione finanziaria assolutamente fallimentare del Comune di Roma).

Mantenere tutta questo sistema di inefficienze (Cerroni, AMA, ACEA, Caltagirone, Lega delle Cooperative, ecc.) ha un costo?

Chi pagherà?

Su questo il “Patto per Roma” è assolutamente chiaro: verrà costituito un tavolo tecnico tra Regione Lazio, Provincia di Roma e Roma Capitale,
i cui lavori dovranno concludersi entro il 31 ottobre 2012, finalizzato alla revisione del sistema tariffario relativamente agli impianti operanti nel sistema di gestione dei rifiuti urbani di Roma Capitale, in modo tale da garantire la effettiva copertura dei costi e la sostenibilità del ciclo complessivo.

Tradotto significa che aumenteranno le tariffe della gestione dei rifiuti!!!

Un’altra rapina per i cittadini e per il sistema economico della regione Lazio, in un drammatico periodo di crisi economica.

Grande soddisfazione per il patto è stata espressa dal Ministro dell’Ambiente Clini, dal Presidente della Regione Lazio, Renata Polverini, dal Presidente della Provincia di Roma, Nicola Zingaretti, e dal Sindaco di Roma, Gianni Alemanno e dal signor Cerroni.

Perché non è credibile il “Patto per Roma”?

Se il protocollo d’intesa fosse credibile, andrebbe immediatamente rivisto il “Piano di gestione dei rifiuti della Regione Lazio”.

Il piano rifiuti della Regione Lazio è stato realizzato nel 2010, immaginando un Paese in crescita economica e vagheggiando un aumento “inerziale” della raccolta differenziata dell’1,3% l’anno.

L’obiettivo posto dal “Patto per Roma” di raccolta differenziata al 65% nel 2016 determina un crollo delle previsioni di produzione di CDR (combustibile da rifiuti, la parte secca dell’indifferenziato) da 1.028.867 tonnellate l’anno, come previsto nel “Piano di gestione dei rifiuti 2010 della Regione Lazio”, a sole 450.297 tonnellate l’anno, come risultante dagli obiettivi posti dal “Patto per Roma 2012”.

Considerando che i tre inceneritori esistenti nel Lazio
(Colleferro, San Vittore, Malagrotta) hanno una capacità autorizzata di 706.650 tonnellate l’anno, ne consegue che alla luce del “Patto per Roma 2012” costruire il nuovo inceneritore di Albano è assolutamente inutile:
la Regione Lazio non avrebbe il CDR da bruciare nell’inceneritore di Albano.

Se lo scenario della gestione dei rifiuti è stato completamente cambiato dal protocollo d’intesa con il Ministro dell’Ambiente Clini, perché AMA e ACEA (le due più importanti società pubbliche di Roma) continuano a sprecare energie e risorse economiche nel progetto assolutamente inutile dell’inceneritore di Albano?
Per di più in società con il signor Cerroni, un imprenditore incapace che da anni non riesce a far funzionare l’inceneritore di Malagrotta?

Mentre LOR SIGNORI sperperano il danaro pubblico, la Valle Galeria si rifiuta!  A Massimina nasce il presidio permanente contro la discarica


Comunicato stampa

Il 23 agosto, dopo la comunicazione ufficiale del Commissario ai rifiuti di Roma, Goffredo Sottile, della localizzazione della nuova discarica provvisoria nell’area di Monti dell’Ortaccio, i cittadini residenti hanno costituito nel quartiere di Massimina, in via Pasquale Pasquini (angolo via Aurelia km13), un presidio permanente per la mobilitazione contro la discarica. Il presidio è aperto a tutti ed è totalmente apartitico.

Il presidio si pone come obiettivi l’esclusione del territorio della Valle Galeria per la localizzazione della discarica, la chiusura del gassificatore,
la chiusura dell’inceneritore di rifiuti ospedalieri, la chiusura della discarica di Malagrotta, la bonifica ambientale di tutto il territorio e l’immediato avvio di un ciclo di gestione dei rifiuti basato sulla Strategia rifiuti zero.

Per questo motivo i cittadini riuniti in presidio chiedono all’Assemblea capitolina di Roma Capitale che venga immediatamente messa in votazione ed approvata la delibera comunale di iniziativa popolare rifiuti zero presentata a giugno 2012 dalla campagna “Diamoci da fare”.

La prima mobilitazione indetta dal presidio sarà una fiaccolata il 4 settembre 2012. Appuntamento allle 20:00 al piazzale della chiesa di Ponte Galeria, Largo Domus de Maria  7 – 00148 Roma (Ponte Galeria)

La Valle Galeria si rifiuta!
Presidio Permanente contro la discarica di Monti dell’Ortaccio


venerdì 24 agosto 2012

Dal Summit di Erice sulle emergenze planetarie: "Si costruiranno 538 nuove centrali nucleari"





Tra qualche anno sul Pianeta sorgeranno 538 nuove centrali nucleari: 69 sono attualmente in costruzione, 169 sono pianificate e 329 sono in fase di progettazione.

La notizia arriva dal 45esimo Summit internazionale sulle emergenze planetarie che si sta tenendo in queste ore a Erice e che si chiude il 25 agosto, organizzato dal professore Antonino Zichichi e a cui prendono parte oltre 110 scienziati proveniendio da 40 paesi. Tra attacchi terroristici, minacce informatiche, approvvigionamento idrico e di cibo per sfamare 7 miliardi di persone, si dipanano in queste ore le emergenze che i Governi del Pianeta devono affrontare e le possibili soluzioni da praticare.
Non c’è neanche per la verità tra le emergenze traccia o preoccupazione per l’effetto antropico sulla produzione di anidride carbonica che Zichichi stima al 5% mentre il restante 95% è prodotto dalla Natura.

Dice il professore siciliano:

Noi siamo divoratori di energia, ma a che livello mangiare energia è sostenibile? Un altro problema è la produzione di cibo a livello globale: bisogna che si capisca qual è il livello energetico al quale noi possiamo arrivare per produrre globalmente abbastanza cibo per i sette miliardi di esseri viventi, che popolano questa “navicella spaziale” che gira attorno al Sole. Un altro problema, per esempio, è la dinamica delle foreste: noi non possiamo ignorare che se non ci fossero foreste noi non sopravvivremmo. Un altro problema è l’inquinamento dell’acqua e l’invecchiamento della razza umana: questa forma di materia vivente alla quale apparteniamo è destinata a vivere molto più a lungo, ponendo problemi di cui la comunità scientifica si deve occupare.
Dunque divoratori di energia che si affidano al nucleare che secondo Zichichi è una soluzione a patto che sia sicuro (il che per me nucleare sicuro è già un ossimoro). Due considerazioni importanti e sostanziose sono comunque emerse rispetto alla crescita esponenziale della costruzione di nuove centrali nucleari nel mondo.

La prima: per l’80% saranno installate in Paesi in via di Sviluppo e come lo stesso Zichichi ha sottolineato che da quelle parti i livelli di sicurezza non sono ottimali; la seconda considerazione è che il nucleare a fronte di uan sicurezza discutibile è ancora estremamente caro come ha avuto modo di spiegare Thomas Judge raccontando della rinunce di Polonia e Bulgaria poiché l’ammortamento è previsto in almeno 30 anni. Il che porta al ragionamento fatto da Robert Budnitz in merito alla demolizione delle vecchie centrali nucleari:
E’ piuttosto utopica, almeno negli Usa, dove l’impianto piu’ giovane risale al 1970. Infatti, secondo lo studioso, essendo strutture i cui costi sono stati completamente ammortizzati, fruttano straordinari profitti.
Infine, una riflessione fatta da Hans Holger Rogner dell’International atomic energy agency (Iaea) che ha sottilineato che l’organismo per cui lavora non detta le regole in materia nucleare ma che semmai ne traccia le linee guida:
Gli incidenti nucleari non conoscono confini, per cui anche nella costruzione delle centrali sarebbe opportuno un qualche accordo internazionale per un’integrazione delle politiche in materia.
Al seminario di apertura ha partecipato anche Annamaria Cancellieri nostro ministro degli Interni che nella prima giornata di lavori ha spiegato che la prima delle emergenze che riguardano il nostro Pianeta è rappresentata dal terrorismo. Il che la dice lunga rispetto alla percezione del tipo pericoli discussi in ambito politico internazionale.

Via | Blog Sicilia, Tele Sud3, News Vaticane
Come si spiega allora che tutti sono terrorizzati da questi due effetti: l’anidride carbonica e l’effetto-serra? Quanto incide su questo l’attività umana? Ecco il problema chiave. Nella peggiore delle ipotesi, incide per il 5%.
Il 95%è, infatti, dovuto alla natura non all’uomo.
Quindi, attenzione: quando parliamo di emergenza planetaria, dobbiamo occuparci delle vere emergenze, che sono 71, e non sono né l’effetto serra e né l’anidride carbonica, due effetti su cui i governi di tutto il mondo sono decisi ad intervenire, spendendo miliardi di dollari, invece di spenderli nelle 71 emergenze planetarie reali, di cui dovremmo cercare di superare gli effetti.

mercoledì 22 agosto 2012

PRISPA

la casa solare prefabbricata che produce il 20% di energia in più dei consumi





CLINI: "Ritardi differenziata, ha influito la malavita"

Clini boccia la gestione del Campidoglio
Il Ministro dell'Ambiente, dal metting di Cl a Rimini, sferza l'amministrazione capitolina, bollando come totalmente sbagliate le politiche sulla raccolta dell'immondizia capitolina.
 
Ama:"Siamo al 25,6%"

"Non c'è dubbio che i ritardi nella raccolta differenziata siano il risultato di politiche sbagliate e di una presenza importante della malavita organizzata che ha orientato queste decisioni". 
 
A bocciare senza appello la gestione dei rifiuti nella capitale è il ministro Corrado Clini, intervenuto al meeting di Cl a Rimini, dove ha anche anticipato che per le città che non hanno raggiunto la soglia del 65% della raccolta differenziata, come previsto dalla normativa europea e nazionale, "la proroga sarà accompagnata da una sanzione".

"Il caso di Roma è eclatante - lamenta il ministro - è incredibile per una capitale europea una quota di poco superiore al 20% della differenziata". 
E poi, invece di provvedere a chiudere "la più grande discarica d'Europa (Malagrotta, ndr) e invece di fare un piano della raccolta, si sono inventati l'emergenza rifiuti con l'obiettivo di trovarsi un'altra discarica".

Ma la bacchettata del ministro all'amministrazione comunale non finisce qui:  "Da luglio 2011 fino a marzo 2012 avevano speso tutte le risorse per trovare un'altra discarica, ma l'obiettivo doveva essere quello di ridurre e recuperare i rifiuti".  Solo con l'intervento del governo, "dopo qualche mese, con fatica, è stato firmato un accordo che dà priorità e impegna le risorse nella raccolta differenziata".  L'auspicio del ministro è che "da qui a due anni Roma possa allinearsi agli obiettivi stabiliti. 
Obiettivo generale, ovunque, deve essere quello di applicare le normative europee e mettere una discarica come soluzione residuale: 
Anche questa è un'altra grande battaglia di riforma per il paese".

Ama. In serata sono arrivate le precisazioni dell'Ama sui dati ufficiali:  
 
'La raccolta differenziata nella città - si legge in una nota - si attesta al 25,6%. Rispetto al 17% del 2007 si registra un incremento dell'8,6%, un più 50% di incremento netto.  Nel dettaglio  - prosegue la nota di Ama -, su un totale di circa 4.900 tonnellate di rifiuti raccolte ogni giorno nella capitale, la raccolta differenziata è pari a circa 1.254,4 tonnellate, a fronte di 3.645,6 tonnellate di rifiuti indifferenziati.  Su base annuale, la città produce circa 1.800.000 tonnellate di rifiuti.  Di queste, circa 460.000 sono le tonnellate di raccolta differenziata e le restanti 1.340.000 di rifiuti non differenziati".
 

COMMENTO ALL'ARTICOLO PUBBLICATO DA "LA REPUBBLICA"

Il Ministro Clini ha fatto un'affermazione molto grave in merito ai clamorosi ritardi della raccolta differenziata a Roma, Capitale d'Italia: 
 
"Non c'è dubbio che i ritardi nella raccolta differenziata siano il risultato di politiche sbagliate e di una presenza importante della malavita organizzata che ha orientato queste decisioni".

Da Ministro della Repubblica Italiana, Clini ha il dovere di precisare quale malavita organizzata e in che modo ha rallentato e condizionato il processo della raccolta differenziata nella Capitale d'Italia.

Noi eravamo abituati alle rassicuranti affermazioni di Marrazzo che,
in qualità di  Commissario Straordinario e Presidente della Regione Lazio, affermò con sicurezza di fronte a tutta la Commissione Consigliare Ambiente in data 29 ottobre 2008 che: 
 
“il Lazio presenta da oltre 10 anni una situazione di mercato stabile, con società ed imprenditori facilmente individuabili, sia pubblici che privati, che hanno avviato programmi di investimento importanti e che, fino ad ora, hanno dato garanzia sia per il servizio reso che per le azioni poste in essere per garantire la salvaguardia dell’ambiente".

Dopo pochi giorni, lo sfortunato Marrazzo fu miseramente smentito dalla Magistratura:

- l’inceneritore di Malagrotta venne sequestrato dalla magistratura;
- il responsabile della discarica di Malagrotta è stato condannato ad un anno di carcere per aver smaltito in discarica rifiuti pericolosi come i fanghi di depurazione provenienti dall’ACEA;
- 13 persone, tra cui dirigenti dell’AMA, sono state arrestate per le gravi irregolarità verificatesi nell’inceneritore di Colleferro.

A queste società ed imprenditori (Cerroni, AMA, ACEA), inquisite dalla magistratura per gravi irregolarità nella salvaguardia dell’ambiente, Marrazzo ha affidato, rigorosamente a trattativa privata, l’inceneritore di Albano.

Le autorizzazioni per l'inceneritore di Albano e per il VII invaso della discarica di Albano sono state firmate da Marazzo il 13 agosto 2009, mentre era ricattato dalla malavita organizzata per la triste storia dei filmini pornografici con una transessuale (ben due persone sono morte in quella oscura vicenda).

Marrazzo ha, anche, dichiarato nella riunione con il Coordinamento contro l’inceneritore di Albano, in data 23 giugno 2009, che lui si fidava dei suoi uffici (“gli uffici di cui mi fido”, ha sottolineato Marrazzo, avranno l’incarico di rispondere al documento “Le 26 ragioni dell’opposizione al progetto di inceneritore di Albano (in sintesi)” presentato dal Coordinamento).

Dopo l’incendio della discarica di amianto di Valle Gaia (avvenuta in data 28 luglio 2009), la magistratura ha aperto un’inchiesta che ha coinvolto 40 indagati e che ha portato all'esecuzione di 9 misure cautelari. Tra gli arrestati: i titolari della discarica di Pomezia e dirigenti della Commissione tecnico scientifica della Regione Lazio.

Questi sono gli uffici di cui si fidava il Presidente della Regione Lazio????

In conclusione, il Ministro Clini quando parla di "malavita organizzata" si riferisce a qualcosa tipo la Banda della Magliana oppure intende la lobby economica "Cerroni - AMA - ACEA", con il consorso esterno della Regione Lazio?
 


martedì 21 agosto 2012

Nella scelta della nuova discarica di Roma l’Europa ci osserva e ci valuta

I clamorosi errori, le incredibili incompetenze, le carte taroccate della Regione Lazio per arricchire il monopolio del signor Cerroni
 
A seguito dei numerosi suggerimenti e commenti pervenuti in questi giorni al nostro blog,
abbiamo approfondito la singolare procedura seguita dalle Istituzioni della Repubblica Italiana per la scelta del nuovo sito che dovrà sostituire la discarica di Malagrotta del signor Cerroni 
 
 
 
 
 La Commissione Europea ci osserva e presto partiranno le sanzioni alla Repubblica Italiana per l’irregolare gestione della discarica di Malagrotta e delle altre discariche del Lazio (sempre di proprietà del signor Cerroni).

L’articolo è stata predisposto commentando solo materiale ufficiale, evitando di attingere alle innumerevoli “veline” diffuse e pubblicate sulla stampa.
In particolare è stata utilizzata la relazione predisposta dalla Commissione Parlamentare dal titolo molto chiaro: 
 
RELAZIONE TERRITORIALE SULLE ATTIVITÀ ILLECITE CONNESSE AL CICLO DEI RIFIUTI NELLA REGIONE LAZIO.
Va sottolineato che quello di cui stiamo parlando sono considerate dalla Commissione Parlamentare “attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti nella Regione Lazio”.
La Commissione Parlamentare ha dedicato un intero capitolo della relazione per cercare di chiarire il mistero del documento di «Analisi preliminare di individuazione di aree idonee alla localizzazione di discariche per rifiuti non pericolosi» predisposto dalla regione Lazio.
I siti individuati nel documento di analisi preliminare sono i seguenti:

S1  Corcolle – San Vittorino;
S2  Osteriaccia (via Leopoli);
S3  Pizzo del Prete – Le Macchiozze;
S4  Quadro Alto;
S5  Procoio Vecchio – Pian dell’Olmo;
S6  Monti dell’Ortaccio;
S7  Castel Romano – Quartuccio.
Il documento di analisi preliminare della Regione Lazio è centrale in questa vicenda in quanto l’ordinanza OPCM 3963 del 6 settembre 2011 del Presidente del Consiglio dei Ministri, On. Silvio Berlusconi, vincola di fatto il Commissario delegato a scegliere il nuovo sito tra quelli riportati nel suddetto documento di analisi preliminare della Regione Lazio.
Anche la nuova ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri, On. Mario Monti, vincola di fatto il nuovo Commissario delegato, il Prefetto a riposo Goffredo Sottile, a scegliere il nuovo sito tra quelli riportati nel suddetto documento di analisi preliminare della Regione Lazio.
La Commissione Parlamentare ha rilevato subito gravissime irregolarità, bacchettando la Regione Lazio: “Occorre evidenziare che nel documento di analisi preliminare inviato alla Commissione non sono indicati i nominativi dei soggetti che hanno curato la pratica presso la Regione, né il documento risulta sottoscritto da alcuno.  Non è, poi, nota la data nella quale è stato redatto”.

NDR: Stiamo dicendo che a due Presidenti del Consiglio dei Ministri della Repubblica Italiana è stata fatta firmare un’ordinanza di nomina del Commissario delegato, prima il Prefetto di Roma Giuseppe Pecoraro e poi in sostituzione il Prefetto a riposo Goffredo Sottile, con il vincolo di effettuare la scelta del sito sostitutivo di Malagrotta sulla base di un documento senza data, senza nominativi dei soggetti che hanno curato la pratica e senza la firma di alcuno?
La cosa è molto grave e la Commissione Parlamentare sulle attività illecite nella gestione dei rifiuti ha voluto, quindi, approfondire le seguenti questioni:
“– per quale motivo sia stato redatto il documento di analisi preliminare da parte della regione;
– quali attività istruttorie la regione Lazio abbia posto in essere per l’individuazione dei siti tra i quali, prioritariamente, il commissario straordinario deve effettuare la scelta;
– quale valenza abbia, nel contesto procedimentale, il documento in questione”.
La Commissione Parlamentare ha appositamente audito l’assessore regionale all’ambiente Pietro Dipaolantonio, nonché il direttore delle attività produttive e rifiuti della regione Lazio, Mario Marotta.
Alle domande del presidente della Commissione, il direttore Marotta ha così risposto:
«Il tutto nasce da un documento negativo del comune di Roma, che afferma che, sulla base dei criteri di localizzazione fissati dalla prima deliberazione della giunta regionale del 2010, non ci sono siti idonei in tutto il territorio di Roma (...). La competenza, ai sensi del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, non è neanche del comune di Roma, ma è incardinata nelle funzioni e nelle attribuzioni che la Costituzione riconosce alla provincia, sentito il comune (...). A seguito di ciò, abbiamo cominciato a cercare dati utili nelle documentazioni regionali, compresi – come qualcuno ha riportato – gli studi effettuati da periti e soggetti privati depositati e quindi legittimamente utilizzabili dalla regione Lazio (...) qualora in futuro la regione avesse voluto esercitare un potere sostitutivo diretto (...). La regione Lazio valuta, quindi, tutta la documentazione, che parte dallo stesso studio del comune di Roma. In pratica, senza dubitare della validità tecnica di quel documento, ci siamo permessi di revisionarlo e, difatti, i sette siti si ritrovano pedissequamente nello studio del comune di Roma. Successivamente, li abbiamo revisionati, evidenziando alcune criticità (...)».
L’assessore regionale all’ambiente Pietro Dipaolantonio ha sottolineato alla Commissione Parlamentare il “dequalificato” lavoro prodotto dagli uffici della Regione Lazio affermando che:  “non esistono verifiche tramite sopralluoghi preliminari, men che meno indagini svolte preventivamente all’individuazione dei siti effettuate da parte della regione Lazio.  La documentazione utilizzata per la redazione dell’analisi preliminare, per la quasi totalità, è reperibile su siti Internet pubblici”.
NDR:  Stiamo dicendo che il Comune di Roma ha predisposto un documento in cui boccia i sette siti perché assolutamente inidonei.  La Costituzione della Repubblica Italiana attribuisce la funzione di scelta del sito alla Provincia di Roma, sentiti i Comuni interessati.  La Regione Lazio, senza avere alcuna funzione delegata, predispone un improvvisato documento di analisi preliminare riproponendo i sette siti già bocciati dal comune di Roma. 
Il documento di analisi preliminare si basa sulle precise indicazioni del signor Cerroni e su materiale reperito liberamente su Internet.  Tale documento diventa vincolante su ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri per la scelta del nuovo sito per la discarica di Roma.
Dopo queste illuminanti audizioni, la Commissione Parlamentare sulle attività illecite nel ciclo dei rifiuti è arrivata a conclusioni pesantissime:
  •    “Il documento di Analisi preliminare della regione, pur richiamato nell’ordinanza di nomina del commissario straordinario, risulta essere del tutto inadeguato sia dal punto di vista tecnico che dal punto di vista giuridico”.
  •    “La Commissione non può che evidenziare che tale documento preliminare, ripreso nell’ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri, ha poi condizionato le successive fasi della procedura, non avendo le strutture commissariali proceduto all’analisi di altri siti rispetto a quelli ivi indicati”.
  •    “Tutti i siti indicati nel documento di analisi preliminare presentano rilevanti criticità”.
  •    “Resta, in ogni caso, difficilmente comprensibile la logica posta alla base di un’ordinanza che dispone che la scelta del sito debba avvenire prioritariamente tra i siti indicati dalla regione Lazio nel documento di analisi preliminare, documento di carattere meramente compilativo e non preceduto da alcuna attività istruttoria sostanziale”.
In questo contesto solo una sola cosa è chiara e comprensibile: come spiegato dall’assessore regionale “il consorzio Co.La.Ri. (NDR: il signor Cerroni) nel 2009 ha presentato tre differenti istanze di autorizzazione per realizzazione di discariche per rifiuti urbani e assimilabili (non recuperabili e non trattabili in impianti tmb) nelle località «Monti dell’Ortaccio», «Quadro Alto» nel comune di Riano (provincia di Roma) e per la realizzazione di «discarica per rifiuti speciali non pericolosi» nel comune di Roma,
 in località «Pian dell’Olmo»”.
Purtroppo è chiaro a tutti che il vero piano per l’individuazione delle nuove discariche è stato scritto e dettato alla Regione Lazio dal signor Cerroni.
Dopo il fallimento del Commissario delegato Giuseppe Pecoraro, il Prefetto che per sottrarsi all’imbarazzante abbraccio del signor Cerroni voleva portare i rifiuti di Roma a ridosso del sito archeologico di Villa Adriana, altre teste cadono.
Il dirigente del settore rifiuti della Regione Lazio, Mario Marotta, dopo la brillante figuraccia alla Commissione Parlamentare si è dimesso il primo agosto. 
Anche il capo area ha lasciato. 
Di fatto il settore rifiuti della Regione Lazio è sguarnito e non è facile trovare un dirigente che voglia occupare quel posto, 
la materia è rovente anche a causa delle numerose inchieste della procura.
Coinvolgere le massime cariche dello Stato (il Presidente del Consiglio dei Ministri, prima l’On. Silvio Berlusconi e poi l’On. Mario Monti, il Prefetto di Roma Giuseppe Pecoraro, il prefetto a riposo Goffredo Sottile) in questa ridicola commedia e in questo sporco gioco organizzato solo per arricchire il monopolio del signor Cerroni lede e mortifica pesantemente il ruolo delle istituzioni, offende la democrazia, indigna la sensibilità e l’intelligenza di tutti i cittadini.
 
Creare situazioni di preoccupazione delle popolazioni e problemi di ordine pubblico nei territori con proposte di siti alternativi a Malagrotta palesemente inidonei, già bocciati dal Comune di Roma, è un atto gravissimo di disonestà morale e di indecente irresponsabilità istituzionale.


Il futuro di Roma, del Lazio e dell’Italia non può essere costruito su “attività illecite nella gestione dei rifiuti” 
 
(la vicenda di Napoli è di grande insegnamento).
Le regole democratiche vanno immediatamente ripristinate.
La corretta gestione dei rifiuti non è un problema da affidare ad un Prefetto a riposo!!!
Come previsto dalla Costituzione Italiana, la Provincia di Roma deve individuare il nuovo sito insieme ai Comuni interessati, in modo trasparente e con la partecipazione dei cittadini e delle popolazioni.
Se il Presidente della Provincia di Roma, 
Nicola Zingaretti, non è in grado di svolgere tale funzione prevista dalla Costituzione deve semplicemente trarne le conseguenze e rassegnare le proprie dimissioni.



Ristabilire le regole democratiche, dare trasparenza alle procedure, garantire la partecipazione delle popolazioni e dei territori è in questo momento fondamentale per il futuro di Roma, 
del Lazio e dell’Italia.

lunedì 20 agosto 2012

Tutti contro Monti dell’Ortaccio

(Fonte articolo, clicca qui

Nella infinita telenovela sulla nuova discarica di Roma, il copione si ripete: e così, esattamente per come era avvenuto nel caso di Corcolle, Riano e Pian dell’Olmo, anche su Monti dell’Ortaccio (il sito nella Valle del Galeria sul quale si starebbe orientando il prefetto Goffredo Sottile) è scattata la protesta.  Anche stavolta, trasversale.  I Verdi col Pdl, il Pd con l’Idv e tutti con i comitati di cittadini e gli abitanti dei municipi XV e XVI che da anni fanno i conti con Malagrotta e, nel caso venisse scelta Monti dell’Ortaccio, dovrebbero sopportare ancora per chissà quanto tempo disagi e rischi (soprattutto quelli sulla salute, denunciati a gran voce) prodotti dalla nuova discarica.  Ieri, per il Comune ha parlato la vicesindaco Sveva Belviso, contraria al nuovo sito perché “i cittadini di quel quadrante hanno già troppo sofferto non solo per la presenza della discarica più grande d’Europa ma per la presenza di molti altri fattori inquinanti”.
Argomenti simili a quelli dell’assessore provinciale all’ambiente Michele Civita:  “Si tratterebbe di una scelta sbagliata, in quanto ricadrebbe in un’area già fortemente interessata da numerose attività potenzialmente inquinanti e nocive per la popolazione”.  Dal punto di vista tecnico, invece, la Provincia prende tempo:  “In conferenza dei servizi sarà espresso il relativo parere tecnico, giudicando il merito del progetto, il rispetto delle prescrizioni di legge e dei piani in vigore”.  A dire no all’area di proprietà dell’avvocato Manlio Cerroni, già ultratrentennale gestore di Malagrotta, c’è anche il Pdl capitolino.  Il consigliere comunale Federico Rocca annuncia “le barricate”.
Il suo collega Fabrizio Santori si appella al sindaco Gianni Alemanno, da alcuni giorni prima in trasferta e poi in vacanza negli Usa:
“Attendiamo il ritorno del sindaco per poter scendere in piazza con la fascia tricolore e ribadire la netta contrarietà di Roma capitale alla infame scelta della discarica ricaduta vergognosamente sulla Valle del Galeria”.
Un atteggiamento, quello del Pdl, criticato da Athos De Luca, Pd:
“Anziché cavalcare la protesta dei cittadini, gli esponenti della destra dovrebbero prendersela con Polverini e Alemanno che, incapaci di risolvere il problema, lo hanno scaricato sul commissario”.  Ma contro la scelta di Sottile e dei “gattopardi dei rifiuti” si schierano anche i Verdi:
“Se si dovesse scegliere Monti dell’Ortaccio – afferma il presidente regionale Nando Bonessio – avremmo un’altra Ilva alle porte di Roma”. “Scelta condivisa o barricate”, invece, è l’aut aut lanciato da Stefano Pedica, senatore Idv.  Mentre il comitato “Roma Sì muove”, che sul tema dei rifiuti ha presentato un referendum, ricorda:  “Basta ipotizzare nuove Malagrotta, la vera rivoluzione dei rifiuti è consultare i cittadini”.
“Il rifiuto trattato è inerte, non è pericoloso”, ha ripetuto ai cittadini della Valle del Galeria il commissario Sottile.  Rassicurazioni vincolate alla partenza del piano per Roma e al pieno funzionamento degli impianti di trattamento. Intanto, però, contro Monti dell’Ortaccio, prima ancora dell’annuncio ufficiale del prefetto, scendono in campo politica e istituzioni. A partire dal Campidoglio e dalla Provincia di Roma.


domenica 19 agosto 2012

Inceneritore in fiamme, in fumo tremila balle ad Acerra


(Fonte articolo, clicca qui) Incendio all’interno dell’impianto Cdr di Acerra (Napoli):  in fiamme tremila balle di rifiuti tritovagliati che dovevano essere trasferiti all’adiacente termovalorizzatore.  Indagini dei carabinieri sono in corso ma dai primi accertamenti sembra essere un incendio di natura dolosa.  Le fiamme sono scoppiate, la scorsa notte, poco prima della mezzanotte:  ancora in corso l’intervento dei vigili del fuoco.
“E’ impensabile che un sito, in fase di svuotamento, che contiene ecoballe, dal quale il Comune molte volte ha chiesto alla Provincia la rimozione del contenuto, possa essere oggetto, più volte durante l’anno, di incendi scoppiati e propagatasi in questo modo”.  Lo sottolinea, in una nota, il sindaco di Acerra, Raffaele Lettieri, che chiede “rispetto per la salute dei cittadini”.  “E’ anche impensabile che per velocizzare le operazioni di spegnimento dell’incendio non basti l’impianto antincendio autonomo presente ma debbano essere utilizzate auto-cisterne dei vigili del fuoco, già tanto impegnati in questi giorni a spegnere altri roghi – aggiunge –
Un luogo così vasto, con un contenuto così pericoloso, dovrebbe essere dotato di un migliore sistema antincendio autonomo, dovrebbero esserci dei sistemi più efficienti e degli uomini preposti ad evitare emergenze come quella che stiamo vivendo.  Abbiamo riscontrato che così non è, e per questo è stato necessario l’intervento delle squadre dei vigili del fuoco. Inoltre, in attesa dell’esito delle indagini che accertino le responsabilità, ci chiediamo perché non venga adeguato il sistema di sorveglianza di tutta l’area”.  “Evidentemente, non è sufficiente l’attuale configurazione, serve più sicurezza, servono apparati e uomini che possano rilevare ogni minimo movimento nell’ambiente – continua – Il Comune e l’Amministrazione comunale non intendono più sottostare ad una logica di servilismo istituzionale, la dignità dei cittadini di Acerra e, soprattutto la loro salute, meritano rispetto da parte di tutte le istituzioni sovracomunali che fino ad ora sono rimaste sorde rispetto alle continue e ripetute richieste”.

Discariche, inceneritori e falde acquifere ..

discariche, inceneritori e falde acquifere:
rifiuti e altri attacchi alle risorse idriche del Lazio .. 
dell'Italia e del mondo anche ..

L’intervista che qui vi proponiamo, ci è stata ispirata dalle cronache di Roma e provincia, segnate dalla continua ricerca di località in cui collocare discariche. Tra le motivazioni addotte per respingere quella che è una forma di aggressione al territorio – oltre che una modalità arretrata di gestione del ciclo dei rifiuti – vi è spesso la vicinanza delle previste discariche a falde acquifere. Un argomento assai fondato, come si evince dal discorso sviluppato dal nostro interlocutore, Francesco Aucone,
geologo e militante della Federazione dei Comunisti Anarchici .. il quale, confrontandosi con domande dal carattere volutamente generale, ha impresso alle sue risposte un respiro saggistico.




1) Roma è un'area metropolitana gigantesca, per giunta storicamente segnata da una crescita disordinata. Ciò porta inevitabilmente con sé dei problemi per le risorse naturali. In termini generali, questo sviluppo convulso, quanto incide e quali danni produce sulle risorse idriche del territorio?

Il problema dell’impatto di una metropoli come Roma rispetto alle risorse idriche del territorio va affrontato a partire da due aspetti distinti, che però sono allo stesso tempo legati tra loro: il bilancio quantitativo delle risorse e la pressione ecologica esercitata dalla grande concentrazione umana sulle risorse stesse.  Secondo i dati dell’ATO2 (Ambito Territoriale Ottimale del Lazio centrale) di qualche anno fa, Roma consuma mediamente circa 330 milioni di metri cubi l’anno (compresi però anche i Comuni di Ciampino, Fiumicino e lo Stato Vaticano) a cui andrebbero aggiunti i circa 180 milioni circa di metri cubi di acqua che si perdono in quel colabrodo che è la rete distributiva cittadina.
Di questi circa il 70% viene consumato nelle abitazioni private, il 6% nell’industria e nel commercio ed il 24% per altri usi quali: fontane e fontanelle, impianti sportivi e ricreativi, comunità religiose, caserme, innaffiamenti ecc.  L’acqua consumata a Roma, l’unica capitale mondiale ad essere rifornita da sole acque di sorgente, arriva da altri territori, anche se tutti appartenenti al bacino del Fiume Tevere.  Infatti sono 5 gli acquedotti che portano l’acqua potabile a Roma. I principali sono il Peschiera e il Capore (che poi confluiscono in un unico condotto), provenienti dal bacino del Fiume Velino e del Farfa, e l’acquedotto Marcio, proveniente dall’alta valle del Fiume Aniene. Poi vi sono l’Appio Alessandrino ed il Nuovo Vergine, che provengono da più vicino e sono più piccoli.
Tutta quest’acqua che arriva a Roma attraverso gli acquedotti è superiore al fabbisogno, e quindi ai consumi, della città. Infatti il totale captato è di circa 550 milioni di metri cubi l’anno contro i 330 consumati, anche se la consistente quota che viene persa nella rete distributiva, non mette del tutto al riparo da eventuali profonde crisi idriche.  Crisi che non sono da escludere in futuro, viste le avvisaglie del cambiamento climatico che da circa 30 anni, ormai, sta interessando in diversa misura i paesi circummediterranei, tra cui l’Italia, con un calo altalenante ma progressivo delle precipitazioni e conseguentemente dell’alimentazione dei sistemi idrogeologici da cui Roma, e non solo, si approvvigiona.
Dal punto di vista dell’impatto del sistema di gestione delle risorse idriche sul territorio, l’acqua in entrata nel sistema cittadino viene poi direttamente o indirettamente immessa nel sistema idrologico e idrogeologico del territorio romano, a parte quella che se ne va per evapotraspirazione(1).  Viene immessa direttamente nel sistema idrogeologico attraverso le perdite della rete distributrice (che, come abbiamo visto, rappresentano più del 30% del totale captato) subendo solo piccole trasformazioni, legate all’apporto di sostanze lisciviate dai terreni di riporto all’interno dei quali si trovano le tubazioni.  Viene immessa indirettamente, prevalentemente nella rete idrologica superficiale, dopo aver subito profonde trasformazioni chimiche e fisiche nell’uso domestico e industriale e dopo aver subito i processi di depurazione previsti dalla legge.  Questo teoricamente, poiché non è solo la rete distributiva idrica ad essere un colabrodo, ma anche la rete fognaria, per cui una buona parte dei reflui cittadini, sia di tipo domestico che industriale, non riescono a raggiungere i depuratori e vanno ad alimentare le falde del sottosuolo cittadino con tutto il loro carico di tensioattivi, ammoniaca, nitrati, fosfati, cloruri, grassi, batteri fecali, metalli pesanti, idrocarburi, ecc, oltre a provocare quell’erosione sotterranea che spesso è la prima causa di fenomeni come il cedimento di fondazioni, l’apertura di voragini, gli abbassamenti del suolo, ecc. Senza considerare gli sversamenti illegali sul suolo o nella rete idrografica di reflui non depurati da parte delle attività industriali.  Di questi non si conosce l’entità ma è un fatto che le falde del sottosuolo romano risultano profondamente inquinate.
Ritornando alla domanda iniziale si può dire che Roma dal punto di vista dell’approvvigionamento idrico è messa in una posizione ideale, circondata da massicci calcarei che ospitano immense falde acquifere, sfruttate dalla città fin dalla sua nascita, con un sistema efficiente, dal punto di vista ingegneristico, di acquedotti.  Ma si può anche dire che questa ricchezza naturale è messa a dura prova dalle modalità tecnico-amministrative di gestione delle risorse idriche, con una rete distributiva che disperde più del 30% delle stesse.  Le dispersioni della rete fognaria inoltre, unite agli sversamenti illegali, e all’inquinamento generalizzato dell’ecosistema cittadino, hanno compromesso profondamente le falde del sottosuolo romano.  Falde che, specialmente nei quadranti est e sud-est della città, hanno delle dimensioni importanti, contenute in spesse coltri vulcaniche e che potrebbero rappresentare delle risorse importanti.  Fino ad ora però nessun gestore, né statale né ta capitale misto o privato, ha mai considerato in maniera seria queste problematiche.

2) Potresti spiegarci, per sommi capi, la normativa che protegge le risorse idriche in generale e le falde acquifere in particolare? 

La prima legge a protezione dell’acqua dall’inquinamento è del Luglio 1934, col R.D. n.1265, nel quale era previsto l’obbligo di depurazione dei liquami fognari prima dell’immissione nei corsi d’acqua.  Mentre per il primo piano di gestione degli acquedotti bisogna aspettare il 1963, con la Legge n. 129 del 4 Febbraio.  Fino ad allora la gestione e la protezione delle risorse idriche era appannaggio dello Stato;  è nel 1972 che si attua il decentramento della gestione delle risorse idriche nei suoi vari aspetti infrastrutturali, di protezione ambientale e di gestione.  Tutto ciò passa alle regioni con il D.P.R. n. 8 del 15 Gennaio 1972.
Da questo punto in avanti ogni Regione comincia a formulare una propria legislazione, orientata specialmente a stabilire i limiti di accettabilità dei vari tipi di acque, mentre la legislazione statale continua a fornire specialmente delle linee guida; come la Legge n. 183 del 18 Maggio 1989 che stabilisce Norme per il riassetto organizzativo e funzionale della difesa del suolo, in cui sono comprese linee guida non solo per la razionalizzazione della gestione della risorsa idrica, ma anche per la difesa del territorio dal dissesto idrogeologico.  È con questa legge che nascono le “Autorità di bacino”, enti misti tra ministeri ed enti locali predisposti alla gestione integrata dell’acqua all’interno dei bacini idrografici italiani,
il cui strumento operativo è costituito dai “Piani di bacino”.
Anche la cosiddetta “Legge Galli”, o Legge n. 36 del 5 Gennaio 1994,
è importante in quanto contiene alcuni principi generali sulla tutela e sull’uso delle risorse idriche, e stabilisce che tutte le acque, superficiali e sotterranee, anche se non estratte dal sottosuolo, sono pubbliche e costituiscono una risorsa da utilizzare secondo criteri di solidarietà;
tale legge stabilisce inoltre che l’uso dell’acqua per consumo umano è prioritario rispetto agli altri usi.  Tuttavia la Legge Galli non è tutta rose e fiori, anzi, introduce delle regole che aprono la strada alla mercificazione dell’acqua da parte del Capitale privato.  Infatti una prima sostanziale innovazione introdotta dalla legge Galli è rappresentata dalla separazione tra titolarità e gestione del servizio idrico;  si pone fine, in questo modo, alla coincidenza tra i "titolari" ed i "gestori" del servizio prevista fino ad allora dal sistema italiano, introducendo formalmente una differenza tra proprietà della risorsa e gestione della risorsa che nei fatti porterà, attraverso l’acquisizione dei poteri che conferisce la gestione privata, ad una sostanziale svendita di una risorsa collettiva al capitale privato, ed alla sua collocazione sul mercato capitalistico.  Un’ulteriore spinta verso la mercificazione della risorsa idrica operata dalla legge Galli è rappresentata dall’introduzione della nuova disciplina tariffaria, che, ispirandosi al principio della copertura dei costi, introduce l’obbligo di remunerazione del capitale investito, con tutte le conseguenze a cui abbiamo assistito negli ultimi decenni di gestione privata delle risorse idriche, fatta di aumenti esponenziali delle bollette e di moltiplicazione dei disservizi.
Non dimentichiamoci, però, che una parte delle risorse idriche è già privatizzata da decenni ed è rappresentata da tutte quelle falde contenenti acque minerali che molte multinazionali sfruttano con lauti guadagni a fronte di due spiccioli di concessione pagati alle Regioni.
Le leggi di cui abbiamo parlato sopra sono orientate specialmente alla razionalizzazione della gestione della risorsa, mentre per quanto riguarda la tutela delle acque dall’inquinamento dobbiamo fare, sul piano temporale, un passo indietro con la “Legge Merli” (Legge n. 319 del 10 Maggio 1976), che stabilisce i limiti di accettabilità delle acque reflue nei corpi idrici naturali e che ha come oggetto:  la disciplina degli scarichi, la formulazione di criteri generali per l'utilizzazione e lo scarico delle acque, l'organizzazione dei pubblici servizi di acquedotto, fognature e depurazione, la redazione di un piano generale di risanamento delle acque ed infine il rilevamento sistematico delle caratteristiche qualitative e quantitative dei corpi idrici.  I principi base della Legge Merli continuano nel D.L.vo 11 maggio 1999, n.152, che tra l’altro stabilisce i tempi di adeguamento delle situazioni a forte rischio inquinamento (come scarichi di reflui nel suolo di interi agglomerati urbani) alle direttive della Comunità Europea. Con questa legge nessuno più potrà scaricare i reflui direttamente nel suolo, tranne le abitazioni isolate che potranno continuare a farlo impiegando pero forme di trattamento come le
“fosse Imhoff”(2) o la fitodepurazione.  Caso strano, sono esentate da questi obblighi le imprese che estraggono l’energia geotermica, quelle che gestiscono l’estrazione mineraria e quelle che estraggono petrolio, che potranno continuare a immettere l’acqua, legata ad alcune loro fasi lavorative, direttamente in falda, con gli immaginabili rischi d’inquinamento.  Per concludere il nostro excursus sul quadro normativo in tema di gestione delle risorse idriche è di fondamentale importanza citare il D.Lgs 152/2006, il quale ha modificato sostanzialmente l’assetto e le competenze in materia di difesa del suolo e di gestione delle risorse idriche introdotto dalla preesistente normativa (DL 183/89), in quanto ha disposto la ripartizione del territorio nazionale in otto Distretti Idrografici
(come ho in parte accennato, la 183 prevedeva la ripartizione territoriale in bacini Idrografici a carattere nazionale, interregionale o regionale; con a capo l’Autorità di Bacino, organo misto Stato-Regioni) e la soppressione delle esistenti Autorità di Bacino, nonché il trasferimento delle relative funzioni alle Autorità di Distretto. A queste ultime sono preposti organi di governo in cui è preponderante la rappresentanza ministeriale rispetto a quella delle Regioni.  Con il D.Lgs 152/2006 e le successive modifiche e integrazioni, viene ufficialmente recepita la Direttiva comunitaria Quadro sulle Acque 2000/60/CE, la quale prevede che gli Stati Membri predispongano un Piano di Gestione delle acque, per ciascun distretto idrografico, compresa la mitigazione del rischio idrogeologico tramite la prevenzione e la previsione dello stesso.
Perché ritengo che questo passaggio normativo sia importante?
Perché rispecchia quell’accentramento dei poteri che sta avvenendo a livello comunitario, che, partendo dagli aspetti finanziari legati alla gestione della spesa pubblica, sta investendo sempre più tutti gli altri aspetti legati alla gestione delle risorse collettive, comprese quelle primarie come l’acqua.

3) Quali sono i principali fattori di inquinamento delle falde acquifere?

Sotto questo profilo, le attività umane che risultano più dannose sono: l’attività industriale (nella quale vanno annoverati con tutti gli onori gli inceneritori), sia con la produzione di acque reflue che con quella di gas, polveri sottili e nanoparticelle;  l’attività agricola, quando si serve di pesticidi e concimi chimici;  la dispersione delle acque reflue
(come abbiamo visto particolarmente presente nelle aree metropolitane); l’attività estrattiva delle materie prime e delle energie fossili
(sia in alcune tecniche di perforazione che in quelle estrattive: ne sanno qualcosa gli abitanti del Delta del Niger);  le discariche di rifiuti.
Una volta che la falda risulta inquinata, anche se si corre ai ripari eliminando la fonte d’inquinamento, i tempi di recupero possono essere dell’ordine, a seconda del tipo di falda e della sua entità, anche di centinaia di anni.

4) Dunque, abbiamo individuato uno dei motivi per cui opporsi agli inceneritori.  Visto che, in provincia di Roma, ad Albano Laziale, vi è una forte protesta contro la prospettiva di averne uno, potresti descrivere la situazione idrica locale?

Andando all’esempio di Albano, esso è situato nella struttura dei Colli Albani.  Ossia nel cosiddetto Vulcano laziale, che è di forma pseudocircolare, costituito da un edificio principale che nel momento di maggiore attività doveva sfiorare i 2000 metri di altezza, e caratterizzato da un’area di caldera (l’area dei Pratoni del Vivaro) e da vari coni di eruzione, alcuni dei quali occupati da laghi (Albano e Nemi) e altri rappresentanti i rilievi oggi più alti che sfiorano i 1000 m di altitudine, come Monte Cavo e Maschio delle Faete, nel Comune di Rocca di Papa.
Anche la struttura dei Colli Albani – come quella di altri apparati vulcanici del Lazio - è caratterizzata da una notevole eterogeneità dei litotipi sia in senso verticale che laterale.  Ciò ha determinato una idrogeologia complessa, con la formazione di un acquifero multistrato(3) caratterizzato da tante falde sospese più o meno piccole (la superficie libera di due di queste emerge e forma i due laghi Albano e di Nemi) al di sopra della grande falda di base cui attingono con pozzi profondi molti comuni dei Colli, compreso quello di Albano.  Alcune di queste sorgenti assicurano, almeno in parte, l’approvvigionamento idrico a molti comuni dei Castelli. Almeno in parte perché diversi Comuni sono costretti ad estrarre l’acqua, mediante pozzi a volte profondi centinaia di metri, della falda di base del sistema vulcanico.  Lo conferma proprio il caso di Albano laziale,
il cui approvvigionamento idrico è assicurato – come per i comuni di Castel Gandolfo ed Ariccia- dalla sorgente di Malafitto, ma solo in parte. In sostanza, Albano Laziale è costretto, per soddisfare il suo fabbisogno fabbisogno, a pompare l’acqua da pozzi le cui quote di fondo sono in diversi casi al di sotto del livello del mare, attingendo appunto dalla falda di base del massiccio vulcanico.  In tali condizioni, l’attività di incenerimento dei rifiuti diviene pericolosa specialmente per la falda basale, che è geometricamente più esposta ed ha un’area di ricarica(4) molto più vasta rispetto a quella delle piccole falde sospese, poste a quote superiori e meno raggiungibili dagli inquinanti atmosferici di un eventuale inceneritore ubicato verso la pianura (naturalmente, sia pure in misura minore, anche le seconde sarebbero comunque sottoposte al rischio di inquinamento).  L’inquinamento prodotto da un inceneritore può essere studiato osservando il bilancio gestionale di materia associato alla sua attività: per una tonnellata di rifiuto incenerita in entrata, compresi l’aria necessaria alla combustione, gli additivi per il trattamento dei fumi e circa 2000 metri cubi di acqua per il raffreddamento e lo spegnimento delle scorie, escono circa 6000 metri cubi di fumi contenenti nitrati, solfati, polveri sottili, nanoparticelle, metalli pesanti, diossine e furani e acqua di scarico contenente idrocarburi policiclici aromatici, metalli pesanti e diossine.  I fumi distribuiscono i microinquinanti, i quali si vanno a depositare sul suolo, su un’area vastissima.  Alcuni di questi per l’azione delle precipitazioni e delle acque percolanti possono raggiungere la falda ed inquinarla.  Altri vengono trattenuti dal suolo, che in tal senso funge da filtro protettore ma rimane inquinato a sua volta.
Non dimentichiamo che nell’area comunale di Albano Laziale è già presente una discarica, in località Roncigliano, e che alcuni rilievi dell’Arpa hanno individuato nelle acque sotterranee prelevate dai piezometri(5) di monitoraggio, concentrazioni di benzene, tribromometano, dibromoclorometano, floruri ed altri inquinanti come i metalli pesanti ben oltre i limiti di legge.  Le discariche di rifiuti indifferenziati hanno una potenzialità inquinante notevole grazie all’azione del percolato.
Il percolato è un liquido che trae origine prevalentemente dall'infiltrazione d'acqua nella massa dei rifiuti o dalla decomposizione degli stessi.
Esso è un refluo con un tenore più o meno elevato di inquinanti organici e inorganici, derivanti dai processi biologici e fisico-chimici all’interno della discarica, contenente anche i metalli pesanti.  Nelle moderne discariche si cerca in tutti i modi di isolare la massa di rifiuti dal suolo che li contiene per mezzo di membrane impermeabili e, mediante sistemi di drenaggio, si cerca di convogliare il percolato prodotto in vasche di raccolta, da cui deve essere prelevato e depurato attraverso lunghi e complessi processi chimico-fisici.  Ma malgrado tutti i buoni intenti non si riesce mai ad ottenere una impermeabilizzazione perfetta per lungo tempo.  Lo dimostrano le analisi che vengono fatte dai piezometri di controllo, dove nelle falde sottostanti vengono trovate spesso concentrazioni oltre i limiti di legge di inquinanti tipici dei processi biologici, chimici e fisici che avvengono all’interno dei rifiuti indifferenziati delle discariche.

5) Hai anticipato la domanda successiva, ma visto che ci siamo, ci interesserebbe sviluppare il discorso relativo agli effetti di discariche ed inceneritori sulle risorse idriche e sul territorio in termini più concreti, magari sulla base di esempi … 

Intanto, va specificato che tra i due tipi di impianti esistono delle differenze sia nella composizione chimica degli inquinanti che nelle modalità di diffusione degli stessi.  Gli inceneritori provocano un inquinamento più di tipo areale
(se escludiamo le acque di scarico che diamo per scontato che dovrebbero essere raccolte e depurate prima di essere immesse nel reticolo idrografico naturale), che ha la capacità di diffondere le sostanze inquinanti in un’area molto più vasta ma in maniera meno concentrata;
al contrario le discariche provocano un inquinamento molto più concentrato sia nella grandezza delle superfici interessate che nella densità degli inquinanti.  Si potrebbe dire che mentre la discarica è il serial killer specializzato delle falde, l’inceneritore è meno schizzinoso nella scelta delle sue vittime, avvelenando direttamente l’atmosfera e indirettamente tutto ciò che entra a contatto con questa: colture, pascoli, suoli, acque superficiali e sotterranee e ovviamente i nostri polmoni.  Esempi di falde inquinate direttamente da discariche ce ne sono molti, purtroppo, in giro per l’Italia e non solo;  determinare l’entità dell’inquinamento di una certa falda da parte di un determinato inceneritore è un problema più complesso, perché come abbiamo visto non lo fa in maniera diretta e perché spesso “unisce le sue forze” ad altri impianti industriali inquinanti magari presenti nelle sue vicinanze. Malgrado questo però la domanda di buon senso che viene spontanea è: perché dotarci di un impianto altamente inquinante, dannoso sia dal punto di vista dell’inquinamento che del bilancio energetico, quando è possibile sostituirlo con una filiera di trattamento molto meno impattante e molto più redditizia dal punto di vista del bilancio energetico finale del processo del trattamento dei rifiuti?
Esempi di falde inquinate dal percolato delle discariche ce ne sono molti.
A Malagrotta, dove persiste la discarica di rifiuti indifferenziati più grande d’Europa, i prelievi effettuati dall’Arpa rivelano che i valori limite fissati dalla normativa di settore per solfati, ferro, manganese, arsenico, cromo totale, nichel, alluminio, piombo, benzene, p-xilene, cloruro di vinile, diclorobenzene, tetracloroetilene e di altri pericolosi inquinanti risultano regolarmente superati in 22 dei 39 piezometri installati sia all'interno che al di fuori del bacino di drenaggio. Per l'arsenico e il benzene i limiti di legge sono stati superati, in alcuni prelievi, di 20 o 30 volte.
La discarica di Borgo Montello, a Latina, secondo una relazione tecnica è la principale responsabile della presenza di zinco, piombo e rame nelle acque della falda locale.  Anche la discarica dell’Inviolata nel Comune di Guidonia Montecelio, gestita dalla stessa società di Malagrotta, ha problemi di inquinamento locale delle acque sotterranee.
Fuori dalla Regione sono diversi gli esempi di inquinamento da discarica, da nord a sud dello stivale.  La discarica Ca’ Filissine, nel comune di Pescantina (VR), fin dal 1987 ha smaltito rifiuti solidi urbani, ma dal 2006 è stata posta sotto sequestro preventivo dalla magistratura per sospetta contaminazione della falda acquifera, infatti dalle analisi effettuate dall'Arpa, nell'ottobre del 2011, hanno confermato che la qualità delle acque di falda è seriamente compromessa, essendo stata riscontrata la presenza di ammoniaca, cloruri, sodio, manganese, ferro, cromo, potassio.  Inquinate risultano le falde acquifere attorno alla discarica di Bellolampo, presso Palermo.  Comunque è bene ricordare che non sono solo le discariche e gli inceneritori ad essere potenziali impianti inquinanti delle falde acquifere, ma come abbiamo visto anche le pratiche agricole che prevedono l’uso di pesticidi, molte tipologie di impianti industriali del settore primario e secondario, ma anche la non corretta gestione integrata delle risorse idriche.  Ne deriva un quadro della situazione italiana per cui sono moltissime le situazioni già compromesse o a forte rischio.
A Cremona è in atto un processo contro la Tamoil, accusata di avvelenamento delle acque destinate a uso umano.  In Veneto, nel maggio 2011, l’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente (Arpa) di Treviso ha riscontrato la presenza di mercurio nei pozzi dei comuni di Preganziol, Treviso, Casier e Quinto.  In Abruzzo, nella Val Pescara, nelle falde sono stati riscontrati cloroformio, tetracloruro di carbonio, esacloroetano, tricloroetilene, triclorobenzeni, metalli pesanti.  Una recente indagine Ispra (Istituto superiore protezione e ricerca ambientale) ha evidenziato per le acque superficiali italiane che il 47.9% dei campioni esaminati è contaminato da pesticidi e per le acque sotterranee una contaminazione nel 27% dei casi.  Ricordiamo inoltre la Pianura Padana, maglia nera dell’inquinamento delle falde a causa dell’agricoltura intensiva praticata da anni.  Nelle falde padane sono state riscontrate sostanze, come l’atrazina, ormai vietate da anni, ma ancora persistenti della falda a causa della scarsa intercambiabilità idrica.

6) La situazione che descrivi è a dir poco desolante.  Sono rimasti, però, esempi positivi di gestione (e protezione) delle risorse idriche, 
in Italia o altrove? 

In generale, lo sfruttamento delle falde acquifere minerali non può certamente essere annoverato tra gli esempi positivi di gestione delle risorse idriche, sia perché rappresenta l’appropriazione privata di risorse collettive appartenenti a tutta la comunità, sia perché produce un enorme inquinamento per la plastica prodotta e per le emissioni gassose legate ai trasporti.  Per non parlare poi della qualità e della sicurezza igienica delle acque, di gran lunga inferiore a quella degli acquedotti (i controlli della qualità negli acquedotti hanno frequenza giornaliera e devono rispettare dei limiti molto più restrittivi; nella migliore delle situazioni i controlli delle acque minerali hanno frequenza annuale e sono tenuti a rispettare dei limiti molto più indulgenti).  Non conosco gestioni virtuose delle risorse idriche; anche nella “rossa” Emilia, come abbiamo visto, le falde della Pianura Padana sono tra le più inquinate al mondo, specialmente grazie alla coltivazione e all’allevamento intensivi, votati al profitto capitalista, che “impone” l’uso di pesticidi e concimi chimici e la concentrazione innaturale di allevamenti.  Forse attualmente un tentativo di stabilire un corretto rapporto tra risorsa ed utilizzatore lo troviamo soltanto nelle lotte delle comunità indigene del centro e del sud America o forse dovremmo considerare quel tentativo storico portato avanti dalle comunità di lavoratori e lavoratrici, per un periodo troppo breve purtroppo, nella Spagna del ’36, dove si era iniziata una sperimentazione di gestione dei beni collettivi (non solo risorse, ma anche beni collettivi come la sanità,
i trasporti, il welfare in generale) dove non erano ne le imprese private o le oligarchie statali a gestirli, perché vigevano l’autogestione e l’autogoverno dei tecnici e dei lavoratori impiegati nella produzione e distribuzione delle risorse e dei beni stessi.  Nel mondo da questo punto di vista, almeno io, non conosco gestioni virtuose visto che l’inquinamento delle falde è comune a tutti i paesi industrializzati ed emergenti:  gli USA e l’India ne sono l’esempio più eclatante, dato che sono i paesi a più alta concentrazione di veleni nell’acqua.  Con un campionario completo di tutti gli inquinanti nel primo e con una presenza molto fitta di sali, fluoruri, piombo e pesticidi nel secondo.  Qualche altro esempio:  nello Sri Lanka,
il 79% dei pozzi risulta fuorilegge per i troppi nitrati (lo stesso si può dire per i pozzi della Romania e della Moldavia), in Gran Bretagna 350 stazioni di servizio Shell hanno contaminato gli acquiferi con i carburanti, mentre in Francia spesso si assiste, a corollario dei “piccoli” incidenti nelle centrali nucleari, all’inquinamento radioattivo delle acque superficiali e sotterranee.

7) Visto l’impatto di discariche ed inceneritori, quali sono, secondo te, le vie da battere per una gestione più razionale del ciclo dei rifiuti?
Non sono un esperto in materia.  Tuttavia basta guardarsi intorno
(nel senso più ampio del termine) per scoprire in tutto il mondo efficienti di sistemi di gestione che vanno nella direzione del concetto “rifiuti zero”,
a partire dal concetto di riutilizzo, per passare a quello di differenziazione e riciclo.  Semplici tecniche che potrebbero in poco tempo ridurre la massa conferita in discarica del 70-80%, anche a Roma.  Quelli che i gestori istituzionali della filiera dei rifiuti chiamano termovalorizzatori sono in realtà dei “termosvalorizzatori” delle materie seconde.  Se infatti consideriamo la EROEI (Energy Returned On Energy Invested), ossia il rapporto tra energia ricavata ed energia spesa di una filiera che prevede l’incenerimento, questa valorizzazione in guadagno è una bufala.  Infatti, l’energia ottenuta con l’incenerimento non compensa assolutamente la somma delle energie spese per estrarre le materie prime, per progettare e produrre gli oggetti, nonché per il trasporto e per l’incenerimento degli stessi.  Questi impianti possono sopravvivere solo grazie a incentivi statali ed a meccanismi per cui la “materia prima” da incenerire, contenente l’energia da estrarre, arriva senza spese.  Cioè a spese della collettività che è quella che paga i costi dell’intera filiera, sia sottoforma di bollette che di quota parte delle tasse destinate agli incentivi.  Oltretutto la presenza di questi impianti, che per ammortizzare al massimo le spese devono bruciare enormi quantitativi giornalieri di rifiuti, ostacola la nascita di pratiche più sostenibili come il riutilizzo, la differenziazione ed il recupero, in quanto drenano voracemente tutti i rifiuti presenti nel territorio di ubicazione.
Dei danni ambientali ne abbiamo già parlato, rimane solo da dire che i residui dell’incenerimento non sono zero, non si distrugge il rifiuto completamente, ma come residuo del processo rimangono delle scorie che rappresentano circa il 20% del peso iniziale, oltre alle ceneri che ne rappresentano circa un 5%.  Qualcosa, se non risulta contaminato, può essere recuperato, come qualche metallo, ma molto deve andare in discarica come rifiuto speciale!  Ma come, gli inceneritori non dovevano risolvere il problema delle discariche?  Una gestione corretta prevede prima di tutto una diminuzione alla fonte del rifiuto, con una minore produzione degli imballaggi, una cultura diffusa del riutilizzo, nonché tecniche di trattamento a freddo ed infine il recupero delle materie prime e seconde.  E’ evidente che questo modello porta sicuramente a dei risultati più efficienti di una filiera che prevede l’incenerimento inquinante della materia.  Capisco che questi ragionamenti vanno contro la cultura del consumismo, necessaria all’accumulazione capitalistica, ma almeno noi che non ci guadagniamo niente, ma che anzi abbiamo tutto da perdere, perché costretti a vivere in ambienti sempre più inquinati, dovremmo cominciare a pretendere che i gestori istituzionali cambino indirizzo.  Certo, la cosa migliore sarebbe riprendere l’esperimento iniziato 76 anni fa dai nostri compagni spagnoli.

Note:

1)
Nel bilancio idrogeologico di un bacino, l'evapotraspirazione è quella quota di acqua che esce dal sistema per evaporazione o per traspirazione della copertura vegetale.

2)
Le fosse imhoff sono la versione moderna dei vecchi "pozzi neri".

3)
Per acquifero s'intende la roccia serbatoio che contiene la falda.

4) L'area di ricarica della falda è quella parte di superficie terrestre dove, l'acqua meteorica che si infiltra, va ad alimentare la falda stessa.

5) Si tratta di tubi collocati (mediante esecuzione di un foro di sondaggio) verticalmente nei terreni; la loro funzione è quella di controllare sia il livello che la qualità delle acque di falda.

A cura de Il Pane e le rose - Collettivo redazionale di Roma